Syriza, finale di partita

di Clara Capelli

Troppo pesanti le condizioni imposte dall’Ue, troppe divisioni interne al partito di governo. Il sogno del riscatto greco si allontana sempre di più

Riduzione della spesa per le pensioni, aumento di 2-3 punti percentuali dell’IVA, privatizzazioni e riforme per la flessibilizzazione del mercato del lavoro. Adottereste queste misure per avere 7,2 miliardi di aiuti, quando il reddito medio del vostro Paese è diminuito in pochi anni di oltre il 30 percento (30 percento, avete letto bene, e sto approssimando per difetto), la disoccupazione è intorno al 26 percento e quella giovanile a oltre il 50 percento? Pensate abbia senso oppure vi sembrerebbe di uccidere un uomo morto?

Questo è ciò che sta succedendo con i negoziati sul debito greco. Dimentichiamo la moto di Varoufakis, i visi arcigni di Merkel e Schäuble, gli entusiasmi perché “evviva un partito di sinistra ha vinto le elezioni” (ma non in Italia) e riflettiamo.

È da febbraio che il governo greco negozia con i creditori per lo sblocco dei 7,2 miliardi promessi. E il cuore della discussione è proprio lì, nelle condizioni per ottenere questi aiuti. Chi sbaglia? Gli ostinati (e in alcuni casi inesperti) negoziatori greci oppure i creditori europei e il Fondo Monetario Internazionale?

Syriza ha di fatto già tradito il discorso di Tessalonicco, rinunciando alle richieste di parziale cancellazione del debito e scegliendo una linea strategica più morbida, nonostante la narrazione che ne viene data dai media: rimanere nell’Eurozona e portare avanti il discorso antiausterità. Posizione criticabile ma non priva di logica, la quale però si è scontrata contro il muro dei creditori, ben saldi sulle condizioni da loro imposte.
Sono quasi quattro mesi che i negoziati si trascinano senza alcun risultato, con il governo greco a fare leva sulla mancanza di risorse per onorare il debito, se non a spese di dipendenti pubblici e pensionati (categorie indubbiamente prive di appeal nell’immaginario di molti, ma che hanno sopportato un peso importante nel quadro delle misure di austerità introdotte nel Paese negli ultimi anni). Eppure, all’ultimo momento, la Grecia ha pagato.

Venerdì 5 giugno, invece, il governo ha deciso di non saldare la rata di 305 milioni di euro al Fondo Monetario. Tutte le tranche – per 1,5 miliardi di euro – verranno pagate il 30 giugno, giorno in cui cade anche la scadenza per il raggiungimento dell’accordo che dovrebbe portare alla concessione dei famosi 7,2 miliardi.

I negoziatori greci sono ben consapevoli di quanto delicata sia la partita. Nell’incertezza del momento – la Grecia farà default? Uscirà dall’Euro? – i capitali privati stanno lasciando il Paese, un ulteriore salasso per questo uomo morto che è l’economia greca. Si punta tutto sulla paura che la Grexit segni la reversibilità del progetto europeo, determinando un fallimento politico ed economico che nessuno nelle alte sfere dell’amministrazione europea e internazionale vuole. Né l’Eurogruppo né il Fondo Monetario paiono infatti volersi assumere questa impopolare responsabilità.

Come è stato più volte sottolineato, le conseguenze della Grexit per l’Eurozona e la Grecia stessa non sono chiare, non è infatti mai successo che un’economia uscisse da un’unione monetaria.

Tuttavia, sempre più forti si fanno le voci che all’interno di Syriza contestano la linea di Tsipras e Varoufakis, perché i negoziati non stanno portando a niente, perché si sta perdendo tempo, perché se alla fine si capitola di fronte alle condizioni dei creditori sarebbe come vendersi i gioielli di famiglia per una dose di morfina: allevia il dolore temporaneamente, non risolve il problema e ti rende ancora più debole. Tanto vale quindi uscire dall’Eurozona e affrontare le enormi difficoltà che si porranno con la piena sovranità sulla propria politica (sui possibili scenari di un’uscita dell’euro, si rimanda al seguente articolo, per altro corredato di un’esaustiva bibliografia).

Il rinvio del pagamento al Fondo Monetario è dunque funzionale anche a questioni di politica interna, per mantenere il consenso del proprio elettorato e contenere le posizioni più critiche che mal digeriscono una linea negoziale giudicata “troppo compiacente”.

Posizioni a sinistra, ma anche a destra: non va dimenticato che alle lezioni del 25 gennaio Alba Dorata ha ottenuto il 7 percento e che le derive filo-naziste sono fonte di grande preoccupazione in Grecia. Tutti i riferimenti alla Germania del primo e del secondo dopoguerra, spesso liquidati come esagerati e apocalittici, assumono infatti un’accezione diversa se considerati alla luce della scena politica greca.
Quella sulla crisi del debito nell’Eurozona è un’importante battaglia delle idee. Anche se è difficile appassionarsi alla questione, vista la complessità di certi aspetti. Perché l’economia è percepita come una disciplina ostica, per certi versi oscura a causa dell’abuso di matematica che si è fatto negli ultimi venti-trent’anni. Perché, in fondo, interessarsi di economia significa occuparsi degli aspetti più volgarmente materiali della vita, se non addirittura del mondo dei “cattivi”, di quei pochi che sfruttano e inquinano a danno di molti. C’è indubbiamente una parte di verità in tutto ciò, eppure il futuro che vogliamo passa anche per le scelte economiche.
Nella sua lettera a Le Monde del 31 maggio, Tsipras ha fatto appello a un’Europa “della solidarietà”, citando Per chi suona la campana di Hemingway. Un chiaro messaggio ai Paesi dell’Eurogruppo per una nuova strategia che affronti i problemi dell’Eurozona in termini di sistema – senza i particolarismi nazionali che hanno di fatto contribuito a perpetrare la linea dell’austerità – seguendo un diverso paradigma economico. Questa lettera è stata considerati da molti come troppo “politica”, come se un problema economico fosse necessariamente qualcosa che si risolve con la tecnica, una soluzione unica e indiscutibile per un ingranaggio difettoso.

Goldman Sachs ha addirittura pubblicato una nota in cui invitava la Grecia a formare un nuovo governo, perché i suoi elettori hanno scelto un partito dal programma irrealistico.

Chissà se i moti di giubilo per i successi elettorali di Syriza e Podemos si tradurranno mai in un messaggio forte e non ignorabile per un’inversione di rotta nelle politiche economiche sul debito dell’Eurozona e per l’Europa tutta. Ma finché non si riuscirà a far suonare la campana facendosi ascoltare dai creditori tutti, la battaglia delle intransigenze prosegue. Fino alla prossima scadenza.

Disclaimer: i dati riportati nel primo paragrafo sono presi da OCSE ed Eurostat e pertanto non coincidono con quelli forniti da Tsipras nella lettera a Le Monde.

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