E lo chiamano sviluppo…

Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio lasciano il palcoscenico all’entrata (un po’ zoppicante) degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile

di Giulia Franchi

tratto da Re:Common

Quattro giorni impegnativi quelli che sono cominciati ieri ad Addis Abeba. Con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che sembrano da cestinare come uno yogurt scaduto e l’agenda nuova fiammante degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile pronta a essere adottata al Palazzo di Vetro di New York il prossimo settembre prossimo, nella capitale etiope si apre la terza Conferenza delle Nazioni Unite per il Finanziamento allo Sviluppo.

Sebbene fame e povertà estrema non siano state ancora cancellate (obiettivo numero uno), l’HIV e la malaria tutt’altro che archiviate (obiettivo numero 6), la mortalità infantile per nulla un brutto ricordo (obiettivo numero 4), l’uguaglianza di genere sia una chimera (obiettivo numero 3) e la sostenibilità ambientale ben lungi dall’essere una realtà in atto (obiettivo numero 7), è arrivato il tempo di cambiare.

Con il nuovo secolo che è ormai un adolescente, gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio cominciano a suonare un po’ retrò e lasciano quindi il palcoscenico all’entrata (per la verità un po’ zoppicante) degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

L’agenda costruita sui “nuovi” obiettivi rappresenta la faccia presentabile di quanto prodotto dal Summit Rio+20. Senza troppo riuscirci, di quel vertice super-strombazzato si è provato a nascondere il sostanziale fallimento (per la gente comune, il clima e l’ambiente). In Brasile, infatti, si è sancito una volta per tutte che se la crisi climatica e ambientale può attendere, i mercati no.

E visto che Ban Ki moon ci tiene a far parte della prima generazione che porrà fine alla povertà, e che le belle parole non producono cibo (come sostenuto dallo stesso segretario generale dell’Onu), la Conferenza per il Finanziamento allo Sviluppo 2015 prende le mosse dal crescente riconoscimento “che la cooperazione allo sviluppo non è solo una questione di aiuti” e si configura come un monito solenne che invita a bandire le chiacchiere e a ragionare di affari.

A dire il vero di affari si parlerà in maniera quasi esclusiva. Dei tre grandi appuntamenti di questo “2015 in via di sviluppo”, con il Vertice Onu sull’Agenda post-2015 a New York di fine settembre e la Conferenza sul clima a Parigi di dicembre, l’incontro di Addis serve sostanzialmente a trovare i soldi. Rinnovato (davvero?) il quadro concettuale delle politiche dello sviluppo da qui al 2030, il “come le paghiamo” resta il tema del vertice, accompagnato da un forse meno sbandierato “quanto ci guadagniamo”.

Non a caso, la bozza di accordo in discussione in Etiopia spinge le solite istituzioni finanziarie, Banca mondiale in testa, ad aprire nuove linee di credito, che per i paesi “beneficiari” vorrebbe dire nuovo debito sulla via dello sviluppo. Come se non bastasse, per risollevare le sorti della cooperazione allo sviluppo si vuole ricorrere a meccanismi di ingegneria finanziaria, incluso il contestato e fallimentare mercato dei crediti di carbonio.

Nonostante l’inquietante coincidenza con le ore drammatiche del Summit europeo sulla Grecia, che gli ha fatto ritardare la missione africana di 24 ore, il premier italiano Matteo Renzi non sembrerebbe volersi perdere la conferenza di Addis Abeba per (quasi) nulla al mondo. Unico paese europeo (oltre alla Svezia) presente con il proprio capo di governo, tra tanti altri rappresentati a livello ministeriale, per l’Italia la Conferenza sarà forse l’occasione per lanciare la nuova riforma della cooperazione, nonché per discutere con i vertici dell’Unione Africana di anti-terrorismo e controllo dell’immigrazione.

O più semplicemente costituirà l’occasione per tornare in Etiopia a visitare le dighe multimilionarie della Salini/Impregilo costruite anche coi soldi del fondo rotativo per lo sviluppo, e magari anche la nuova sede dell’Istituto Italiano per il Commercio Estero aperta da poco ad Addis Abeba.

Purtroppo il Viceministro Lapo Pistelli non sarà più lì ad accompagnarlo, perché dal primo luglio è Vice Presidente Senior dell’ENI con focus su Africa e Medio Oriente. Ma proprio per questo Renzi non deve sentirsi abbandonato. Del resto, come diceva l’ex ad del Cane a Sei Zampe Paolo Scaroni all’inaugurazione del Forum della Cooperazione di Milano di qualche anno fa, “la Cooperazione allo sviluppo è diventata il pezzo chiave della nostra strategia d’impresa, è indispensabile”.

Più “sistema Italia” di così…