Cile: il riscatto dei “piccoli”

L’impegno dello stato sudamericano per valorizzare l’agricoltura dei campesinos e le radici indigene del Paese

«Mi Patria delgada» la chiamava il poeta Pablo Neruda. Il Cile: una nazione «sottile» di 4200 chilometri di lunghezza che si snoda tra la Cordigliera delle Ande e l’abbraccio freddo del Pacifico. A Nord il deserto di Atacama, considerato il più arido del mondo, e a Sud i ghiacciai eterni dell’estremo Meridione. In mezzo il «cordone ombelicale» delle vallate centrali, che ospitano la maggior parte dei cileni, suddivisi tra la capitale Santiago, Valparaíso e Conceptión. Ed è questa riserva bucolica, fatta di campi, valli e città fortunate, che costituisce una delle principali ricchezze del Paese: un territorio, che beneficia di un clima mediterraneo, dedito all’agricoltura, che il governo cileno sostiene e promuove con particolare orgoglio, anche in occasione dei sei mesi dell’Expo di Milano.

Un risveglio e un riscatto delle origini contadine di un popolo vigoroso e fiero, dai molteplici volti, frutto di ondate migratorie successive e dell’anima indigena di popolazioni che lottano quotidianamente per preservare le loro radici, lingua e identità.

Ed è proprio nella mescolanza del volontarismo politico di Santiago per promuovere l’agricoltura sostenibile ed inclusiva e, ancor prima, la piccola famiglia contadina cilena, e nell’inedito riconoscimento dell’importanza delle popolazioni indigene che si delinea oggi l’immagine di un Paese in bilico tra modernità e nostalgia.
«Non possiamo spiegare cosa siamo se non onoriamo la nostra identità primaria, i nostri antenati e i nostri popoli nativi», spiega al Padiglione del Cile all’Expo di Milano, Osvaldo Zúñiga, un dirigente «campesino» invitato in occasione della «Settimana della Famiglia Contadina« (3-7 agosto).

Il padiglione del Cile a Expo 2015

Il padiglione del Cile a Expo 2015

Un’identità che si intreccia con la storia di un mondo rurale che il governo cileno sta promuovendo attraverso investimenti mirati. Con risultati più che incoraggianti: negli ultimi dieci anni, le esportazioni di prodotti agroalimentari cileni sono raddoppiate e l’anno scorso hanno superato i 13 miliardi di euro.

Oggi il Cile è un attore solido nel mercato globale dell’agroalimentare ed esporta, negli Stati Uniti, Europa ed Asia, frutta, ortaggi, olive e vini sempre più apprezzati a livello internazionale.

Il Cile è, ad esempio, diventato il terzo produttore mondiale di kiwi. «Siamo di fronte a un’enorme sfida per la commercializzazione dei prodotti agricoli che provengono dai piccoli poderi. Stiamo lavorando per creare negozi dediti alla vendita di queste produzioni, un spazio apposito nei supermercati nazionali ed interagiamo con numerosi sindaci del Paese per aumentare il numero dei mercati e delle fiere locali», spiega Octavio Sotomayor, direttore nazionale dell’INDAP, un istituto per lo sviluppo agricolo che dipende dal ministero dell’Agricoltura cileno. Una sfida a cui il governo ha per esempio iniziato a rispondere con la creazione dell’etichetta «Sello Manos Campesinas» che identifica tutti i prodotti provenienti dall’agricoltura familiare.

«Quando parliamo dell’Agricoltura familiare contadina ci stiamo riferendo a ben quasi il 25 per cento dell’offerta complessiva di alimenti in Cile. E soprattutto parliamo di una proposta diversificata di prodotti sani, genuini, tracciabili, cresciuti in un ambiente protetto da barriere fitosanitarie naturali», dichiara Carlos Furche, ministro dell’Agricoltura del Cile.

Un terra generosa dunque dove, grazie a queste barriere fitosanitarie, riescono a crescere specie vegetali scomparse altrove, come ad esempio alcuni dimenticati vitigni. Ma si tratta anche di una terra che sa essere bizzosa e che è spesso capace di una forza devastatrice.

«Noi Mapuche (etnia originaria del Cile), proviamo un profondo rispetto per la terra nonostante i suoi pericolosi capricci, come i terremoti, la voce dei vulcani… Siamo tutti orgogliosi figli della terra e da questa dipendiamo», spiega lo scultore che, al Padiglione del Cile, invitato per la «Settimana della Famiglia contadina», ha scolpito due enormi totem simbolici che ha lasciato in dono all’Italia.

I totem di Antonio Paillafil

I totem di Antonio Paillafil

Questa redenzione della terra e dei suoi abitanti più umili è iniziata in Cile ben 53 anni fa con una «Reforma Agraria» che negli anni settanta è diventata uno dei cavalli di battaglia del Presidente Salvador Allende. Oggi continua ad essere una priorità del governo Bachelet che ogni anno festeggia la «Giornata del Contadino», estesa l’anno scorso anche alle «contadine del Cile» per volere del capo dello Stato.

«In Cile gli attori dell’agricoltura familiare contadina sono circa 180 mila. Si tratta di piccoli e coraggiosi produttori per i quali il governo ha già stanziato circa 400 milioni di euro», precisa Furche.

Poi, il ministro evoca i circa 200 milioni di euro investiti dal suo esecutivo per progetti destinati a sostenere il settore agricolo toccato dalle ripercussioni del cambiamento climatico e, in particolare, dalla siccità.

«Il cambiamento climatico rappresenta un ostacolo allo sviluppo delle nostre politiche agricole. In Cile, 194 comuni su 346 conoscono attualmente una grave emergenza siccità, la neve si trova a quote sempre più elevate, le temperature medie sono più alte e piove generalmente meno di prima», ha spiegato il ministro.

Ed è questo il Cile che si è presentato all’Expo di Milano con un Padiglione di 2 mila metri quadri, concepito dal celebre architetto cileno Cristián Undurraga ed interamente fabbricato con legno importato dalla «Patria delgada» di Neruda.

Un Cile che protegge il suo patrimonio naturale e sociale. Un Paese che si vuole operoso e proiettato verso la modernità, ma ora anche sensibile a quelle origini precolombiane e ai loro rappresentanti che, per secoli, ha trascurato.

«Le nostre espressioni artistiche sono sempre la manifestazione di una certa alterità e di una atavica ribellione. Noi lottiamo per i nostri diritti, per l’acqua, per la terra e per salvaguardare la nostra lingua», spiega, nel Padiglione cileno, il tenore di origine Mapuche José Quilapi, prima di intonare un canto indigeno dedicato alla stella del mattino.