“Economici” o rifugiati?

La stretta sulle identificazioni è al centro del vertice Ue e Renzi incalza le regioni: “Chi non è rifugiato sarà rimpatriato”. Ma in Italia la maggior parte dei richiedenti ottiene la protezione umanitaria. Ecco perché la distinzione è quasi impossibile e, a volte, immorale

di Eleonora Camilli, tratto da Redattore Sociale

Selezionare i migranti direttamente nei paesi di origine o di transito, distinguere in maniera netta tra rifugiati e migranti economici, tra chi ha diritto a venire in Europa e chi no. Il tema dell’immigrazione è al centro del Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles, e tra le richieste che sono sul tavolo c’è quella di una stretta sempre più netta sull’identificazione di chi arriva in Europa, per concedere solo ad alcuni il diritto di restare. Lo stesso presidente del consiglio, Matteo Renzi, lo ha detto chiaramente questa mattina ai presidenti delle regioni: “I richiedenti asilo vengano accolti, i migranti economici siano rimpatriati”. Ma si può davvero operare una distinzione così netta tra queste due categorie? E quali scenari apre questa ulteriore “frontiera” immateriale alla possibilità di costruirsi una vita migliore?

LE 4 FORME DI PROTEZIONE

In Italia ci sono diverse forme di protezione internazionale:è richiedente asilo chi si trova al di fuori dei confini del proprio paese e presenta una domanda per l’ottenimento dello status di rifugiato politico.

Il rifugiato è colui che è riconosciuto, in base ai requisiti stabiliti dalla convenzione di Ginevra del 1951,“nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”.

C’è poi il beneficiario di protezione sussidiaria, cioè colui che, pur non rientrando nella definizione di rifugiato, necessita di una forma di protezione internazionale perché in caso di rimpatrio sarebbe in serio pericolo a causa di conflitti armati, violenza generalizzata o per situazioni di violazioni massicce dei diritti umani. Mentre il beneficiario di protezione umanitaria, ècolui che, pur non rientrando nelle categorie sopra elencate di rifugiato e beneficiario di protezione sussidiaria, viene reputato come soggetto a rischio per gravi motivi di carattere umanitario.

I RIFUGIATI, UNA MINORANZA DEGLI ACCOLTI

Guardando ai dati relativi alle richieste d’asilo negli ultimi due anni è proprio questa ultima forma di protezione a prevalere. Come ha spiegato il ministro dell’Interno Angelino Alfano dall’inizio dell’anno sono 59 mila i migranti entrati via mare in Italia: nel 25 per cento dei casi si tratta di eritrei, seguono i nigeriani (10 per cento), i somali (9 per cento) e i siriani (7 per cento). Da gennaio, inoltre, 22mila sono state le domande di asilo presentate, ma lo status di rifugiato è stato concesso solo nel 6 per cento dei casi, laprotezione sussidiaria ha riguardato il 18 per cento dei richiedenti, mentre i permessi umanitari sono stati accordati al 25 per cento dei migranti arrivati.
Una situazione più o meno simile a quella dello scorso anno: dove a fronte di 170 mila arrivi sono state 64 mila le domande presentate: nel 10 per cento dei casi è stato riconosciuto lo status di rifugiato, nel 23 per cento la protezione sussidiaria e nel 28 per cento la protezione umanitaria. Tra i primi paesi dei richiedenti protezione internazionale spiccano le persone che arrivano dalla Nigeria (10.135, il 16 per cento), Mali (9.790, il 15 per cento), Gambia (8.575, il 13 per cento), Pakistan (7191, 11 per cento) e Senegal (4.700, 7 per cento). Dunque la maggior parte delle persone accolte sul territorio italiano non sono rifugiati in senso stretto: oltre a chi fugge dall’incubo di Boko Haram, riceve protezione anche chi può dimostrare che tornando nel proprio paese andrebbe incontro a un danno grave, pur non essendo un perseguitato politico.

LA DISTINZIONE DIFFICILE…

“Tra i modelli internazionali la nostra costituzione ha una delle visioni più ampie sul diritto d’asilo – spiega Roberto Zaccaria, costituzionalista e presidente del Cir – Secondo il nostro sistema, che è tra i più avanzati, ha diritto alla protezione chi non gode nel suo paese dei diritti fondamentali che noi assicuriamo nel nostro”. La distinzione netta tra chi ha diritto a restare e chi no, che si basa solo sugli sconvolgimenti politici in atto nel paese d’origine, è dunque molto difficile secondo la nostra legislazione.
Inoltre, questa selezione rigida degli aventi diritto apre anche ad alcuni importanti interrogativi di carattere politico, ma anche morale: chi, anziché fuggire da una guerra, fugge da una vita di stenti non ha diritto a una vita migliore? E, inoltre, in alcuni stati africani, non formalmente in guerra ma dominati da situazioni di instabilità, le persone possono dirsi davvero sicure? Questa stretta sulle domande di protezione potrebbe diventare l’ulteriore barriera immateriale, che si frappone tra i profughi e la speranza di una nuova vita.

…TRA PERSECUZIONE E MISERIA

A dire no a questa sorta di “gerarchizzazione della disperazione” sono in particolare le associazioni che da sempre lavorano al fianco dei migranti. Secondo Mario Marazziti deputato di Per l’Italia ed esponente della Comunità di Sant’Egidio, che in questi giorni ha depositato una proposta di legge per la regolamentazione dell’asilo in Italia, “Dobbiamo ripensare le categorie: in tema di protezione ci sono molte situazioni miste – sottolinea – per esempio dove c’è la desertificazione ci sono persone che fuggono. Anche se tecnicamente in quel momento non c’è una persecuzione religiosa o militare in atto, si fa fatica a dire che chi scappa da quelle zone non è un profugo. Ormai siamo di fronte a forti populismi che puntano sugli egoismi nazionali o solo sul fattore economico – aggiunge – ma non si può non pensare che alcuni paesi vivono una condizione di insicurezza legata alle politiche di vendita di armi, allo sfruttamento energetico dove c’è una responsabilità anche dei paesi europei. Il limite tra la persecuzione e la scarsa possibilità di vivere è molto labile – conclude – Amartya Sen ci ha dimostrato che le carestie e le dittature camminano di pari passo”.

MIGRANTI DI SERIE A E DI SERIE B

Sulla stessa scia anche la Caritas. “A noi la distinzione tra rifugiato e migrante non interessa, interessano le persone – sottolinea il responsabile immigrazione Oliviero Forti -. L’urgenza di dare risposte concrete ai problemi collegati ai conflitti e alle persecuzioni, con interventi nell’immediato come i reinsediamenti, non deve mettere in ombra la condizione di chi fugge da condizioni di vita insostenibili come la fame, il degrado sociale e ambientale. Non si può fare una classifica di migranti di serie A e migranti di serie B. La migrazione nasce dalla volontà di cambiare la propria situazione in meglio – aggiunge -. Non a caso nel nostro paese siriani ed eritrei non chiedono asilo, ma si fermano solo le persone che arrivano dall’Africa subsahriana: per questi migranti la vita che trovano nel nostro paese è già infinite volte migliore di quella che vivono nel loro. Non possiamo chiudere gli occhi davanti alle condizioni di miseria che ci sono nel mondo e che nella maggior parte dei casi sono frutto della globalizzazione e dello sfruttamento attuato per anni dai paesi del Nord del mondo. Dobbiamo guardare agli individui non agli status”.

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