Se si viola la santità di una moschea

Il significato del raid israeliano nella moschea di Gerusalemme. Se la guerra non si ferma nemmeno di fronte alla libertà di culto.

di Paola Caridi, tratto da InvisibleArabs

Pochi giorni sono trascorsi dall’ultima volta che Gerusalemme era entrata nelle case degli italiani attraverso la TV. Pochi giorni fa, la Città Tre Volte Santa aveva fatto il suo ingresso attraverso la visita di Matteo Renzi a Israele/Palestina, e soprattutto attraverso il suo discorso alla Knesset. Il discorso di un presidente del consiglio leader del più importante partito della sinistra italiana. Un discorso di sostanziale sostegno a un governo, quello di Benjamin Netanyahu, dichiaratamente di destra, e altrettanto nettamente contro la soluzione dei due Stati. Ma tant’è, l’Italia è cambiata, e si sono modificate le nostre linee strategiche nel Mediterraneo… I commenti potrebbero essere molti.

Nessuno – dal mio punto di vista – positivo, soprattutto riguardo alla nostra possibilità di influenza e mediazione nel Medio Oriente, messa a serio rischio da una presa di posizione così chiara per un governo, l’attuale governo israeliano, che ha proseguito senza sosta nella sua politica di ampliamento degli insediamenti e repressione durissima in Cisgiordania.

La notizia di oggi, però, non è Matteo Renzi, non è la nostra politica mediterranea. La notizia, stavolta, è proprio Gerusalemme. E proprio quella Gerusalemme crudele, quella ‘Gerusalemme senza Dio’ che avevo deciso di narrare in un libro. Una Gerusalemme in cui il conflitto sequestra i suoi abitanti, li nasconde al mondo, salvo poi esibirli di colpo in una domenica di fine luglio. Domenica calda, in Italia. Caldissima, sulla Spianata delle Moschee.

blitz gerusalemme

La tensione è alta, in Città Vecchia. Lo scrivono le cronache, e non faccio fatica a crederlo. Lo è da anni, soprattutto quando i coloni israeliani e i militanti dei partiti della destra-destra israeliana decidono di rompere lo status quo che regola la vita e la preghiera sulla Spianata delle Moschee. Il Gran Rabbinato di Israele proibisce agli ebrei di salire sul Monte del Tempio, affermando – all’ingresso della Spianata punto di accesso per i non musulmani – che il divieto si basa sulla legge della Torah. Una proibizione di tipo religioso, questa, che nasconde senza dubbio un patto di non belligeranza di carattere politico. Gli ebrei non salgono sul Monte del Tempio, indicando uno status quo sulla Spianata delle Moschee che, se modificato, avrebbe conseguenze di difficile valutazione. Sul piano interno e su quello del diritto internazionale, riguardo ai doveri della potenza occupante (Israele) sul luogo occupato (Gerusalemme est).

La questione dei Luoghi Santi, e soprattutto di quello che viene indicato come lo Holy Basin, è centrale nel conflitto israelo-palestinese, anche se le nostre diplomazie continuano a volerla nascondere dentro un cassetto chiuso a doppia mandata. È però la storia, la cronaca a riportarla in superficie, com’è successo oggi, e com’era successo nel 2000 con la passeggiata blindata di Ariel Sharon, protetto da migliaia di poliziotti israeliani. Oggi, i soldati israeliani hanno compiuto un pesante raid sulla Spianata, hanno ferito fedeli palestinesi musulmani, hanno arrestato almeno tre persone. E sono entrati dentro la moschea di Al Aqsa. Il terzo luogo santo dell’Islam. Per fare un paragone (ovviamente inesatto) in chiave cattolica, è come se soldati fossero entrati nel santuario di Lourdes, armati di tutto punto.

I soldati hanno compiuto il raid, e gli estremisti israeliani sono entrati sulla Spianata, contravvenendo al divieto del Gran Rabbinato. Non è la prima volta che succede. Sono anni che piccoli gruppi di coloni e appartenenti all’estrema destra israeliana entrano sulla Spianata delle Moschee protetti dai soldati. Rivendicano non solo e non tanto la libertà di pregare sul Monte del Tempio, ma l’obiettivo chiaro, palese di ricostruire il Terzo Tempio. E la visita di oggi non è slegata da questo sogno che l’estrema destra coltiva in maniera aperta: oggi si celebra Tish b’Av, che ricorda la distruzione del Secondo Tempio.

Perché non concedere agli ebrei di pregare su quello che è il luogo, il centro della loro fede e della loro storia? Sembra folle, questa proibizione. Così come sembra folle proibire ai palestinesi musulmani di pregare nella moschea di Al Aqsa, nel terzo luogo santo dell’islam, dopo Medina e prima di Damasco: questo però succede ogni venerdì, quando gli ingressi alla Spianata delle Moschee sono limitati dalle autorità israeliane, quasi sempre agli uomini sopra i 50 anni. C’è, dunque, una libertà di preghiera a Gerusalemme? Nella mia esperienza decennale di abitante e giornalista a Gerusalemme, devo dire in tutta sincerità che no, la libertà di preghiera non è tutelata, non è per tutti. Ed è parte integrante del conflitto e della questione cruciale di Gerusalemme.

Come per tutto il conflitto, i doppi standard sono all’ordine del giorno. Un raid in una moschea, una piccola moschea in Cisgiordania o la grande moschea di Al Aqsa, passa quasi inosservato. Nessun grande titolo, nessuna riflessione su quello che può significare difendere i diritti a corrente alternata. I luoghi sacri e santi sono sacri e santi. Si chiamino sinagoghe, chiese, moschee.

Vi si respira la stessa aria ferma, antica, santa. È la stessa aria, bella e antica e serena, che ho respirato dentro la Moschea di Al Aqsa, quando sono entrata senza scorta di soldati e poliziotti. Sono entrata da laica e cattolica, nel profondo e sentito rispetto per i fedeli musulmani, con lo stesso spirito con il quale sono entrata nella moschea di Al Azhar al Cairo e in quella degli Omayyadi a Damasco, tanto per esemplificarne solo due.

Il raid israeliano nella moschea di Al Aqsa è come un cerino sotto una paglia ben secca. La paglia ben secca non comprende solo il Medio Oriente, ma tutti i fedeli musulmani nel mondo.

La domanda che dovremmo allora porci, la prima domanda, è chi ha interesse ad accenderlo, questo cerino, e per quale obiettivo. Deve scoppiare un’altra guerra per Gerusalemme, così da volgere lo sguardo da un’altra parte riguardo ai destini del grande Medio Oriente? Oppure deve continuare la politica che vuole la modifica de facto dello status quo a Gerusalemme, voluta dalla destra israeliana?