La troika e Merkel invadono Atene

Il governo Tsipras ha il cappio al collo, un cappio la cui estremità è in mano a Merkel e alla troika

di Bruno Giorgini

Quando, all’uscita dal Consiglio dei capi di stato e di governo dell’Eurogruppo, Tsipras dice tristissimo di avere salvato la dignità, mentre Merkel poco più in là elenca con puntiglio tutti gli obblighi – le controriforme – che il parlamento greco deve approvare a stretto giro di posta, un paio di giorni o giù di lì, e il governo eseguire, è chiaro che il premier greco è stato brutalmente sconfitto. Per giunta, finendo la cancelliera con: adesso che la fiducia è stata ripristinata possiamo eccetera, dove fiducia vuol dire in modo trasparente nè più nè meno obbedienza. Il che la dice lunga sull’intrinseco autoritarismo di Merkel, con una punta che emerge sempre di volgarità maramaldesca.

Non è possibile neppure la discussione se il bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto, perché il bicchiere non c’è più: gli oligarchi europei guidati da Merkel e troika si sono presi pure quello. Troika che torna a Atene per controllare, verificare, indirizzare eventualmente punire i greci che osassero dissentire, contestare e ribellarsi.

Il destino di Tsipras dipenderà, ben più che dal parlamento greco, dall’oligarchia la quale potrà scegliere se bastonare il cane che affoga oppure lasciarlo stare faticosamente a galla nell’acqua melmosa fino al suo discredito totale.

A meno che il parlamento non bocci il piano proposto. A meno che non ci sia un’insurrezione di massa contro il diktat dell’oligarchia. A meno che Tsipras stesso non dia le dimissioni sua sponte, non foss’altro per evitare la rottura di Syriza fino alla possibile frantumazione.

Come è accaduto che dopo la straordinaria vittoria del NO, OXI, si sia giunti a una sconfitta così plateale, addirittura chiamando la troika a vigilare sul fondo di garanzia con sede legale a Atene, acquisito dalle privatizzazioni/vendita dei beni comuni dello stato per ben 50 miliardi di euro.

La strategia del governo tedesco e della troika è stata semplice: la chiusura dei rubinetti del credito alle banche greche, lo strangolamento finanziario che si è ribaltato sui risparmiatori con le code ai bancomat, la crisi di pensioni, stipendi, salari, che non potevano essere pagati ai lavoratori, le strozzature dei crediti agli artigiani e quant’altro. Una vera e propria azione di guerra di cui Draghi e la BCE sono stati la punta di lancia, confermando quanto già scrisse Brecht, che è più criminale la fondazione di una banca della rapina a una banca. Una azione di guerra tra l’altro che è andata a segno nell’ultima trattativa, essendo Tsipras entrato completamente disarmato.

Fuor di metafora, non appena gli oligarchi si sono resi conto che Tsipras mai e poi mai avrebbe preso in considerazione l’uscita dall’euro, lo hanno imbullonato al tavolo delle trattative e martellato, colpo dopo colpo abbattendo le sue difese, travolgendo le cosidette linee rosse, fino alla vittoria finale devastante per l’uomo ancor prima del politico.

Il segno della resa era in realtà arrivato con le dimissioni di Varoufakis. Dimissioni esiziali per lo stesso premier greco che si è trovato solo in mezzo a un branco di iene fameliche, scusandomi con le iene. Con Varoufakis al fianco anche individualmente Tsipras era molto più forte, intanto per l’esperienza del suo ministro delle finanze abituato ai simposi internazionali accademici e scientifici, spesso non meno crudeli dei consessi politici, poi per la sua competenza e autorevolezza scientifica riconosciuta a livello mondiale nonché solidità teorica e anche arroganza (giusta), meglio, superiorità psicologica verso i burocrati della austerità e del liberismo, quindi perché poteva fare un gioco di squadra sia pur piccola e infine, la cosa più importante, perché Varoufakis incarnava la possibilità di uscire dall’euro in modo razionale e senza catastrofi, nel caso in cui l’oligarchia avesse rifiutato un ragionevole compromesso.

Due cose avrebbero dovuto accadere perché la trattativa avesse una concreta probabilità di concludersi con un compromesso onorevole.

