Portogallo non di lotta, ma di governo

Un esecutivo senza numeri, pur di non provare strade alternative, per ora paralizza il paese

di Marcello Sacco, da Lisbona

“Turisti della democrazia!” Tuonava Berlusconi in un discorso famoso e imbarazzante, nel Parlamento europeo. Lui parlava d’altro, sì, ma i turisti della democrazia esistono, sono quelli che credono alle foto ritoccate nei cataloghi delle agenzie di viaggio.

E solo un candido turista poteva pensare che, in un Paese come per esempio il Portogallo, un vecchio presidente della Repubblica in fase politicamente terminale (a gennaio chiuderà il suo secondo mandato presidenziale e una lunga carriera) si sforzasse di cercare una soluzione istituzionale che non fosse la stanca ripetizione di un rito “rotativista” (male atavico della politica portoghese), come è invece accaduto nei giorni scorsi.

Il presidente Aníbal Cavaco Silva, che già all’indomani delle legislative dello scorso 4 ottobre aveva abdicato al proprio dovere di fare da perno del dialogo istituzionale e aveva invece chiesto al premier uscente Passos Coelho di dirigere le danze, ha alla fine incaricato proprio Passos Coelho di formare il nuovo governo, pur sapendo che la coalizione di socialdemocratici e popolari non era riuscita a portare a casa un numero di deputati sufficiente a far approvare qualsiasi straccio di programma.

La scelta di Cavaco Silva è costituzionalmente legittima, ma politicamente azzardata. Non ha capito il vecchio presidente che quella maggioranza relativa darà vita a un aborto di governo. A meno che… E qui il capo di Stato che scappa quando c’è da dialogare (aveva fatto qualcosa di simile durante la crisi di governo del 2013: mentre tutta l’Europa puntava gli occhi su Lisbona, lui partiva per una visita ufficiale alle Selvagge, gruppo di isolotti disabitati nell’arcipelago di Madeira) ha calato l’asso: nel suo discorso alla nazione, dopo l’annuncio dell’incarico al premier, ha invitato alla dissidenza i deputati socialisti che, come lui, vedrebbero nell’ipotesi di un governo sostenuto dai comunisti un pericolo per la democrazia.

Naturalmente ogni paura per la democrazia è di per sé la peggior minaccia per la democrazia stessa. Nessuno è così candido turista da pensare che un governo delle sinistre (in Portogallo ce ne sono almeno tre o quattro) non avrebbe problemi di convivenza, con ricadute elettorali prima di tutto per quei partiti che dovranno accettare compromessi con i socialisti; la storia dei comunisti italiani è ben nota anche da queste parti.

Eppure, stando agli argomenti del presidente (non permettere che il Portogallo finisca in mano agli antieuropeisti), non si capisce perché non si sia ancora proceduto, in nome dell’Europa, alla messa al bando di certi partiti.

In un continente a due velocità di crescita economica avremo coerentemente anche uno scartamento ridotto nella conduzione democratica. Da una parte Paesi come il Regno Unito, che si appresta a sottoporre a referendum la permanenza nella UE, dall’altra quelli che tratteranno finalmente con l’olio di ricino chiunque si azzardi a mettere in discussione traguardi annuali che gli stessi fedeli alla troika faticano a raggiungere (si vedano le nuove impennate del debito pubblico e gli scivoloni sul deficit annuale, che nel 2014 ha superato il 7% e neanche quest’anno pare voglia scendere più di tanto).

Nel frattempo, siccome nella zoppa democrazia portoghese valgono ancora i numeri, la maggioranza relativa incaricata di tornare alla guida della nazione è già andata sotto al primo appuntamento parlamentare, quando si è trattato di eleggere la seconda carica dello Stato. Da venerdì scorso, infatti, il presidente del Parlamento è per la prima volta un membro dell’opposzione, il socialista Ferro Rodrigues, votato compattamente dalle sinistre. Così unite qui non le si vedeva dai tempi della dittatura.