L’Aquila e la Piovra

Com’era e com’è oggi l’Albania e cos’è l’Italia per gli Albanesi. Nell’ultimo libro del poliziotto antimafia Gianni Palagonia, i nuovi slanci e le vecchie contraddizioni di un paese che ci somiglia.

di Sara Lucaroni

L’Italia lungo sogno di libertà, benessere, autodeterminazione. L’Italia era la radio nascosta sottoterra per ascoltare, di nascosto dal regime di Enver Hoxha, le canzoni del Festival di Sanremo. Poi era la tv degli sceneggiati, quando nel 1991, con le prime elezioni libere e il tentativo di riagganciare lo sviluppo dopo 40 anni di isolamento culturale e autarchico comunista, gli albanesi videro il mondo oltre i confini e vissero da migranti l’assalto al porto di Bari a bordo della Vlora. Poi l’Italia divenne l’Operazione Alba, con cui l’Onu e l’Europa cercarono di salvare il paese dall’abisso anarchico, dalla guerra civile e dalla povertà, e poi si trasformò nell’attracco di notte ai porti pugliesi con gli scafisti, un nuovo tentativo di fuga e rinascita, i rimpatri.

Nel 2006, quando l’ispettore capo Gianni Palagonia arriva in missione a Tirana, l’Italia era soprattutto i primi grandi investimenti, una mano tesa per diventare una nazione vera nei Balcani e un lasciapassare per l’Europa.

“L’aquila e la piovra” ( ed.Centoautori, pp 386), è il terzo romanzo di un ex poliziotto siciliano che scrive con uno pseudonimo preso a prestito dal nome di una località nel catanese, Palagonia appunto. Dopo “Il Silenzio” e “Nelle mani di nessuno”, in cui la caccia ai latitanti, le indagini sulla mafia e sul terrorismo delle nuove Brigate Rosse spiegano senza fronzoli il prezzo della giustizia e l’eroica umanità quotidiana di chi combatte il crimine, arriva il racconto, tra reportage e autobiografia, della scoperta di un popolo e di una cultura oltre la cortina dei pregiudizi. E che stupisce per primo chi, arrivato per indagare sulle alleanze albanesi proprio con quella criminalità, scopre un paese fiero e contraddittorio, nobile nelle passioni e negli ideali quanto corrotto. Un paese che l’Italia non può giudicare.

“L’albanese è duro, ha pianto solo due volte: quando è morto il dittatore e quando è morto il commissario Cattani.

Non è folklore, ne’una battuta, è un detto molto diffuso in Albania- spiega Palagonia. “La Piovra” è stato il primo programma con i sottotitoli trasmesso dalla tv, la quale è diventata una specie di manuale per orientarsi fuori dal paese, e l’Italia è diventato il paese della mafia, dove funzionava tutto come avevano visto. L’Albania ci ha sempre preso come modello per prendere spunti, per migliorarsi, nel bene e nel male”.

13 mesi di missione in cui incontri, storie e vicende personali si intrecciano a fenomeni come il traffico di armi e droga, il business dell’energia rinnovabile, la tratta, ma soprattutto la rinascita per il Paese delle Aquile.

Nel 2003 si è conclusa la missione Arcobaleno, gli accordi sui piani di regolamentazione dei flussi migratori reggono. La cooperazione bilaterale sul fronte sicurezza e giustizia affidata all’Italia, prevede la presenza di istruttori in Albania tra le forze di polizia e personale albanese in Italia, e compiti di consulenza, analisi mappatura, assistenza in campo giuridico e giudiziario.

A Tirana il traffico è brulicante, ma le strade finiscono in mulattiere, mancano i tombini e la città è un cantiere costate di complessi, immobili di lusso e nuovi quartieri. Ogni cinque metri c’è un Eurolotto per le scommesse sul campionato italiano. La corruzione nella giustizia e nella sanità è la regola non scritta ma imperante e gli albanesi cercano di sopravvivergli lavorando onestamente. I più poveri raccolgono ferro, lattine e rame nelle strade e nelle ferrovie. Capita che alcune ragazze scompaiono, rapite e destinate al mercato della prostituzione nel Lazio o al Nord. In molte case manca l’elettricità e l’acqua, che arrivano a fasce orarie. La polizia non riesce a espugnare Lazarat, la città della cannabis, “caduta” solo pochi mesi fa.

