Angola, diritti perduti

Visita del presidente angolano a Roma, ma di diritti umani non si parlerà

di Marcello Sacco

Poche settimane fa, a proposito dei 40 anni dall’estate calda di tutte le indipendenze nell’Africa lusofona, abbiamo parlato di una certa “disinvoltura democratica” del potere in Angola, dove si praticano arresti di dissidenti politici che corrispondono ad “autentici rapimenti che durano ore, magari qualche giorno, senza che dei detenuti si sappia nulla fino al rilascio”.

Ci si riferiva, in particolare, all’arresto di quindici giovani, fra artisti e intellettuali di vario tipo, avvenuto il 20 giugno scorso, mentre gli arrestati erano riuniti in un appartamento della capitale, Luanda, per discutere un libro di Gene Sharp, il pensatore americano da molti considerato l’ispiratore delle “rivoluzioni colorate”.

È bastato perché scattasse l’accusa di crimine contro la sicurezza dello Stato. Purtroppo quelle detenzioni durano ormai da più di qualche ora, i detenuti non hanno facile accesso a comunicare con i propri avvocati e qualcuno ha iniziato lo sciopero della fame.

Lo stesso presidente della Repubblica, José Eduardo dos Santos, scavalcando ruoli e paletti istituzionali, si è recentemente manifestato a favore di queste detenzioni, tutto in nome della pace e della sicurezza. Lo diciamo perché proprio il presidente angolano è in queste ore in visita di Stato in Italia, dove incontrerà Mattarella e Renzi e abbiamo diversi motivi per credere che gli arresti di Luanda non saranno argomento a colazione.