Matrimonio alla cecena

Una storia che racconta un Paese, i suoi legami politici con Mosca e una condizione femminile difficile

di Maria Izzo

La storia sembrerebbe un folkloristico remake de “I Promessi Sposi” in veste cecena. I monti che fanno da scenario non sono le Prealpi lombarde, ma il Caucaso. Don Rodrigo non è un nobile arrogante, ma l’onnipotente capo della Polizia, caduto nella rete di una fatale infatuazione per una diciassettenne.

Ha 46 anni e una moglie, ma vuole convolare a nozze con l’amata, che però pare recalcitrante, e, per piegarla al suo volere, non invia i bravi a intimidire il Don Abbondio locale, ma minaccia la sua famiglia; non orchestra il suo rapimento, ma fa istituire posti di blocco perché la ragazza non possa fuggire.

L’intreccio sembra uscito dalla penna di un qualche Manzoni ceceno, ma le controverse nozze sono un fatto assolutamente reale che ha scosso l’opinione pubblica per le molteplici questioni politico-sociali che gli eventi hanno messo in luce.

Tutto è inizia quando Nazhud Guchigov, capo dell’Ufficio degli Affari Interni della provincia cecena di Nozhay-Yurt mette gli occhi addosso a Kheda Luiza Goylabieva, 17 anni. Ha 46 anni, è sposato con figli, ma la vuole come seconda moglie. Le leggi della Federazione Russa vietano la poligamia, ma l’Islam, la religione professata nella Repubblica cecena, lo permette.

Si narra però che la famiglia della ragazza si sia opposta e che Guchigov, poco incline ad accettare rifiuti, sia passato alle maniere forti: pressioni, minacce e addirittura checkpoint sparsi in tutto il villaggio natale di Kheda. E alla fine ha vinto: il matrimonio è stato celebrato in maggio a Grozny.

La vicenda vanta anche un cameo di prestigio: il presidente della Repubblica Cecena, intervenuto per dare al maturo sceriffo in amore non solo la sua benedizione, ma anche l’implicita autorizzazione a infrangere la legge federale che vieta la poligamia.

Basta mettere insieme tutti gli elementi della storia – l’arroganza del maturo sceriffo in amore, la minore età dell’amata, la presunta coercizione, calarli in un contesto caratterizzato da una cultura fortemente patriarcale e dall’eterno conflitto fra le leggi ufficiali russe, la sharia e l’adat, l’ordinamento giuridico tradizionale dei musulmani del Caucaso del Nord, e lo scandalo è pronto a divampare.

L’eco dell’evento si è intrufolata in ogni anfratto della Russia, partendo probabilmente da un vociare di dame in un salone di bellezza, per eccellenza il luogo deputato alla discussione di intrighi e matrimoni, fino ad arrivare in alto, inerpicandosi lungo tutta la verticale del potere: da un centro estetico di provincia al Palazzo del Governatore, fino ad arrivare al Cremlino trasportato dal polverone mediatico.

Bersagliato dagli strali di attivisti e giornalisti, Kadyrov minimizza. Liquida il fatto come una questione privata in cui non ritiene opportuno intervenire; poi davanti alle polemiche crescenti cambia tono, ma non si scaglia contro Guchigov, che, sposando una minorenne viola un decreto emanato dallo stesso Kadyrov. Come da manuale, se la prende con i giornalisti che scrivono di temi poco edificanti e lavorano al soldo di agenti stranieri interessati a denigrare la Cecenia, diffondendo calunnie da “liberasti” (il termine è l’incrocio delle due parole “liberale” e “pederasta”)

Molto rumore per nulla, secondo Kadyrov. Eppure dalla vicenda sono emerse molteplici questioni di rilevanza non solo socio-culturale, ma anche politica: la vulnerabilità delle donne cecene; lo strapotere di politici e funzionari locali, che nella più assoluta impunità si servono della religione e del diritto consuetudinario per aggirare la legge federale; la mancata accettazione dell’ordinamento giuridico russo da parte dei Ceceni che restano legati al proprio sistema tradizionale; il progressivo consolidamento dell’Islam come elemento fondante dell’identità cecena. Per non parlare dell’arbitrio incontrastato che Kadyrov esercita non solo nella Repubblica, ma anche nei confronti del governo centrale, di cui è stato fedelissimo vassallo.

Non ultima, fra i numerosi nodi dolenti di tutto l’affare, la silenziosa compiacenza di Mosca nei confronti dell’atteggiamento sfacciatamente brado di Kadyrov, che oltretutto è recidivo. Infatti, la poligamia è solo una delle pratiche che promuove facendosi beffe della legge federale che invece le proibisce. In passato infatti ha già illegalmente imposto l’obbligo per le donne di indossare il velo e per gli uomini di portare la barba, oltre al divieto di bere alcol.

E’ chiaro che questa tolleranza nei confronti dell’indisciplinato sultano ceceno risponde a un’idea ben precisa: la stabilità delle alleanze regionali per Putin è prioritaria rispetto alla legalità, ancor di più se si parla di un’area storicamente turbolenta, come la Cecenia. E Kadyrov, dimostratosi negli ultimi anni estremamente affidabile nel ruolo di Cerbero per conto di Mosca, è più che meritevole di qualche concessione.

Inoltre, la permissività del governo russo sull’applicazione dei costumi islamici non solo asseconda l’alleato ceceno nel suo progetto di creazione di uno spazio islamico all’interno dei confini russi, ma allo stesso tempo mette in discussione e priva di senso le rivendicazioni separatiste dell’Emirato del Caucaso, la milizia jihadista che ancora lotta per la secessione dalla Russia e l’istituzione di uno Stato islamico indipendente nella regione.

Quest’ultimo fatto, in un ottica di raggiungimento della stabilità, rappresenta per Mosca un notevole risultato.
Insomma, per Putin, meno male che Kadyrov c’è e viceversa. E in questa corrispondenza di amorosi sensi e reciproci interessi, vissero tutti felici e contenti. Esclusa la sposa.