La prima, che ci riguarda, sarebbe stata una mobilitazione internazionale di massa al fianco della Grecia. Se i parlamentari della sinistra avessero occupato il Parlamento europeo, se i dockers di Marsiglia si fossero rifiutati di scaricare le navi tedesche, se Podemos si fosse accampato nelle piazze, se l’IG metal, il sindacato dei metallurgici tedeschi, fosse sceso in sciopero anche solo per un’ora, se la FIOM avesse assunto inziative di lotta, e lo stesso vale per i centri sociali e tutte le altre forme di organizzazione del dissenso, dai NOTAV a Libera, allora l’oligarchia europea c’avrebbe pensato su due volte prima di calpestare la Grecia libera e il suo premier Tsipras. Ma in tutta evidenza la coscienza che si giocasse – si giochi – una partita di primaria importanza in cui siamo tutti coinvolti non c’è stata, se ne è parlato ma senza una vera e propria iniziativa politica di respiro continentale. Una partita per la democrazia, che è anche qualità della vita, e il contrasto a una Europa autoritaria fin sulla soglia del totalitarismo, non sopportando un governo di sinistra contro l’austerità e il liberismo, considerato come un corpo estraneo da ridurre con la violenza economico finanziaria all’ordine dominante. O da espellere.

La seconda cosa è quasi ovvia. Se la BCE, che emette gli euro, taglia i fondi e quindi la disponibiità di moneta, cioè se l’euro diventa la corda con cui ti strangolano, tu o accetti le loro condizioni in toto, comprese le più ingiuste, quasi psicotiche, oppure hai una sola altra strada: la nazionalizzazione della tua Banca Centrale, e degli altri istituti di credito, con la stampa di una tua autonoma moneta.

E questa strada devi prospettare agli oligarchi che vogliono soffocarti, essi devono sapere che ti stai preparando, il che non comporta che lo farai ma che lo puoi fare. A quel punto sta a loro scegliere, mentre tu parli al tuo popolo nel modo solenne che una possibile scelta di questo genere richiede – nel nostro caso dopo un referendum che hai stravinto. Il che non significa uscire dalla UE.

Certamente comunque poi andrai a cercare alleati e partner nel vasto mondo, per esempio i brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) , che stanno approntando una loro banca comune.

Perché Tsipras questa scelta non l’abbia messa in conto buttandola sul piatto della bilancia delle trattative, francamente è difficile dire. Forse si è fidato di qualcuno, chissà il pavido Hollande, forse è rimasto prigioniero di una ideologia della moneta comune, forse si è spaventato di fronte alla responsabilità che si sarebbe accollato. Comunque ora importa poco. Il governo Tsipras ha il cappio al collo, un cappio la cui estremità è in mano a Merkel e alla troika.

La partita non è chiusa però. L’oligarchia ha mostrato il suo volto intriso di prepotenza e ferocia. Merkel si è trovata in difficoltà e l’egemonia tedesca sull’ Europa ha barcollato.

Il velo delle giustifcazioni economiche e contabili è caduto, mentre cresce la coscienza diffusa che una Europa così produce fratture, diseguaglianze, stati psicotici. Cresce non solo tra i cittadini europei ma anche negli USA, non è un caso se molti dei più importanti columnist nonchè intellettuali e economisti si sono schierati a favore di Atene. Così come la messa sotto sorveglianza e ascolto delle telefonate di Merkel da parte dell’intelligence USA è ben lungi da essere un accidente. La banda dei quattro, BCE, CEE, FMI, Merkel è ormai smacherata nella sua politica di dominio in nome del profitto e dei merca(n)ti. Certo, ha dalla sua la forza bruta del danaro, la cattiveria dei potenti col pelo sullo stomaco, il manganello elettronico dei media schierati con l’establishment (quasi tutti), l’orgia dei poteri, epperò le genti d’Europa cominciano a destarsi dal lungo e ingannevole sonno delle magnifiche sorti e progressive che dovevano arrivare sulle ali del liberismo globale. Un risveglio doloroso e salutare che forse potrà diventare dissenso, contestazione e rivolta della maggioranza.

Le ragioni ci sono, la forza per affermarle va organizzata, sapendo che nello scontro ci possono essere momenti di compromesso, ma che alla trattativa non si può andare disarmati, e che l’euro non è irrinunciabile. Più precisamente l’Europa unita non è l’euro, e il dominio degli oligarchi può essere abbattuto, proprio come accadde in Grecia all’incirca nel V secolo a.C., sperabilmente oggi senza passare attraverso la guerra civile.