Ventimiglia, storie di confine

All’alba scatta lo sgombero del presidio, occupati di nuovo gli scogli

testo e foto di Astrid Pannullo, da Ventimiglia

Volevano accamparsi sulla scogliera. Da lì non potrebbero cacciarli via. Si erano preparati, per quanto possibile. Nella notte nessuno ha dormito. Tutti, una manciata di volontari, italiani e francesi, più una sessantina di migranti, sudanesi ed eritrei, hanno spostato le medicine, le tende. Ma non è servito a nulla. Alle 6:30 di questa mattina una colonna di 12 blindati si è mossa da Ventimiglia e ha raggiunto il confine con la Francia. Nel parcheggio adibito a presidio hanno distrutto ogni cosa.

Il vento sferza i volti mentre le onde spumeggiano sulla scogliera. Solo una macchia di colore tinge il grigio degli scogli. Sono le felpe variopinte dei 70 ragazzi che stanotte, quando è giunta la notizia dello sgombero, hanno deciso di rimanere e tutelare il presidio. In infradito si aggirano per quell’angolo di un centinaio di metri quadrati di scogliera mentre i poliziotti li costringono alla loro manifestazione con scarsissima possibilità di movimento. Sono lì, seduti da ore, stanchi, ma pronti a resistere.

I cellulari quasi scarichi sono serviti a chiamare nel cuore della notte tutti i giornalisti passati dal campo illegale di Balzi Rossi. Solo un ombrellone giallo fornisce un po’ di riparo dalle acque agitate di stamattina. Tutto il resto è stato portato via dalla squadra in tenuta leggera della polizia di stato che si è spinta sui primi massi della scogliera. Dall’altro della strada qualche residente, esasperato dai mesi di convivenza forzosa, gli urla di arrendersi e andare via. La replica sono dinieghi sorridenti e saluti con le braccia. Si tira fuori una chitarra. No: non si arrendono. Difendono un principio.

Dal 13 giugno, giorno della revoca unilaterale francese del trattato di Shengen e della chiusura del confine tra Menton e Ventimiglia, gli attivisti del movimento No Borders avevano allestito un vero e proprio campo: bagni che confluivano nella fognatura legale, tendopoli, cucina, sala stampa, infermeria. Gli allacci erano fortuiti, ovvero rubati, ma il campo era funzionale ed efficiente.

Nello spiazzo del parcheggio antistante la località turistica I Balzi Rossi il suolo pubblico è stato occupato. Nel vecchio ufficio del turismo, da anni abbandonato, si era strutturato l’ufficio stampa e l’amministrazione del campo. Ma dopo i primi giorni di tensione le manifestazioni sono diventate una routine che non faceva più notizia e i giornalisti sono spariti, lasciando un manipolo di volontari a gestire una situazione di cui non si era ancora fatto carico lo stato. Alla domanda sulla legalità del campo, i ventenni rispondevano “indicateci un’alternativa: quale sarebbe?”

Senza che fosse rilevante capire se gli ospiti fossero immigrati, richiedenti asilo, profughi o altro, i No Borders hanno accolto tutti.

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Le provviste abbondavano e gli aiuti arrivavano ogni giorno. E l’atmosfera era molto più gioviale rispetto a quella del parallelo campo presso la stazione di Ventimiglia, finalmente allestito dalla Croce Rossa Italiana, con tutti i permessi della Prefettura. Tanto gioviale da rendere il presidio No Borders un’alternativa ben più che appetibile per chi cercava informazioni, supporto, accoglienza.

Le attività si sono strutturate nei mesi sulle esigenze dei migranti. Il corso di lingua, gli incontri con personale con competenze giuridiche che ha fornito assistenza nelle richieste di asilo, il corso di nuoto – non banale per chi, pur avendo sfidato il mare dopo il deserto, continua a temerlo come il nemico più pericoloso. L’imam di Nizza ha più volte visitato il campo e offerto la possibilità di strutturare anche la preghiera per i migranti, tutti di fede musulmana.

Ogni decisione, al campo, veniva presa in assemblea. Circa 200 persone sedute a cerchio che, dopo ogni intervento, lo riascoltavano tradotto in inglese, francese, arabo. Alle volte anche in tigrino. Perché gli ospiti, “i ragazzi”, come li chiamano gli attivisti, vengono soprattutto da Sudan ed Eritrea e hanno una fame disperata di informazioni. Non sanno nulla del trattato di Dublino, delle tensioni con la gendarmerie francese, del rifiuto di accoglienza della cattolica Europa.

Loro sanno solo dove vogliono andare, senza avere la minima percezione della geografia del nostro continente. Quando li intervisti ti dicono che vogliono andare a Parigi passando per la Spagna. E allora diventano d’importanza vitale anche le cartine distese sui bancali e sui tavoli, su cui si indicano le direzioni, ma ancor più i valichi di montagna, i passaggi. Perché ai migranti interessa passare oltre. Oltre gli scudi della polizia per arrivare dall’altra parte.

Non la capiscono questa storia del confine. Guardano la strada con occhi bramosi. La Francia è lì, dietro quel cartello blu con le stelline gialle. Ma loro sono bloccati.

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Fiumi di parole per spiegare cosa è il presidio, perché questi bianchi li aiutano senza una divisa. Raccontano sconcertati che, pur avendo preso il treno, la polizia di frontiera li ha bloccati a Mentòn Garavan e, dopo un accertamento sull’assenza di documenti, li ha portati con una camionetta al confine nord, quello che non affaccia sul mare, e li ha tenuti per qualche ora in un container “come quelli in Libia”, per poi consegnarli a qualcuno che li ha fatti salire su un bus con le insegne della Croce Rossa, che li ha riportati in Italia al campo presso la stazione di Ventimiglia. “Perché la Croce Rossa ci ha portato indietro? Perché?” Perché gli accordi con la Francia comportano il rientro in Italia di chi ha cercato di forzare il confine. Non c’è neppure bisogno dell’accertamento della rilevazione delle impronte digitali: se hai addosso uno scontrino italiano sei entrato in Europa da lì e lì devi tornare.

