In cerca di sovranità

Dopo la spaccatura di Syriza e le dimissioni di Tsipras in Grecia nasce Unità Popolare, piattaforma di Sinistra che rifiuta l’austerità e chiede l’uscita dall’eurozona

Questo articolo rappresenta il punto di vista dell’autrice, espresso a titolo personale

di Clara Capelli

Se ci si lascia andare al cinismo o anche solo al pessimismo, non si può fare a meno di osservare come il coinvolgimento elettorale dei greci – chiamati alle urne ben tre volte in poco più di otto mesi – contrasti aspramente con la loro impossibilità di determinare il destino della loro economia.

Per molti l’accordo del 12 luglio ha sbriciolato la volontà di cambiamento espressa nel voto del 25 gennaio, con il 36,3% a Syriza, e il sussulto di dignità dell’oltre 60% per l’oxi al referendum del 5 luglio. E a guardare le prospettive economico-sociali delle Grecia, sembra che il Paese negli ultimi cinque anni non stia facendo altro che discendere una scala a chiocciola: giri giri giri e vai sempre più giù, piano dopo piano. Alzi la testa, ti aggrappi al corrimano, resisti e protesti. Ma intanto continuano a spingerti verso il basso.

Si chiama bailout program e la traduzione in italiano – “programma di salvataggio” – rivela tutta l’ipocrisia di questa espressione. Il pacchetto di “aiuti” ammonta complessivamente a 86 miliardi di euro su tre anni.

Tramite il Fondo Salva Stati 26 miliardi di euro verranno versati nel breve periodo (una parte è già in realtà stata sbloccata) per il ripagamento dei debiti contratti precedentemente e per la ricapitalizzazione delle banche, prosciugate da importanti fughe di capitali, la chiusura dei rubinetti da parte della Banca Centrale Europea e i rigidi controlli imposti tra giugno e luglio. Altre risorse per la ricapitalizzazione delle banche – circa 10 miliardi – sono previsti per la fine del 2015, qualora le condizioni cui l’accordo si accompagna vengano rispettate.
Si concedono prestiti per ripagare altri prestiti, a loro volta resi necessari da una situazione economica in cui “all’origine” le colpe della classe politica ed economica greca vanno a braccetto con avventati comportamenti dei creditori e con un sistema monetario europeo che nella sua struttura finisce per allargare le differenze tra virtuosi e somari, anziché facilitare la convergenza.

Condizioni molto stringenti sono inoltre imposte per lo sblocco dei soldi promessi. Oltre a tutta una serie di modifiche al codice civile, liberalizzazioni e rimozioni di controlli sui prezzi (per esempio sui farmaci), la Grecia dovrà innalzare l’età pensionabile a 67 anni, eliminare le riduzioni IVA ai residenti delle isole e tagliare ulteriormente le spese di welfare.

Molto rozzamente, si potrebbe dire che alla Grecia viene chiesto di rastrellare quello che rimane e stringere ancora di più la cinghia per “fare cassa”. A quale scopo? Il ripagamento dei debiti. Alla crescita ci penseranno gli investitori privati, magari stranieri, che l’imbellettamento della Grecia – si dice conducive business environment – a colpi di liberalizzazioni e riforme legali dovrebbe attirare.

La parte chiave del programma riguarda però il fondo, indipendente ma sottoposto al controllo delle istituzione europee, che si occuperà di gestire un piano di privatizzazione (totale o parziale, attraverso l’acquisizione di quote di minoranza) per un obiettivo di 50 miliardi di euro: 25 miliardi serviranno per ripagare il Fondo Salva Stati per la ricapitalizzazione delle banche, 12,5 miliardi per il ripagamento dei debiti contratti e altri 12,5 per investimenti. Il cerchio si chiude: nessun regalo viene fatto alla Grecia, i soldi che riceverà per rimettere in piedi il suo sistema bancario e onorare i suoi debiti con i creditori sono solo anticipati da questi ultimi.

