Il cancro e l’(im)mortalità

Nel corpo avvengono milioni di mutazioni, e anche di suicidi cellulari, perché alcune virino e/o degenerino in cellule tumorali non si sa

di Bruno Giorgini

Il cancro è la coabitazione con la morte. Avere il cancro significa essere in coabitazione con la morte. Il che vanifica il saggio consiglio di Aristotele laddove più o meno dice che i mortali devono vivere come se fossero immortali. Nel contempo la mia vita non è il mio cancro. Non deve esserlo. Se un piede è nella fossa, l’altro deve stare il più possibile, e finché è possibile, su un prato se vi piace camminare sull’erba. O dove preferite, magari sul marciapiede davanti casa, o nei viali dell’ospedale. Sapendo che camminare di sghimbescio con un piede là e uno qua è parecchio difficile, scomodo e doloroso.
Parlo su, e di, un argomento tanto delicato come il cancro per esperienza diretta. In corpore vivo lungo un ampio arco di tempo che si estende fino al presente. Perché il futuro col cancro è incerto, parecchio incerto, assottigliandosi fino a diventare filiforme, un filo di fumo che si dissolve nell’aria.

Ricordate il folgorante inizio di Anna Karenina: tutte le famiglie felici sono felici allo stesso modo, ogni famiglia infelice lo è a modo suo. Lo stesso vale per il cancro: tutte le persone sane – indenni – sono sane allo stesso modo, ogni persona col cancro lo è a suo modo.

Il cancro è una vicenda individuale, e anche quando porta lo stesso nome il cancro tuo di quello del vicino di letto, ebbene avranno decorsi, sofferenze, soluzioni diverse. E però io tenterò di tenere gli specifici eventi cancerosi che mi riguardano il più possibile lontani da questo scritto.
La coabitazione con la morte può indurre paura, una paura di cui non bisogna avere paura, e angoscia. L’angoscia non nasce tanto dalla paura della morte, piuttosto la morte cancerosa che vive e si sviluppa in noi apre la porta di antichi traumi e/o dolori rimossi, antiche ferite mai rimarginate. La coabitazione con la morte riporta alla luce i nostri buchi neri. Quegli eventi, fatti, sentimenti che abbiamo tenuto inaccessibili alla coscienza, al riparo dai conti delle ragioni e dei torti. Quando questa materia oscura fuoriesce venendo illuminata dal cancro, essa può invaderci come lava incandescente.
Ma torniamo alla questione della coabitazione con la morte.
Scrive Eliot “noi nasciamo con i morti”, e Ungaretti “Stiamo come d’autunno sugli alberi le foglie”. Secondo Epicuro “Abituati a pensare che nulla è per noi la morte: un quanto ogni bene e male è nel senso, laddove la morte è privazione del senso (..) quando noi siamo, la morte non c’è e quando la morte c’è, noi non siamo più”, ovvero la morte non è questione dei viventi, chiudendo così il problema: non si coabita mai con la morte. Però la biologia racconta una storia molto diversa, e mai come in questo caso la saggezza del filosofo viene tanto crudamente smentita dallo scienziato. Premetto che quanto verrò scrivendo su questo, è dovuto essenzialmente all’interazione, sia personale che attraverso i loro lavori scientifici, con due immunologhi di chiara fama: Jean Claude Ameisen e Claudio Franceschi.

La cellula può essere uccisa da attacchi vari, ferite, malattie, eccetera: le cellule colpite esplodono, liberando all’esterno gli enzimi che attaccano le membrane delle cellule adiacenti le quali a loro volta esplodono provocando altre lesioni, con una sorta di effetto valanga generatore tra l’altro di infiammazione estesa. Questo tipo di morte violenta e distruttiva a largo raggio va sotto il nome di necrosi.

Ma esiste anche un altro modo di morire per le cellule, l’apoptosi. Ogni cellula ha la facoltà e capacità di autodistruggersi nel giro di poche ore.
La cellula frammenta nucleo e corpo cellulare, mentre la membrana resta intatta tenendo dentro gli enzimi, evitando così ferite e distruzioni nei suoi dintorni. Inoltre mentre sta morendo, la nostra cellula comunica ai suoi vicini tutte le informazioni di cui è in possesso, inviando segnali precisi: zuccheri, proteine, acidi grassi, lipidi. Insomma la morte cellulare per apoptosi e/o suicidio cellulare, come alcuni lo chiamano, permette l’emergenza di un discorso ordinato e significante per le sue vicine. L’apoptosi non è distruttiva per le altre cellule, ma anzi utile.