E quindi i migranti protestano. Piuttosto che rimanere al campo della stazione tornano al presidio. Le manifestazioni e i cortei, quasi sempre serali, che comportavano il blocco momentaneo della strada sulla frontiera, non sono mai state violente. Al rullo dei tamburi, tra balli, slogan e cartelloni improvvisati sui cartoni, i migranti scendevano per strada e sfilavano davanti ai poliziotti in tenuta antisommossa. I volti, coperti per proteggere la loro identità e la possibilità di chiedere asilo in Francia qualora fossero riusciti a superare il confine, pur sempre in maniera illegale, sono stati interpretati come una sfida alle forze di polizia: un atto ostile. Possono essere volate manganellate, ma mai nessuno è finito all’ospedale.

Una situazione di tensione mai acuta che si è protratta fino alla settimana scorsa, quando la denuncia di stupro presentata da Valeria, una ragazza ospite del campo al pari dei migranti, ma non appartenente al gruppo di attivisti che gestiva il presidio, ha fatto risalire la tensione.

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La zona dei Balzi Rossi è infatti una prestigiosa meta turistica che vanta un polo museale unico per il suo patrimonio, un ristorante rinomato con vista sulla Costa azzurra, e una spiaggia privata con stabilimento balneare. I residenti hanno denunciato più volte le condizioni igieniche del campo, il degrado del presidio, la propria insofferenza verso i rumori notturni dovuti alle feste in corso, al volume della musica e ai costumi, troppo liberi, dei ragazzi che si appartavano sulla scogliera.

Il danno per il comparto dei Balzi Rossi per l’estate 2015 è stato ingente. Le manifestazioni serali impedivano l’accesso al ristorante, la presenza di tanti uomini di colore ha intimidito le famiglie e gli ospiti della spiaggia, e troppo spesso i residenti sono rimasti ostaggio della propria casa per i blocchi della polizia che, nel respingere i manifestanti, ostruiva l’accesso allo spiazzo che porta alla strada statale. La servitù di passaggio se ne andava a benedire e l’Aurelia diventava un miraggio per gli stessi cittadini italiani.

Per mediare le posizioni  è intervenuto anche il Vescovo della diocesi di Sanremo-Ventimiglia, monsignor Antonio Suetta, che aveva intavolato rapporti con i ragazzi accampati alla frontiera. Due settimane fa, in un incontro, si erano addirittura verificate le condizioni di un immobile da concedere per strutturare meglio l’accoglienza per il periodo invernale e smantellare la tendopoli. L’incontro era stato così positivo da spingere il Vescovo a finanziare l’approvvigionamento dei viveri e a indire, proprio per questa sera, alle 21.00, un incontro a porte aperte tra la cittadinanza e tutti gli operatori coinvolti nell’assistenza. Tra gli invitati anche l’avvocato Alessandra Ballerini. Perché uno dei punti focali del supporto ai migranti sta proprio nell’informazione e nell’assistenza legale.

Mediazione in corso: i punti focali

“Loro non vogliono essere identificati. Noi, piuttosto, ci buttiamo a mare”

Niente foto, niente impronte e nessuna identificazione forzata. Queste le richieste dei migranti ammassati sulla scogliera dei Balzi Rossi di Ventimiglia.
La polizia fa pressione avanzando ogni ora un po’.
Nel frattempo è arrivato anche il vescovo della diocesi, Monsignor Suetta, che sta mediando attivamente il dialogo tra gli attivisti, i migranti e le forze di polizia.
Fondamentale nel suo ruolo di mediazione, la Caritas fa sapere che l’incontro di questa sera, previsto per le 21 nella chiesa di S. Nicola a Ventimiglia si farà, come previsto. E che gli attivisti del movimento No Borders sono assolutamente attesi.

“La situazione era insostenibile, ma l’accoglienza è questione umana fondamentale. Gli attivisti questo concetto lo hanno ben chiaro e la mediazione va trovata lì, per dare risposta ai diritti delle persone”. Queste le parole del Vescovo Suetta che vorrebbe garantire ai migranti un’accoglienza non solo materiale, nel segno di quanto già promosso dai ragazzi del presidio. Certo è che si dovrebbe tendere ad un’organizzazione come quella offerta dalla Croce Rossa Italiana nel campo della stazione, che il Vescovo ha più volte visitato, dove vengono rispettati i giusti parametri e le necessità igienico sanitarie.
Si auspica che il terzo settore riesca a fornire anche quel valore aggiunto che sta nel rapporto umano con queste persone.

Intanto dalla scogliera arrivano informazioni più dettagliate. Ad essere stati tratti via sono in quattro: tre attivisti, uno di Milano, un locale e un francese, e un diciassettenne egiziano, strappato alla stretta del fratello, che ora teme sia già stato identificato e tradotto in una struttura per minori non accompagnati.
I settanta sono senza cibo né acqua ormai dalle prime ore dell’alba. L’unico pacchetto di cracker è stato buttato lì da una giornalista arrivata sul piazzale.

Sebbene i toni restino pacati e la situazione sia sotto controllo la preoccupazione più grande resta la possibilità di essere identificati dalle forze dell’ordine. Operazione a cui finora i migranti erano scampati, nutrendo così la seria speranza di potersi fare identificare oltre frontiera, già in Francia, accedendo così di diritto alla possibilità offerta dal trattato di Dublino, che gli consentirebbe di chiedere asilo lì