5 luglio, architrave di futuro

Il referendum greco è e rimane una tromba che squilla e che chiama

di Angelo Miotto
@angelomiotto

Dalla stesura di questo blog sono avvenute cose importanti: la proposta last minute della Commissione europea, la controproposta di Alexis Tsipras, per un terzo salvataggio in due anni e ristrutturazione del debito, la richiesta di bloccare in extremis il default per la tranche da 1,6mld di euro al FMI, negata dall’Eurogruppo. Dalla mezzanotte la Grecia è il primo Paese europeo che non rispetta il pagamento al Fondo Monetario Internazionale.  Il governo greco gioca a tutto campo, il referendum potrebbe anche dipendere dalle trattative. Ma il punto centrale è il discorso con cui Tsipras ha annunciato la decisione di rimettere al popolo la decisione.

Non è un derby, non è euro contro noeuro. Le ore passano e i confini del pensiero dominante si fanno sempre più aggressivi, le penne abituate a vivere di chi ha come matrice lo stesso sterile atto fondativo legato al mercato e al capitale, con il vestito buono compassionevole quando serve, sono scatenate. Sui giornali, sui social network dove la chiacchiera da bar viene investita di un argomento talmente epocale da sfuggire nei commenti e nello scambio anche infuocato di attacchi e difese, senza spesso avere un background che è difficile da costruire nei numeri, ma così semplice da individuare.

Il rapporto di forza è qui teso all’ennesima potenza, anzi sono due. Due vettori che tirano con forze opposte, ma con diversi pesi a disposizione. Perché i poteri forti sono ricchi di voci, mentre ai difensori sulla barricata opposta restano gli strumenti di networking, importanti sì, ma meno strutturati.

Manca una concezione del mondo. Anzi:per molti, tantissimi, questa concezione esiste e non sono certo quelli che calcolatrici alla mano usano verbi di ‘dovere’ rispetto al debito greco. La tragedia che è in corso – tale è poiché il finale sarà comunque non evitabile per i suoi protagonisti- ci propone delle figure che disegnano in maniera plastica cosa è stato costruito, sulla sabbia, fra banche e interessi economici europei e internazionali e quanto resti ancora alta e forte la speranza anche nella disperazione, in Grecia, e quanto si guardi in molti altri Paesi a quell’esempio di fermezza che in maniera strumentale si fa passare nel mainstream devoto ai capitali come codardia, pazzia. Il gesto di Alexis Tsipras e del suo governo, e del voto parlamentare che ha dato il via libera, di un referendum popolare è una delle poche buone notizie degli ultimi anni. E avviene sull’onda di una catastrofe, come vuole il paradosso della Storia. La forza di quel discorso a notte fonda, il riconsegnare al popolo una decisione che traccia il destino di milioni di persone, non essendo Syriza un partito unico, è da salutare come epico, oltre che profondamente etico.

Racconta di come abbiamo perso confidenza con questi concetti, a quanto siamo asserviti, prede del luogo comune perbenista e incravattato, o vittime di una sub-cultura dell’avere, consumismo da mercato spiccio e coatto, nel nome del chiedere qualcuno che si occupi della complessità che non si capisce, delle cose che farebbero far fatica, perché condividere le decisioni politiche e sociali vuol dire informarsi, vuol dire avere una opinione, significa attivarsi e uscire dai focolari ermetici che ci hanno cucito a botte di tubi catodici, di voci melliflue che hanno intontito i sensi e hanno plasmato belle parole vuote di significato. E che hanno tagliato le gambe alla cultura, agli investimenti perché le persone, il popolo, potesse avere più strumenti per capire, più comprensione estetica, etica, curiosità, fame e condivisione di sapere. Schermata 2015-06-30 alle 21.36.22 Il referendum greco è una tromba che squilla e che chiama. Chi si ferma alla questione del debito e non vede i collari che le istituzioni mai votate e non rappresentative, cani da guardia del sistema dominante, vogliono stringere al collo di un Paese distrutto dalle cure da cavallo dettate da una teoria che serve a generare profitti in altre zone, non ha occhi buoni e orecchie peggiori. Che sia un NO, che sia un SÌ, le cose cambieranno, certo, ma questo gesto rimarrà come un monito per chi ha a cuore davvero un concetto di Europa che non riposa sui forzieri, o sugli spread, ma sulla solidarietà; per chi non costruisce fortezza, ma sa accogliere, per chi non è massa di grigi burocrati burattini troppo spesso di regole arcigne, ma umana comprensione, cioè fatta di carne e di ossa.

Non è questo l’articolo delle aritmetiche o delle bestemmie nel leggere tanta cattiva informazione, compresi i fastidi per noi vacanzieri, mentre un popolo, un Paese, la nostra culla del pensiero, affonda.

Ripariamoci dalla goccia che scava degli amichetti del Bilderberg – lo scrivo senza complottismi, ma sono una lobby precisa e usano mezzi di comunicazione potenti e parole taglienti -, diffidiamo da entusiasmi barricaderi di chi vorrebbe, anche genuinamente, vedere in un sacrificio greco nuovo slancio per politiche progressiste nei singoli paesi. Guardiamo questo 5 luglio per quello che è: un atto di dignità, giustizia, umiltà e democrazia. Il rispetto di quello che dirà il popolo greco prima di tutto, al di là di come la si pensi. Sono vite, sono persone.

E da questo gesto di convocatoria per il 5 luglio, però, impariamo a rialzare la testa e a scrollarci di dosso i compromessi, la famosa nobile arte che serve solo se dietro c’è una concezione del mondo. I fondamentali di cosa sia una democrazia contemporanea siano architravi indistruttibili di coerenza per il futuro.

È un percorso, non una notizia da dimenticare passato un tempo. È un sussulto che parla la lingua delle nostre quotidianità. Ancora una volta lo iato, fra le diverse umanità d’Europa e la classe dominante, è incolmabile. Non esiste mai una sola strada, non si chiama Europa se si tiene sul ricatto.

 

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