I soldi, di fatto, li mette la Grecia vendendosi i “gioielli di famiglia”, altrimenti detti valuable assets. Le privatizzazioni sono già iniziate, il 18 agosto la Fraport AG, la compagnia tedesca che gestisce l’aeroporto di Francoforte, ha annunciato l’acquisizione di 14 aeroporti regionali greci per 1,23 miliardi di euro.

Si fa cassa, ma i 14 aeroporti saranno gestiti secondo gli interessi di una azienda straniera e, con ogni probabilità, i profitti realizzati non saranno tenuti né investiti in Grecia.
Se questa è ripresa economica. E infatti il contenuto dell’accordo ha segnato la definitiva frattura di Syriza, che per tutta la durata dei negoziati di quest’anno è stata segnata da profonde crepe di dissenso. Dall’esterno Tsipras e Varoufakis venivano dipinti come radicali di sinistra e irriducibili irresponsabili per il loro rifiuto delle condizioni richieste dai creditori. Dall’interno, invece, gli stessi erano accusati di eccessiva compiacenza, di tradimento delle promesse elettorali per l’avere subito tolto dal tavolo delle trattative la carta della cancellazione del debito e delle misure – da adottarsi a livello europeo e non nazionale – per la crescita greca; allo scenario della capitolazione verso i partner europei si opponeva la necessità di riacquistare la sovranità sulla propria politica economica attraverso la Grexit.

Il 13 agosto, dopo un estenuante dibattito, il Parlamento greco ha ratificato l’accordo. Sono stati però cruciali i voti dell’opposizione, perché 31 membri di Syriza hanno votato contro e altri 11 si sono astenuti.

Si tratta in buona sostanza di esponenti della Piattaforma di Sinistra, movimento interno al partito facente capo al Ministro per la ricostruzione produttiva, l’ambiente e l’energia Panagiotis Lafazanis.
La Piattaforma di Sinistra ha come punto centrale la questione sociale, rifiutando completamente le politiche di austerità e insistendo sull’importanza di uscire dall’eurozona. La Grexit non viene concepita come un “fine in sé”, bensì come un passo fondamentale di un processo di recupero della sovranità fiscale e monetaria che possa aprire spazi di politica economica a favore della ripresa e di una maggiore giustizia sociale.
Si tratta di un percorso difficile per stessa ammissione dei sostenitori della Piattaforma – fatto di ambiziosi investimenti pubblici e privati, ma anche di nazionalizzazioni, rigidi controlli sui prezzi, sul commercio, sui movimenti di capitali -, ma che in ogni caso non deve essere considerato un tabù, viste la necessità e l’urgenza di interrogarsi sulla struttura dell’eurozona.
La spaccatura di Syriza ha portato alle dimissioni di Tsipras il 20 agosto. Il giorno seguente viene annunciata la nascita di Unità Popolare, il partito della Piattaforma di Sinistra.
Il riferimento è alla coalizione cilena guidata da Salvador Allende dal 1969, esperienza cancellata dal golpe di Pinochet del 1973 e dall’arrivo dei Chicago Boys con le loro ricette neoliberali a dettare la linea economica. L’ex Ministro delle finanze Varoufakis ha dichiarato che, nonostante la sua opposizione ai contenuti dell’accordo, non farà parte di Unità Popolare. Gli ultimi mesi l’hanno visto impegnato in una serie di viaggi nel tentativo di costruire una rete europea che rappresenti un’alternativa alle politiche portate avanti all’interno dell’UE sia dai partiti liberal-popolari sia da quelli socialdemocratici.
Dal funzionamento dell’eurozona alla priorità della disciplina fiscale sul pieno impiego, dalle disparità tra Paesi europei alla necessità di trovare un buon equilibrio tra regole e solidarietà, la risposta deve venire dall’Europa tutta. Altrimenti si continua a girare in tondo. E a scendere.

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