Duello alla burkinabé

Il colpo di Stato in Burkina Faso apre scenari politici complicati per il futuro del Paese

di Davide Maggiore

Un mexican standoff in versione africana. Gli avvenimenti del Burkina Faso, dove un golpe militare (compiuto da uomini vicini all’ex presidente Blaise Compaoré) ha deposto le autorità di transizione alla vigilia delle elezioni in programma per l’11 ottobre ricordano per certi versi quei ‘duelli messicani’ resi celebri da un film di Sergio Leone.
Tre attori immobili, con le pistole e gli occhi puntati gli uni contro gli altri, molto da guadagnare e tutto da perdere. E un risultato che non dipende solo dalla prontezza nell’agire, ma anche dalle reazioni altrui.

Nel caso burkinabé i ‘duellanti’ si chiamano Reggimento di sicurezza presidenziale (o RSP: l’ex guardia d’élite di Compaoré, che ha insediato al vertice dello stato il generale Gilbert Diendéré, braccio destro dell’ex dittatore), società civile e comunità internazionale. Ma nessuno può ‘vincere’ da solo.

La forza del RSP sta nelle armi, che non esita a usare: sono stati almeno 10 i morti finora e oltre 100 i feriti. Ma le ex guardie presidenziali (non più di 1.200-1.300 uomini) sono isolate, innanzitutto a livello internazionale: l’Unione africana si prepara a imporre sanzioni sul Burkina Faso dopo il golpe; l’Onu, l’Unione europea e la vecchia potenza coloniale Francia si sono schierate a favore delle autorità transitorie deposte. E anche l’esercito (decisamente peggio armato, ma presente sul territorio a differenza dei ‘baschi rossi’ di Diendéré) si è schierato sul campo prendendo le armi contro il RSP.
I soldati, infatti, non hanno fatto rispettare il coprifuoco né contrastato la popolazione scesa in piazza su invito di quel che resta del governo transitorio (incarnato dal presidente del Consiglio nazionale di transizione Moumina Cheriff Sy) e di movimenti come Balai Citoyen, già protagonista delle mobilitazioni che portarono alla cacciata di Compaoré dopo 27 anni di regime. Ma la mobilitazione ha dalla sua quasi solo la forza dei numeri, che il tempo può far venir meno. Qui, dunque, entra in campo il terzo attore, solo apparentemente quello che ha i minori interessi in gioco.

Fare marcia indietro dopo aver condannato i golpisti, in effetti, non sembra una soluzione praticabile per l’Unione africana. Senza contare i rischi di un altro focolaio d’instabilità in Africa occidentale, dove la Costa d’Avorio attende – tra poco più d’un mese – le prime elezioni dopo quelle sanguinose del 2010, la Guinea Conakry si avvia anch’essa al voto dopo mesi di tensioni e Mali, Niger, Nigeria e Camerun devono fare i conti con le azioni dei miliziani di Boko Haram.

D’altra parte, dalla loro, gli attori esterni allo stato burkinabé sembrano avere dalla loro un’unità d’intenti, con la Francia – ispiratrice della risoluzione Onu – che sembra per ora vedere i suoi interessi meglio garantiti da un ritorno delle autorità transitorie che da un ulteriore cambio di governo. Una buona notizia, questa, anche per la società civile.
Resta comunque difficile prevedere quale possa essere l’esito della crisi, anche sse sembra essere andata in porto l’ipotesi di mediazione dei leader africani: un ritorno al potere di Michel Kafando, il capo di stato transitorio deposto, e un regolare svolgimento delle elezioni, posticipate e senza il bando imposto alle candidature dei fedelissimi di Compaoré tra cui l’ex ministro degli Esteri Dijbril Bassolé.

Anche così, però, resterebbe aperto uno dei nodi più importanti, il destino dello stesso RSP, che appena 24 ore prima del golpe la Commissione per la riconciliazione e le riforme aveva raccomandato di sciogliere. Difficile, nella situazione attuale, che l’esito, anche dopo l’eventuale voto, sia questo.

Ma un RSP pienamente operativo (e armato), tanto più se uscito dalla crisi con l’amnistia totale richiesta da Diendéré, sarebbe un rischio che il nuovo Burkina non potrebbe sopportare: quasi la garanzia di un nuovo sollevamento in caso di provvedimenti sgraditi. La conclusione del duello, insomma non sembra essere vicina, e certamente non potrà venire – come invece nel film – da un Clint Eastwood di mano svelta e buona mira, qualunque sia il suo volto.

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