Grecia. Cronologia di una crisi

Oggi si vota il referendum più importante. Ma come è iniziato tutto? Una cronologia completa per ricordare le origini della crisi economica in Grecia

a cura di Clara Capelli


2001-2007 La Grecia adotta l’Euro

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Sin dal principio la Grecia non rispettava i criteri di ingresso previsti dal trattato di Maastricht. Tuttavia, con la supervisione di Goldman Sachs, riuscì a far figurare di avere almeno un rapporto deficit/PIL al di sotto del 3%.
La Grecia è un’economia con grossi problemi strutturali, dalla bassa produttività alle diffuse pratiche di evasione fiscale. Tuttavia, il rapporto spesa pubblica/PIL era invece in linea con la media europea (particolarmente elevata è invece la spese militare), mentre il rapporto debito/PIL rimase sostanzialmente costante intorno al 100% negli anni pre-crisi. La debolezza principale è che la Grecia non è riuscita a creare una base produttiva sostenibile, alimentando invece un sistema economico basato sul consumo.
Gli anni pre-crisi dell’eurozona furono caratterizzati da bassi tassi di interesse. Ciò permise da una parte di finanziare il deficit pubblico – acquistato in buona sostanza da banche tedesche e francesi (che ben conoscevano i punti critici della Grecia) – e dell’altro portò all’esplosione del debito privato (sempre conseguente all’accesso dei capitali esteri), con il crollo del risparmio e il settore immobiliare a fare da traino negli anni di crescita greca tra l’ingresso nell’eurozona e lo scoppio della crisi.


2007-2009 Dalla crisi finanziaria alla crisi del debito greco

Con la crisi che fa crollare come un castello di carte i mercati finanziari, anche la Grecia viene colpita. Da una parte, il settore pubblico non trova più chi possa finanziare il suo deficit, dall’altro si trova a dover pagare dei tassi d’interesse più elevati sul debito preesistente.
Nell’ottobre 2009 il governo dichiara un buco nei conti pubblici. Inizia a porsi la questione della “sostenibilità” del debito. In un sistema in cui le singole nazioni hanno abdicato alla loro sovranità monetaria adottando l’euro (ma senza un’unione fiscale che riperequi gli squilibri fra economie), la Grecia si trova a dipendere dai mercati finanziari, perché non ha una Banca Centrale alle spalle che possa intervenire per acquistare i suoi titoli. In un momento di sofferenza generale, la Grecia accusa sia la recessione mondiale, sia la stretta della finanza internazionale che inizia a porsi dubbi sulla solidità dell’economia ellenica. A fine anno le agenzie di rating Fitch e Standard&Poor declassano l’economia greca, il che ne aumenta ulteriormente il costo del debito.


2010 La crisi e il primo programma di salvataggio

La situazione precipita. Standard&Poor declassa ulteriormente la Grecia, i tassi di interesse sul debito aumentano. Il 2 maggio 2010 il governo di Papandreu (Movimento Socialista Ellenico, Pasok) accetta un programma di salvataggio concordato con Banca Centrale Europea, Commissione europea e Fondo Monetario Internazionale per 110 miliardi di euro di prestiti su tre anni (80 dai Paesi europei e 30 dall’FMI) necessari a ripagare i creditori detentori di titoli di debito pubblico greco. Il pacchetto di aiuti impone severe misure di austerità con forti tagli alla spesa pubblica, aumento delle tasse e privatizzazioni.
La situazione, tuttavia, non migliora. Forti dubbi permangono sulle performance dell’economia greca, che indebolita dalle misure di austerità non può adottare misure espansive anticicliche per contrastare la recessione. Nel frattempo la crisi dell’eurozona ha investito Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna (che con la Grecia formano i cosiddetti PIIGS), sempre per ragioni di eccessivo indebitamento privato (Irlanda e Spagna) o indebitamento pubblico privo di misure monetarie di accompagnamento (Italia e Portogallo). Nel mese di giugno viene creato il cosiddetto Fondo Salva-stati, che appunto si occupa della gestione dei prestiti di aiuto a Grecia, Irlanda, Portogallo, per un totale di 440 miliardi di euro (verrà aumentato di altri 560 miliardi nel 2011).