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E’ la prima fase della modernizzazione dell’Albania che oggi sottoscrive nuovi patti commerciali, ha poche tasse, promuove il turismo, conta ventimila italiani che studiano o lavorano, attira investimenti, registra l’aumento di aziende italiane delocalizzate, operative nel business dei call center e nel tessile, smaltimento dei rifiuti ed energie rinnovabili. “Dieci le concessioni per la realizzazione di parchi eolici, oggi sospese da governo per migliorare il quadro normativo. Ho dedicato un capitolo del mio libro a questi temi. Il traffico dei rifiuti, su cui si è espressa anche l’Europool indicando come il paese insieme a Romania e Ungheria sia una delle principali destinazioni di rifiuti tossici da Italia e sud Europa e che il settore in generale possa essere una copertura per affari non sempre leciti- racconta l’ex ispettore capo. Che la criminalità organizzata italiana sia entrata in questo business non è una novità. Oggi forse ci sono più controlli e sicuramente imprenditori onesti, ma cosa è arrivato in Albania? C’erano impianti specializzati? Come sono avvenuti i controlli?”.

La piovra è il simbolo di un potere secolare e silenzioso, i cui tentacoli hanno la stessa forza della testa che li comanda.

L’Aquila è la fierezza nobile e a volte ostile di un mondo in cui le regole del codice Kanun, ufficialmente abolito, che prevede l’estensione della vendetta sui figli maschi dell’assassino fino alla terza generazione, ancora oggi spiegano certi delitti anche nel nostro paese. Il loro legame è un sodalizio criminale tra i più potenti in Europa.

”Ho incontrato bambini e ragazzi segregati in casa per le vendette di sangue. Non possono andare a scuola, stare all’aperto. In alcune zone del paese esistono ancora queste realtà. E spesso spiego dell’esistenza di questo codice arcaico ai colleghi, offrendo un’ipotesi investigativa relativa ad omicidi o tentati omicidi che vedono coinvolti bande di albanesi. Le cause dei reati non sempre sono collegate a traffici di droga, prostituzione o armi”.

Da noi la mafia si è arricchita col movimento terra, l’edilizia, i traffici di droga. Il gioco. E l’omertà. Lo stesso la mafia albanese, potenziatasi grazie ai contatti con i criminali italiani nei primi anni ’90, oggi protagonista nel mercato di cannabis e del transito di droga dalla Turchia, armi dai Balcani, prostituzione e furti, il cui ricavato viene subito riciclato in Albania nel campo edilizio e per attività di corruzione, come il finanziamento di imprese o, pare, campagne elettorali. Ed è realtà che nel secondo flusso migratorio i criminali liberati durante la guerra civile, si siano mescolati a migliaia di cittadini, e abbiano sodalizzato con la nostra malavita.

“Con la ’ndrangheta esiste un legame forte oltre che una somiglianza dovuta alla centralità dei vincoli familiari che limitano il pentitismo, e la capacità di muoversi evitando il più possibile di farsi notare”- spiega Palagonia. C’è da dire che qui in Italia non si parla più di albanesi nelle cronache. Non è un caso. Le organizzazioni hanno imparato a muoversi senza dare nell’occhio, fanno affari in giacca e cravatta. Molto hanno appreso dalle nostre organizzazioni criminali. Nel proprio paese hanno affinato tecniche che da noi si sono ridotte, come l’uso delle auto bombe ed eclatanti esecuzioni in pieno centro. E’cronaca giornaliera da quelle parti. ”.

L’ex poliziotto, in pensione per motivi di salute e che da anni vive con la famiglia lontano dalla Sicilia per le minacce ricevute, nel libro affronta anche il fenomeno dell’immigrazione e le trame dei flussi migratori dal punto di vista di chi all’epoca fuggiva dalla povertà e, come oggi, è in pasto delle bande criminali. “All’inizio gli albanesi arrivavano in nave o con le carrette del mare. Poi è nato il mercato dei trafficanti col motoscafo. Con lo scioglimento dell’esercito albanese, durante la guerra, chi lavorava in marina si ritrovò disoccupato. Anche chi aveva esperienza, come sommozzatori o pescatori che fossero, veniva reclutato dalle organizzazioni per trasportare i migranti. Ho conosciuto un uomo che aveva una piccola attività di affitto di gommoni ai turisti. Quando sono andato da lui per affittarne uno, mi ha raccontato la sua storia. Era stato uno scafista, poi arrestato e incarcerato a Bari. Una volta uscito, aveva messo su famiglia e aperto quell’attività.

Molto di quello che è accaduto in Albania negli ultimi 25 anni è dovuto alla povertà, alla guerra, all’isolamento, alla corruzione. Anche ad un modello travisato. “Quando mi chiedono com’è la giustizia, com’è la polizia, come sono le persone, come funziona il paese, io rispondo ‘è un po’ come da noi’. E’ un paese e un popolo straordinario, di persone fiere e orgogliose, in cui è sacra l’ospitalità e l’identificazione nella propria cultura. Ci vedo la nostra gente del sud. E a me ha cambiato la vita”.