La luce di Marsiglia

Reportage dalla città francese nota per la sua insicurezza,
ma anche ricca di una folla-mondo che non ha paura

di Tano Siracusa

Dalla monumentale stazione ferroviaria di Saint-Charles al quartiere di Notre Dame du Mont è una passeggiata di mezzora, alle tre di notte nel cuore di una Marsiglia deserta. C’è stato un nubifragio, l’aeroporto è rimasto chiuso per diverse ore, i voli in arrivo dirottati a Nizza: quattro ore dopo le strade sono asciutte, ma non c’è nessuno in giro. Non c’è movida nella Napoli d’oltralpe, nella città più fuori controllo della Francia, dove il 30-35 per cento della popolazione è di religione musulmana, dove il Fronte Nazionale della Le Pen è il partito più votato, e nei quartieri a nord, a La Castellane, prendono a mitragliate l’auto con a bordo Bourniquel, il direttore della polizia, intervenuto di persona per una sparatoria fra bande rivali.

Enclave di esclusione sociale e razziale, di povertà, La Castellane è il cuore della fortezza criminale marsigliese.

L’episodio che ha coinvolto Bourniquel quest’inverno, alla vigilia dell’arrivo in città del primo ministro Valls e poco dopo l’attentato di Parigi, ha di nuovo proiettato Marsiglia al centro del dibattito francese sul nodo immigrazione-insicurezza. «La Siria è qui, nelle nostre periferie» ha dichiarato in quella occasione Sonia Ghali, senatrice socialista, che due anni fa aveva chiesto l’intervento dell’esercito in città per arginare lo strapotere del crimine organizzato e diffuso.

Nel centro di Marsiglia, dove nelle periferie si spara per il controllo della droga che inonda la città, alle tre di notte, a duecento metri dalla stazione ferroviaria, gli unici viventi dormono sul marciapiedi, sdraiati su due materassi: un uomo, una donna, alcuni bambini, una famiglia rom.

La città è vuota, silenziosa.

Soltanto dopo avere oltrepassato il pont du Mont, quando ci si inoltra in una grande piazza pedonalizzata, in un angolo più buio cinque o sei uomini di colore battono le mani, danzano, ridono forte. Marsiglia ha sempre mescolato popoli diversi, armeni, curdi, ebrei, africani delle colonie, italiani e, ovviamente, maghrebini, soprattutto algerini. Una mescolanza di popoli che ha avuto i suoi ricorrenti rigurgiti razzisti, i suoi pogrom, contro gli italiani alla fine dell’800, contro gli algerini ancora negli anni Settanta del secolo scorso.

La città che di notte infittisce le sue ombre, si svuota mostrando le viscere, le tracce di una vita tumultuosa, o troppo frenetica o troppo sbandata per curarsi della pulizia delle strade, di mattina appare immersa in una luce squillante, quella che aveva incantato Van Gogh nella vicina Arles, la luce nella quale era cresciuto Cézanne, che a Marsiglia dalla sua Aix si recava spesso.

La luce e il vento, un vento teso e fresco che non è il mistral di cui qui si parla con rassegnazione e spavento, ma un vento allegro che spinge la grande folla fuori, sulle strade, nei caffè, nelle piazze, lungo i grandi viali del centro e nei quartieri dei mercati, fra le strade strette, sature degli odori spessi, oleosi, di cucine e profumi di altri continenti, di altri mondi, vie dove una camera in un hotel costa 15 euro e dentro il caffè disadorno ci sono solo algerini.

E sembra di essere davvero in Algeria, ma quaranta anni fa.

Tutto lì dentro e fuori, attorno, non è più Europa o non lo è ancora. Anche nei boulevards che scendono verso il Porto Vecchio la folla è sempre quella di una folla-mondo, che mescola lingue, musiche, passi, tempi diversi, e dove l’impronta francese si sovrappone e si dissolve in quella luce che è già Francia, ma che è soprattutto sud, Mediterraneo.

E la paura, l’insicurezza sociale, la città fuorilegge? Ovunque nel vasto centro di Marsiglia si fuma hashish, per strada e nei caffè, senza appartarsi, come se il consumo fosse stato liberalizzato. Un’utopia della tolleranza, del ‘lasciar fare’. Poi ci sono le piazze dello spaccio. E in periferia, per il traffico del fumo, le bande si affrontano a colpi di kalashnikov.

Nel cantone di Notre Dame du Mont vive Marianne, single, e dice di non aver mai avuto paura, neppure la sera tardi quando le capita di rientrare da sola. Poi precisa che da un po’ di tempo sta più attenta se qualcuno la segue, perché ci sono stati di recente dei casi di violenza. In un vecchio quartiere sopra il porto, dove nel degrado generale fioriscono gallerie d’arte e negozietti “intelligenti”, le finestre a piano terra hanno le sbarre.

Le statistiche segnalano sempre “l’eccezionalità” di Marsiglia in materia di insicurezza.

Eppure andando in giro si percepisce altro: una vitalità, un’energia che sembrano sprigionate dal sole, da quella luce che ogni giorno fa ripartire la giostra. Nella grande folla che di giorno invade la città ci sono uomini e donne alla deriva, “pazzi” dicono qui, che rovistano nella spazzatura, che non chiedono neppure l’elemosina, ma che urlano dentro un piccolo cellulare «la mensa è chiusa e io cosa cazzo mangio oggi?», di alcolizzati che urlano rabbiosi ai semafori.

Silvia, un’italiana che lavora in un centro per il recupero dei minori, ammette che la spesa sociale per riassorbire l’area della marginalità estrema, quella dei “pazzi”, è largamente insufficiente. I marsigliesi ricchi vivono a Aix, spiega, non versano le tasse a Marsiglia.

E qui governa la destra.

Ma nella folla sfilano anche le carrozzine con i bambini, spesso spinte da un uomo solo, o le giovani coppie con bambini. Attorno, sui tavoli dei caffè scintillano le birre e svolazzano i piccioni, le cicche si buttano per terra, l’atmosfera è rilassata.

Reda, marocchino di passaggio, dice che qui fanno tanti figli perhè lo Stato francese, che ha stabilito il diritto di suolo, sostiene le nascite, le “finanzia”. Reda qui si sente a casa sua. Si mette a scherzare con il primo che passa. Ferma per strada un signore settantenne, stravolto, in pantaloncini, che sale di corsa la strada: «Quanti chilometri?» gli grida. «Quindici», ansima il vecchio atleta, che senza smettere di saltellare aggiunge «e prima un’ora di nuoto». C’è anche lui nella folla che non ha paura.

 

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