Per una storia dell’umanità migrante

Come costruire lo sviluppo sostenibile e affrontare la questione migratoria: un dialogo con Abba Mussie Zerai, candidato al Premio Nobel per la Pace.

di Simona Chiapparo
La foto di apertura è di Vik Muniz, Lampedusa, 2015

Nei giorni tra il 13 e il 16 luglio 2015 si è svolta ad Addis Abeba la terza conferenza sul finanziamento dello sviluppo, a cui l’Unione Europea ha partecipato con l’obiettivo di attivare il partenariato globale che conduca ai mezzi di attuazione dell’Agenda per lo sviluppo post-2015, come dichiarato da Neven Mimica, Commissario per la Cooperazione internazionale e lo sviluppo e ribadito dalla stessa Federica Mogherini, Alta rappresentante e Vicepresidente UE.

Nelle dichiarazioni programmatiche della Conferenza di Addis Abeba è stato rimarcato, come aspetto fondamentale per lo sviluppo sostenibile, la promozione di peaceful and inclusive societies. Appare dunque stridente, per non dire ambiguo che, in vista della siglatura dell’undicesimo accordo di cooperazione nell’ambito del Fondo europeo per lo sviluppo, i negoziati tra Unione Europea ed Eritrea prescindano dalla naturale richiesta della UE che, in cambio del finanziamento di 312 milioni di euro, le autorità di Asmara si impegnino a superare le gravi violazioni dei diritti umani di cui è accusato il regime di Isaias Afewerki.

foto 2_Adrian Paci, Home to go, 2001

Adrian Paci, Home to go, 2001

(Simona Chiapparo) Secondo lei quali sono i motivi alla base di tali ambiguità da parte dell’Unione Europea?

(A.Mussie Zerai *) L’Unione Europea, in questo frangente, ha come obiettivo centrale quello di frenare e di fermare l’esodo delle persone che arrivano sulle coste italiane e greche: suo interesse primario è arginare i flussi migratori piuttosto che tutelare i diritti di queste persone o proteggerle. Quindi attualmente la preoccupazione reale dell’Unione Europea è come bloccare le migrazioni verso i propri territori. Nello stesso momento, c’è un altro interesse ancor più grande per l’Unione Europea: la situazione geopolitica dei territori afferenti al Corno D’Africa.

Nello specifico, si tratta di un interesse collegato alle multinazionali del settore energetico che hanno un coinvolgimento diretto nelle zone di quest’area geografica africana. Per cui ora la questione dei diritti umani viene relegata alla stregua dell’ultima ruota del carro e non rappresenta più un argomento cruciale per i dibattiti e i negoziati reali della diplomazia internazionale, soprattutto da parte dei rappresentanti dell’Unione Europea. Tanto più che occorre considerare come l’Unione Europea sia costretta a rincorrere e a competere con la Cina che sta investendo e occupando ampi spazi nello scenario economico del continente africano. E la Cina non intende attualmente impegnarsi per la tutela dei diritti umani in Africa, perché ritiene che si tratti di questioni riguardanti gli affari interni dei singoli stati africani e non un suo campo specifico di intervento. Questo implica che, per molti regimi africani dittatoriali e non, la Cina incarni un interlocutore privilegiato.

Ecco che l’Unione Europea (e non solo!), per contrastare questa concorrenza cinese in Africa, ha scelto di cedere sui principi e su quello che si sperava fosse il pilastro centrale della sua politica estera: ossia i diritti dei popoli e delle persone. Invece oggi il tema dei diritti umani non è più ritenuto prioritario per l’Unione Europea, perché tutte le azioni di politica estera sono considerate finalizzate allo scopo di aprirsi delle piste e di gareggiare per avere una fetta della torta dei possibili introiti finanziari, derivanti dall’essere presenti in Africa. Dunque, al momento, l’Unione Europea decide di indirizzare tutti i suoi sforzi a interrompere i flussi migratori, oltre che ad ottenere spazio, all’interno di questi territori africani al centro di dinamiche geopolitiche, energetiche e militari. E non bisogna dimenticare che il traffico e la compravendita di armi trova in queste zone dell’Africa un significativo ramo del mercato internazionale.

foto 3_Massimo Pastore, In Marocco, 2014

Massimo Pastore, In Marocco, 2014

 

(S.C.) Intanto, il dibattito sullo sviluppo sostenibile proseguirà con il Vertice ONU sull’Agenda post-2015,previsto a New York per fine settembre e con la Conferenza sul clima che si svolgerà a Parigi, nel mese di dicembre. Conferenze internazionali che mancano di interrogarsi sulla questione del forced displacement. Eppure, come evidenziato dall’ultimo rapporto annuale UNHCR Global Trends, pubblicato il 18 giugno 2015, il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni nel mondo è arrivato, nel 2014, alla straordinaria cifra di 59,5 milioni. Ora “se questi 60 milioni di persone costituissero uno stato, questo sarebbe il 24esimo più popoloso del mondo” ha affermato l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati. Come interpreta questa mancanza di una visione geopolitica complessa da parte delle istituzioni internazionali che dovrebbero impegnarsi in nome di uno cosiddetto sviluppo sostenibile?

