Italian Graffiti

Meeting of Styles, raduno di graffitisti in Lombardia, per una città che si racconta anche sui muri

di Eleonora Di Pilato

A chi si rivolge un graffito? Cosa vuole comunicare? Perché viene realizzato?
Nessuno di questi interrogativi pare appropriato nel raccontare l’attività dei writer, che si dissociano da qualunque etichetta superficialmente attribuita loro, di ribelli, vandali o contestatori sociali.
Si tratta di pura e semplice passione, che non cerca un riconoscimento universale, né un ritorno di sorta da parte di un pubblico inneggiante. Sembra che i graffiti ci siano semplicemente perché a qualcuno piace farli.

Subcultura, deturpamento, vandalismo: questo il climax di riferimento nell’immaginario collettivo di una generazione intera rispetto al graffitismo. Di recente però l’attenzione per tutto ciò che è ‘arte di strada’ ha conosciuto una nuova dimensione, e i festival e i raduni di appassionati si sono moltiplicati.

Tra questi, il Meeting of Styles (MOS), che dal 1997, quando ancora era conosciuto come ‘Wall Street Meeting’, ha organizzato più di 200 eventi in tutto il mondo, mettendo in contatto le culture di graffitisti più distanti, non solo in termini geografici, e fornendo loro la possibilità di nuove contaminazioni e collaborazioni.

Il fermento creativo della tappa italiana del MOS 2015 è dilagato nella zona periferica di Trezzano sul Naviglio, a sud ovest di Milano: una jam di tre giorni, dal 30 maggio al primo giugno, ideata da writer per i writer. Crew da tutta Europa, e non solo, si sono spartite le imponenti pareti di cemento armato dell’istituto Franceschi Cuciniello, le mura che costeggiano la ferrovia, e le facciate dei capannoni di via Curiel e via Politi, per lasciare la loro firma.

L’afa pare ancor più densa a causa degli spray delle bombolette, ma il clima è leggero e frenetico tra le tracce dei primi bozzetti sui muri, le vivide scie di colore e i saluti poliglotti tra un tratto e l’altro. La passione per un’attività spesso sdegnata e relegata ai margini della cultura urbana si coglie ovunque: nei movimenti rapidi e sicuri, nelle forme nette e definite, negli sguardi critici sferzati dagli autori, mentre indietreggiano per guardare le proprie creazioni in toto.

“Al sud non avevo possibilità, a Caserta c’è solo una crew, quindi mi sono trasferita a Milano per poter continuare”, questa la storia di Marioky, neo-writer, che sorride mentre parla di come i suoi compagni di crew la prendano in giro perché non riconosce ancora nessuno dei ‘grandi’ presenti al MOS.

Ma qui la passione basta, e pare anzi essere tutto ciò che conta, come raccontano tutti i writer, veterani e non, soprattutto quando “i bandi pubblici per gli spazi vanno sempre alle solite gallerie o nomi conosciuti, che spesso chiamano gente da fuori, e la sottopagano mentre si spartiscono l’appalto”, come racconta Dario, writer da vent’anni, in trasferta da Roma, “è una passione, come la fotografia o la pittura, lo faccio perché mi piace, e se non ci danno gli spazi ce li prendiamo”.

Il MOS è una manifestazione legale, autorizzata di volta in volta dai comuni ospitanti, tuttavia quando l’assegnazione degli spazi, al di fuori degli eventi ufficiali, si svolge con dinamiche tutt’altro che trasparenti, che di fatto precludono la partecipazione alle crew locali, l’appropriazione indebita di spazi, che siano muri cittadini, treni, o edifici dismessi, pare l’unica alternativa per chi voglia continuare a praticare quest’attività, soprattutto in mancanza di una regolamentazione nazionale specifica, se non in termini sanzionatori, come nel caso italiano.

L’altra tendenza, denunciata tra gli altri da Carmine, writer di Perugia, è quella di convocare dall’estero writer e street artist blasonati, come fossero un “brand” d’importazione, senza coinvolgere le realtà autoctone già attive nel territorio, “che magari hanno chiesto gli spazi per 7 anni, e poi li vedono assegnati al primo che capita”.

Queste le motivazioni alla base della tanto contestata appropriazione illecita di spazi, nell’ambito di realtà che paiono disinteressate al graffitismo quale forma di espressione individuale e collettiva, priva di pretese di contestazione sociale, se non quando intenzionalmente espresse, mentre privilegiano una street art d’autore, talvolta con il solo intento di appropriarsi dei fondi pubblici stanziati con i bandi. Spesso manca il sostegno da parte delle amministrazioni locali, e l’accesso legale agli spazi rimane appannaggio delle solite gallerie d’arte o di pochi nomi illustri, mentre i writer locali si vedono defraudati di spazi magari reclamati per anni, rimanendo inascoltati.

Dinamiche perverse che di certo fomentano il frequente astio tra writer e street artist quando parlano dell’altrui ‘arte di strada’. Certamente, la street art, più figurativa ed evocativa, raccoglie un maggior consenso a livello di pubblico e benestare da parte dei comuni, che sempre più spesso la impiegano nei cosiddetti ‘piani di riqualificazione urbana’, come avviene a Roma e Milano, per quanto essa, da sola, non possa colmare le carenze progettuali di determinati quartieri, né la mancanza di servizi sociali per i residenti.

Anche il graffitismo, tuttavia, ha una propria dignità, che lo contraddistingue rispetto alle vuote tag, letteralmente ‘targhette’, per quanto spesso siano proprio esse a costituire il “primo approccio alla strada”, come ammesso da Tawa, graffitista-artista milanese, che imputa proprio al dilagare delle tag nelle città, a partire dai primi anni 2000, l’impopolarità e l’intolleranza che tuttora domina la percezione dei writer in Italia.

Sfaccettato come tutte le manifestazioni umane, il graffitismo dovrebbe essere accettato, o per lo meno interpretato, quale fenomeno sociale e, ancor prima, quale forma di espressione individuale, meritevole di rispetto, e degna di un adeguato piano regolamentare, che risolva limpidamente la questione dell’assegnazione degli spazi, e renda l’accesso ai bandi pubblici indetti dalle amministrazioni locali fruibile su base paritaria, dai singoli, come dalle crew.

Con il suo clima vibrante e multietnico, un pubblico estremamente variegato, e le sue pennellate di colore, una manifestazione come il MOS sembra un’ottima occasione per lasciare cadere il velo di intolleranza rispetto ai writer, e conoscere più da vicino una realtà che potrebbe appartenere a tutti, e rientrare nel panorama cittadino legale, se solo lo si volesse.

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