Adesso raccontiamo brevemente le morti cellulari di massa. Ma prima con Darwin definiamo i viventi. “Ogni creatura vivente deve essere considerata un microcosmo; un piccolo universo, costituito da una moltitudine (corsivo mio) di organismi che si riproducono, incomparabilmente piccoli, e non meno numerosi delle stelle del cielo”. Per esempio i microbi che ci portiamo dentro sono circa dieci elevato alla quattordici, cioè 10 seguito da 14 zeri, più numerosi delle nostre cellule! I soli batteri dell’apparato intestinale pesano un chilo e mezzo. Batteri intestinali che sono assai utili, se non necessari, per la digestione, però se finissero oltre i confini invadendo altre parti del corpo, procurerebbero molti guai. Il sistema immunitario vigila, tra l’altro, anche contro questi possibili sconfinamenti. Ma ora andiamo alla nostra nascita, dove paradossalmente incontreremo la morte in massa delle cellule, quella che qualcuno ha battezzato “la morte creatrice”.

La metamorfosi in embrione della cellula/uovo si fonda su tre processi. La divisione o sdoppiamento cellulare, la differenziazione cellulare, e infine la migrazione, la mobilità delle cellule lungo il corpo. E un quarto processo: la morte per miriadi di cellule.

Alla domanda perché sia necessaria l’eliminazione di tante cellule nella costruzione dell’embrione, J.C. Ameisen risponde: “La prima funzione riconosciuta alla morte cellulare fu quella di essere uno strumento capace di permettere all’embrione di elaborare la sua forma in divenire, attraverso un procedimento di eliminazione paragonabile alla scultura”. Per esempio la morte delle cellule che occupano il centro crea uno spazio vuoto, una cavità che permette la migrazione, la mobilità cellulare dalla periferia verso il centro. A volte siamo di fronte a vere e proprie stragi come nel timo, dove durante il loro viaggio di tre giorni muore circa il 99% dei linfociti, parliamo di miliardi di cellule. Tra i molti altri eventi marcati dalla morte cellulare creatrice che scolpisce, da ultimo citiamo qui solo quella che contribuisce alla costruzione del cervello e del sistema nervoso, sempre dal libro di J.C. Ameisen “ LA SCULPTURE DU VIVANT. Le suicide cellulaire ou la Mort créatrice” (1999): “la metà in media, dei neuroni che sono partiti alla ricerca di partner, è destinata a morire (..) nel periodo da un giorno a una settimana, in cui si stabiliscono le connessioni (sinapsi)”. Insomma con la morte cellulare coabitiamo fin dall’origine. Una morte che contribuisce a formarci, a mettere in forma l’interno e l’esterno del nostro corpo, nonché a forgiare la nostra identità e memoria biologica.

Ma il cancro non può essere rubricato sotto il titolo di “morte creatrice”. Piuttosto le cellule tumorali sono alla ricerca dell’immortalità. Questa utopia micidiale cammina su due gambe. Una consiste nello sdoppiamento forsennato delle cellule tumorali. L’altra è l’inibizione del meccanismo di autodistruzione.

Quando arriva il momento della sua morte decretato dalla società delle cellule che la contorna, la cellula cancerosa produce dei “protettori” che la tengono alla larga. In nome di questa immortalità, le cellule tumorali invadono territori, aggrediscono organi, divorano risorse fino a devastare l’intero corpo, portandolo alla morte, e con ciò morendo esse stesse. La cellula tumorale interrompe ogni relazione con la società delle cellule “normali”, rifiutando ogni segnale che potrebbero indurla al “suicidio”, nel mentre comincia a moltiplicarsi: crescete e moltiplicatevi è il suo imperativo. Inoltre organizza un proprio autonomo sistema di alimentazione, un sistema vascolare separato e indipendente dal resto del corpo, nonché un autonomo sistema di connessione e comunicazione con le consorelle tumorali, una sorta di suo proprio sistema di intelligence. Così la società delle cellule tumorali cresce e si rafforza fino alle metastasi, quando esploratori partono dalla sede madre per invadere aree più o meno vaste e lontane del corpo. Con una domanda finora inevasa: perché le cellule mutano da “normali” in cancerose. Nel corpo avvengono milioni di mutazioni, e anche di suicidi cellulari, perché alcune virino e/o degenerino in cellule tumorali non si sa. Molte cause, il fumo, l’amianto, eccetera, che possono favorirne lo sviluppo vengono spesso elencate, ma il nodo dell’origine rimane irrisolto.

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