Egitto al voto

Si elegge il Parlamento sciolto nel 2012,
ma le aspettative non sono molte, nel Paese
che ha perso sé stesso lungo la strada della rivoluzione

di Christian Elia

Tra il 17 e il 19 di ottobre l’Egitto torna a votare per eleggere il suo Parlamento, per la prima volta dopo il golpe militare che ha spodestato, nel 2013, il presidente Mohammed Morsi.
Si tratta di un primo turno, cui seguirà una seconda tornata tra il 22 e il 23 novembre. Sono chiamati alle urne più di 27 milioni di egiziani delle 14 province del Paese.

Il paese è privo di un Parlamento dal giugno 2012, quando venne dissolto da un tribunale. Quello è stato il primo dei duri colpi inferti all’insurrezione dell’inizio del 2011 che portò alle dimissioni di Hosni Mubarak che teneva in mano l’Egitto dagli ani Ottanta.

Di colpi a quella rivolta ne sono seguiti tanti, sanguinosi. In teoria il Parlamento egiziano che emergerà dalle urne avrebbe dei poteri importanti, tra i quali quello della messa in stato d’accusa del presidente o della revoca della fiducia al primo ministro. Inoltre tutte le leggi, che in assenza di un Parlamento sono emanate dal Presidente della Repubblica, dovranno essere approvate dall’assemblea.

Quest’ultima sarà composta da 568 rappresentanti, 448 scelti su base individuale e 120 attribuiti alla coalizione vincente, più 28 seggi che vengono assegnato dal Presidente della Repubblica per un totale di 596 seggi. Per vigilare sul voto, sono arrivati 16 giudici, 87 organizzazioni locali e internazionali e 717 osservatori stranieri provenienti da Stati Uniti, Africa, Svizzera e Unione Europea. Da venerdì è stata fermata la campagna elettorale per i 2.573 candidati individuali e le cinque liste in corsa.

“Tutti gli egiziani devono recarsi alle urne, vogliamo vedere di nuovo le folle per ottenere quanto ci spetta e realizzare l’agenda di transizione per il futuro. L’avanguardia degli elettori deve essere composta dai giovani”. Questo l’appello, rilanciato dall’Ansa, che il presidente egiziano al-Sisi ha lanciato alla popolazione.

Hosni-Mubarak

Fin qui i numeri, che sono importanti, ma che spesso celano i non detti. Il primo di questi è che l’affluenza alle urne superasse il 35 percento, al Cairo i militari al potere brinderebbero, perché la disaffezione per la politica – dopo tutto quello che è capitato in questi anni – è enorme. Con il timore di attentati e violenze: saranno 185mila i militari che, in cooperazione con la polizia, vigileranno sulle urne.

“Queste non sono vere elezioni. Abbiamo visto persone di ogni sorta candidarsi, soprattutto ex appartenenti all’Ndp, perlopiù imprenditori che cercano di comprarsi un posto nel nuovo parlamento”, ha dichiarato alla Reuters Khaled Dawoud, che si è dimesso dal ruolo di portavoce del partito liberale Destour dopo una crisi interna.

Il Partito democratico nazionale (Ndp) è stato l’emanazione del potere di Mubarak, il partito unico che di fatto ha tenuto in pugno l’Egitto fino al 2011. Oggi non esiste più, ma con i Fratelli Musulmani fuorilegge e gran parte degli attivisti democratici in carcere, è quella fitta tela di faccendieri legati al potere, a cavallo tra la politica e l’economia, che si rifà sotto, a braccetto con i militari. Ammesso e non concesso che si sia mai realmente fatta da parte.

Perché comunque la si voglia raccontare, manca l’altra metà del cielo egiziano: il voto islamista. E al-Nour, che si piazzò alle spalle dei Fratelli Musulmani quando Morsi prese il potere, non è altro che oramai il paravento che al-Sisi presenta la mondo. Hanno accettato il golpe, hanno abbassato la testa, e non rappresentano che loro stessi.

Il resto, a cominciare dai liberal di Dostour, è una galassia frammentata da scissioni dell’atomo, con tutti i veri potenziali leader democratici in carcere e con molti che pagano oggi quel non aver capito che i militari non difendevano la democrazia spodestando Morsi, ma solo il sistema di potere precedente, che come il Gattopardo aveva fatto finta che tutto cambiava per non far cambiare nulla.

Detto del valore residuale che il voto ha a livello politico, per al-Sisi le cose non sono comunque facili. Secondo le più fosche previsioni, dato che il presidente al contrario di Mubarak non può contare su un suo partito, emenderà la Costituzione per ridurre i poteri del Parlamento che verrà eletto. In realtà, con l’appoggio di Per amore dell’Egitto, formazione guidata dall’ex funzionario dei servizi segreti Sameh Seif Elyazal, si tenterà un’alleanza per governare.

Al-Sisi, lo ha già dimostrato, non esiterebbe comunque a usare il pugno di ferro. Tanto dalla comunità internazionale non ha nulla da temere. Basta pensare al premier italiano Renzi, che ha trattato al-Sisi come un grande statista, fregandosi le mani con i papaveri dell’Eni per la scoperta dle nuovo giacimento di gas al largo delle coste egiziane che verrebbe gestito proprio dal cane a sei zampe.

Ecco, questo potrebbe essere un problema per Sisi. Israele, che dal 2010 lavora ai suoi di giacimenti offshore, calpestando come al solito i diritti palestinesi e minacciando quelli del Libano, potrebbe non aver chiari i confini delle acque territoriali e dei giacimenti di competenza. Quello è per Sisi un passaggio chiave: l’economia boccheggia.

Il turismo, nonostante l’Egitto venga presentato come ormai stabilizzato, fatica a tornare ai livelli pre 2011. Giusto per aggravare la situazione, è arrivata la strage dei turisti per ‘fuoco amico’ delle truppe speciali egiziane, che li avevan presi per miliziani. E i miliziani del Sinai sono una delle spine del fianco di al-Sisi, che nonostante una brutale repressione – che gli ha inimicato le popolazioni locali – non viene a capo dei movimenti armati della zona.

Nello stesso quadro rientra la stabilizzazione della Libia. Al-Sisi appoggia senza se e senza ma la coalizione che si oppone agli islamisti, ma la comunità internazionale fatica a concedere al Cairo il coordinamento e il supporto per l’assalto finale. Il gas, in questo senso, potrebbe aiutare.

Le elezioni non diranno molto, alla fine, ma potrebbero essere un buon termometro per capire quanto la parte della società egiziana legata al governo è ancora motivata. E per capire l’agenda futura di al-Sisi, nella regione e all’interno.