2011-2012 Il secondo programma di salvataggio

L’instabilità permane, alimentata dai dubbi che i mercati finanziari nutrono nei confronti della stabilità non solo della Grecia, ma di tutti i Paesi periferici dell’eurozona. Nel luglio del 2011, altri 109 miliardi di euro di prestiti vengono accordati. In aggiunta a ciò, diversi istituti bancari accettano di convertire i titoli di debito pubblico greco in loro possesso in prestiti a scadenza trentennale, accettando una perdita del 50% del valore (si tratta di un “haircut”, ossia di una parziale cancellazione del debito). In questo modo, il debito detenuto dalle banche viene di fatto rilevato dal Fondo Salva-stati: la Grecia ora è indebitata con i Paesi dell’eurozona.
Il 31 ottobre Papandreu decide di indire un referendum sull’accettazione del pacchetto di aiuti. Questo annuncio genera grande scalpore, ma il referendum viene annullato il 3 novembre e Papandreu si dimette tre giorni dopo (verrà nominato un governo tecnico). Inizia a farsi strada l’idea che la Grecia debba abbandonare l’eurozona.
Il secondo programma di aiuti viene ratificato a febbraio 2012. Nel luglio dello stato anno, il governatore della BCE Mario Draghi dichiara in uno storico discorso che farà “whatever it takes” per preservare la stabilità dell’eurozona: il mandato della BCE la riduce a un mero controllore dell’inflazione, ma Draghi lascia intuire di essere pronto a intervenire per sostenere i debiti pubblici della periferia dell’eurozona, ponendo fine agli attacchi speculativi che avevano caratterizzato gli ultimi anni.


2012-gennaio 2015

La Grecia attraversa tre anni di forte instabilità politica, durante le quali i partiti – assai divisi fra di loro tra destra e sinistra, euroscettici e proeuropeisti – non riescono a costituire una solida maggioranza parlamentare. Il 25 gennaio 2015 si torna alle urne e Syriza ottiene il 36% dei voti e forma un governo con ANEL, partito di destra e di posizioni euroscettiche.
Syriza, coalizione di diverse anime della sinistra, è guidata da Alexis Tsipras e il suo manifesto politico è il cosiddetto “Programma di Salonicco”: rifiuto delle misure di austerità, potenziamento delle politiche di welfare e, soprattutto, un New Deal a livello europeo per investimenti pubblici nelle zone più colpite della crisi e la cancellazione del debito greco. L’obiettivo di Tsipras e del suo Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis è quello di far ripartire l’economia ellenica all’interno dell’eurozona, mentre altre voci – anche interne a Syriza – insistono sulla necessità di concordare la Grexit.
La Grecia, nel frattempo, non ha visto la sua performance economica migliorare. Il suo reddito medio si è ridotto di circa un terzo, la disoccupazione è poco sotto il 30 percento e dal 2010 il rapporto debito/PIL è salito dal 120% al 174%.
Nonostante gran parte del suo debito sia ora detenuto da creditori istituzionali e non da mercati finanziari, gli effetti dell’austerità hanno affossato il Paese anziché risollevarlo (lo stesso direttore del FMI Christine Lagarde ammise già nel 2013 che le previsioni fatte erano sbagliate). La Grecia si trova ora a sacrificare gran parte delle sue risorse per ripagare i debitori, mentre la sua economia collassa anziché decollare.


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4 febbraio 2015

La BCE annuncia che i titoli di debito greci non saranno accettati come garanzia per la concessione della liquidità. Di fatto, alla Grecia viene negata la possibilità di beneficare del Quantitative Easing, la misura espansiva adottata dalla BCE per stimolare il credito all’interno dell’eurozona. La Grecia potrà solo accedere – fino alla fine di giugno – all’Emergency Liquidity Assistance (ELA), un meccanismo di emergenza.


21 febbraio 2015

Le grandi speranze nutrite nei confronti di Syriza si infrangono quasi subito. Non viene concesso nessun taglio debito né possibilità di manovra politica in senso espansivo. I negoziatori greci portano a casa un’estensione di 4 mesi del programma di aiuti: otterranno 7.2 miliardi di aiuti solo a condizione di adottare una serie di misure, sempre legate alle privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica e riorganizzazione della tassazione.
Inizia così un lungo braccio di ferro tra i negoziatori greci e i loro creditori per concordare le esatte condizioni. Di cancellazione del debito non si parla più, ma i greci cercano di mantenere fede alle loro promesse elettorali di rifiuto dell’austerità, guadagnandosi l’antipatia delle istituzioni internazionali. Nel frattempo, i capitali hanno iniziato a lasciare la Grecia di fronte all’incertezza della situazione e alla possibilità che venga dichiarato default per l’impossibilità di ripagare i creditori, ritornando a una dracma fortemente svalutata.


24 aprile 2015

All’incontro dell’Eurogruppo a Riga, Yanis Varoufakis è oggetto di ostilità per la sua ostentata arroganza nel condurre i negoziati. Sia lui sia Tsipras sono convinti che l’uscita della Grecia dall’eurozona potrebbe avere un effetto di contagio sul sistema e indurre i mercati a speculare sull’uscita di altri Paesi. Dall’altra parte, i creditori sanno che la Grexit non sarà priva di difficoltà e sacrifici e che l’inesperto governo greco non può tornare ad Atene con un nulla di fatto.
Oltre alle resistenze del Fondo Monetario, i greci hanno a che fare con un fronte europeo assai compatto: a mantenere la linea dura non ci sono solo Germania e Francia, ma anche Paesi come la Finlandia, la Slovenia, la Slovacchia e i Paesi Bassi, tutti compatti sulle misure di austerità; un’analoga posizione mantengono Italia, Spagna e Portogallo, questi ultimi due governi preoccupati da questioni di politica interna, per evitare di essere scalzati dalle opposizioni.