(A. Mussie Zerai) Il problema è che un organismo internazionale quale l’ONU, per come è strutturato, risulta essere appiattito o meglio asservito alla volontà degli stati membri e non è in grado di esprimere una propria strategia geopolitica. Non è che l’ONU non conosca le diverse situazioni territoriali, ma fino a quando all’ONU siederanno stati che abusano del diritto di veto e che possono condizionarne l’operato, questo organismo internazionale non sarà libero di agire e sarà senza via d’uscita. Ciò in quanto l’ONU si regge sui finanziamenti di stati che avendo particolari interessi economici e finanziari in alcuni contesti, quali quello africano, ovviamente ne paralizzano le azioni e le scelte. Quindi l’ONU si limita ad apporre dei cerotti sulle ferite, ma senza guarirle! Trova soluzioni temporanee alle diverse criticità, ma non si impegna a curarne le cause, né può efficacemente occuparsi di salvare la vita delle persone. L’ONU al momento non riesce intervenire realmente sui motivi che spingono i cinquanta milioni di persone a mettersi in viaggio per il mondo come rifugiati.

(S.C.) “L’Unione europea e i suoi Stati membri sono pronti a superare insieme la sfida rappresentata dalle pressioni migratorie”, ha recentemente dichiarato Jean Asselborn, ministro lussemburghese dell’immigrazione e dell’asilo e presidente di turno del Consiglio Ue degli Affari interni. Malgrado ciò risulta ancora mancante un programma socio-culturale globale dell’Unione Europea sulla tematica migratoria. Perchè al di là delle quote di rifugiati per paese e dei dispositivi di controllo sulle migrazioni clandestine, occorrerebbe un’azione di sensibilizzazione collettiva volta ad informare, in modo congruo, le società europee nei confronti delle ragioni che spingono un essere umano ad abbandonare la propria terra, attraverso viaggi verso la “salvezza europa” che non sempre hanno un esito positivo. Come auspicato da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, in un recente appello al Presidente della Repubblica Italana, è urgente lavorare ad “una stagione diversa nell’accoglienza, condotta soprattutto con una comunicazione corretta delle istituzioni verso il territorio, che eviti i corto circuiti di intolleranza e xenofobia”. Sarebbe opportuno che di questa comunicazione corretta si occupassero gli esponenti del terzo settore che sono coinvolti in prima line nell’accoglienza a migranti, rifugiati e richiedenti asilo.

(A. Mussie Zerai). E’ vero, alcune organizzazioni come Amnesty fanno vari tentativi per comunicare e sensibilizzare l’opinione pubblica, ma bisognerebbe fare di più e meglio per arginare campagne elettorali xenofobe e demagogiche, fatte sulla pelle di migranti e rifugiati. Certo, molte delle organizzazioni civili che si occupano di questioni migratorie non hanno facilità di accesso agli strumenti mediatici di comunicazione. Anzi, possiamo dire che molto raramente i media scelgono di rappresentare le storie di migranti e rifugiati. Invece la classe politica – che ha un canale privilegiato di utilizzo dei media – ha una sua specifica responsabilità, laddove divulga messaggi basati sulla paura e sulla discriminazione, sostenendo una particolare raffigurazione di migranti e rifugiati come se fossero specifiche categorie criminali. Questo fa sì che ci sia un discorso sociopolitico che distoglie la percezione dell’opinione pubblica, dalla reale comprensione del dramma umano che si cela dietro migranti e rifugiati. E’ per questo che bisogna sforzarsi di comunicare, partendo dalle scuole e puntando a parlare con le giovani generazioni.

Le campagne di informazione e sensibilizzazione devono rivolgersi ai ragazzi, perché sono loro il futuro delle società. E occorre impegnarsi a trovare un’alleanza con i mass media, perché diventino veicolo collettivo delle storie, delle motivazioni e delle cause che sono dietro la fuga di milioni di persone e che spiegano quello che viene descritto semplicisticamente come il fenomeno degli sbarchi e degli arrivi di migranti. Tutte le organizzazioni che lavorano, a vario titolo, con migranti e rifugiati devono poter fare di più e arruolarsi in una costante e capillare volontà di testimonianza delle storie degli esseri umani che, in termini riduttivi, sono indicati come migranti e rifugiati. I media e la società parlano solo dei numeri degli arrivi e degli sbarchi, ma quasi mai sono protesi a narrare e ad ascoltare le storie umane che si celano dietro le migrazioni. Dobbiamo raccontare queste storie, perché queste storie riguardano tutti noi.

 

 

*Abba Mussie Zerai, è un religioso eritreo, responsabile di Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo. Don Zerai è tra i promotori della petizione a sostegno dei diritti umani in Eritrea.

L’articolo è stato realizzato nell’ambito di New Worlds, un progetto di analisi e racconto delle dinamiche migratorie, a cura di Ariete Onlus, Centro Studi Ksenia e Geronimo Carbonò. L’articolo inaugura una serie di dialoghi/interviste che accompagneranno il dibattito intorno ai contenuti della Carta di Napoli/ Urbanitas & Sustainable Solidarity Charter, il cui primo draft è stato presentato dal Tavolo di Cittadinanza, presso il CEICC-Europe Direct del Comune di Napoli (Napoli, 24 Giugno 2015).

E’ possibile inviare la propria adesione e proposte per i contenuti della Carta di Napoli, scrivendo all’indirizzo: communitas@associazioneariete.org entro il 20 Ottobre 2015.