11 maggio -7 giugno 2015

Dopo avere più volte agitato il dubbio che non ci fossero i soldi, la Grecia paga con un giorno di anticipo la tranche di debito dovuta al FMI. Questa fa parte della strategia di Varoufakis, insistere sull’impossibilità di ripagare il debito e sulla necessità di riorientare la spesa pubblica verso politiche di welfare e possibilmente programmi di investimento per fare leva sui creditori.
Al contrario, la situazione si fa sempre più tesa. Il 31 maggio Tsipras pubblica un articolo su Le Monde “Per chi suona la campana”, invocando a un’Europa di solidarietà e sottolineando la natura sistemica di un’unione zoppa, dove la moneta unica ha solo esacerbato – privando della sovranità monetaria e sul tasso di cambio – le disparità fra le varie economie europee.
Il 7 giugno il governo greco decide di non pagare la rata dovuta per quel giorno al FMI, salderà tutto – per un totale di 1,6 miliardi di euro – al 30 giugno. La questione del debito greco ritorna centrale per l’attenzione pubblica.


17 giugno 2015

La Commissione per la Verità sul Debito, formata nell’aprile 2015 e composta da greci ed esperti internazionali, pubblica i risultati dei suoi studi e il debito greco viene dichiarato illegale. Si sottolineano, fra le diverse cause descritte, il ruolo dell’indebitamento privato e della finanza privata come principali fenomeni alla base dell’esplosione del debito greco, laddove infatti il rapporto debito/PIL è rimasto costante intorno al 100% negli anni precedenti la crisi e il rapporto spesa pubblica/PIL era in linea con gli altri Paesi europei.


22 giugno 2015

Viene indetto un summit di emergenza tra Eurogruppo e governo greco. Quest’ultimo, nel frattempo, ha praticamente ceduto su quasi tutti i suoi punti programmatici, accettando aumenti dell’IVA su alcuni beni e servizi, revisione e tagli della spesa pensionistica e previdenziale. Eppure, l’accordo continua a non essere raggiunto nonostante gli incontri si protraggano per diversi giorni: mai abbastanza soddisfacenti per i creditori, troppo onerosi per il popolo greco e la sua economia per il governo ellenico.
Alcuni esponenti di Syriza protestano per le troppe concessioni di Tsipras e Varoufakis, ribandendo che la Grexit e il recupero della sovranità monetaria sia l’unica soluzione possibile a questo punto. L’uscita dall’eurozona comporterà ulteriori sacrifici, con controlli dei capitali ed erosione del potere d’acquisto dei risparmi. La stabilità del governo greco vacilla. Manifestazioni per e contro la firma dell’accordo hanno luogo in Grecia.


27 giugno 2015

Il Primo Ministro Tsipras indice un referendum per il 5 luglio, in cui i greci dovranno esprimersi se accettare le condizioni per lo sblocco degli aiuti. Se dovesse vincere il sì, si dimetterà.
Le banche vengono chiuse e vengono imposti forti controlli ai movimenti di capitale. La corsa agli sportelli si fa sempre più frenetica, perché la Grexit e il ritorno a una dracma svalutata spaventano. Nel pomeriggio i ministri delle finanze dell’eurozona fanno sapere che il programma di aiuti terminerà con il 30 giugno, senza possibilità di estensione. Il giorno successivo la BCE fa sapere che non aumenterà la liquidità di emergenza cui la Grecia accede tramite l’ELA.


30 giugno 2015

La Grecia non paga la rata di debito dovuta la FMI. Tsipras fa sapere che sarebbe disposto ad annullare il referendum solo se fosse possibile tornare al tavolo dei negoziati per trovare un accordo per un programma di aiuti che passi anche per una riduzione del debito. Nella notte invia una lettera in cui dichiara di accettare le richieste dei creditori, a eccezioni di alcuni punti minori. I creditori rifiutano la proposta, ritenendo che questi “punti minori” non sarebbero tali.
Viene inoltre chiesto di potere rimandare il pagamento al FMI.


1 luglio 2015

I Ministri delle Finanze dell’Eurogruppo fanno sapere che qualunque decisione sulla ripresa dei negoziati sarà sospesa fino anche il referendum non avrà luogo. Syriza fa campagna per il no, mentre le file agli sportelli non cessano. I dubbi permangono se una vittoria del no comporterebbe l’uscita della Grecia dall’eurozona.
Varoufakis propone un sistema a doppia valuta (euro-dracma).


2 luglio 2015

Le agenzie di rating declassano la Grecia e le sue banche, dopo che queste avevano migliorato il loro posizione negli ultimi anni. Nel pomeriggio il FMI dichiara i programmi di riforme della Grecia insoddisfacenti e sottolinea l’insostenibilità del debito greco. Secondo la sua analisi sarebbero necessari un altro piano di aiuti per circa 50 miliardi di euro (36 miliardi dai Paesi europei) su tre anni, un periodo di sospensione dei pagamenti dei prestiti dei Paesi europei di 20 anni e una possibile parziale cancellazione del debito.



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