Alle elezioni politiche croate un testa a testa tra le due coalizioni principali, condizionato dal successo di una lista indipendente
di Francesca Rolandi
Le elezioni politiche croate hanno visto fin dalle prime proiezioni una competizione sul filo del rasoio tra le due maggiori coalizioni di centro-sinistra e centro-destra, un dato confermato dai primi risultati ufficiali.
Tuttavia, né l’una né l’altra sono in grado di governare autonomamente e decisivo si prospetta un futuro accordo post-elettorale con la lista Most – Il Ponte – che per ora non si è espressa riguardo alle possibili alleanze, ma ha dichiarato di stare preparando una lista delle riforme necessarie al paese che dovrebbe consegnate alle maggiori forze politiche.
Per la prima volta i cittadini croati hanno potuto esprimere delle preferenze, si è verificata un’affluenza relativamente alta al 60,4 %, mentre la ONG Gong ha segnalato diverse violazioni del silenzio elettorale che dovrebbe precedere le votazioni.
La campagna elettorale è stata particolarmente polarizzata, con una forte personalizzazione dei due leader principali e un violento scontro ideologico che ha fatto sì che le elezioni siano state definite decisive per il futuro della Croazia.
Ad avere la maggior parte dello spazio mediatico sono state da una parte la coalizione di centro-sinistra “La Croazia cresce – No al ritorno al vecchio”, che ruota intorno al partito socialdemocratico di Zoran Milanović, attuale premier e dall’altra la “Coalizione patriottica” di centro-destra nata intorno al Partito Hdz, al quale il leader Tomislav Karamarko ha impresso una svolta a destra.
Dal punto di vista economico le differenze tra le due coalizioni non sono sembrate insormontabili né i programmi particolarmente chiari.
Milanović ha fatto leva sui (magri) risultati economici dell’ultimo anno, sostenendo la necessità di insistere su quel passo e facendosi forza di alcune misure di sostegno ad alcune fasce più a rischio, come una legge per tutelare coloro che avevano acceso mutui in franchi svizzeri e la distribuzione di vaucher per il pagamento delle bollette dell’elettricità.
L’HDZ ha insistito su una ripresa economica attraverso il taglio delle tasse, differenti aiuti e un bonus per i nuovi nati, ma riservandosi di poter ridefinire il programma nel momento in cui sarebbe andato al potere e avrebbe compreso il reale stato dell’economia croata.
A entrare nel dibattito politico è stata anche la storia più o meno recente del paese, dalla seconda guerra mondiale al periodo socialista alla guerra degli anni ’90.
Una parte della società civile e del mondo intellettuale ha gridato al timore di una “fascistizzazione” della Croazia in caso di vittoria dell’HDZ, che avrebbe potuto portare il paese sul modello dell’ungherese Orban, con il quale entro certi limiti si è espressa una certa comunità di intenti rispetto alla gestione della crisi dei profughi.
Ad alzare un polverone sono stati anche gli attacchi di Karamarko al direttore del teatro nazionale fiumano, Oliver Frlić, che è solito trattare temi caldi e controversi. Il direttore dell’HDZ si è ripromesso di rimuoverlo perché considerato anticroato. Un’accusa che si è più volte rovesciata addosso a chi rappresentava una alterità.
Dall’altra parte il centro-destra ha presentato i socialdemocratici come gli eredi dei comunisti, accusati di essere anti-croati e di opporsi alla volontà di fare i conti con il passato regime.
Il clima di scontro ideologico ha messo in secondo piano il fatto che anche i socialdemocratici hanno giocato con generosità la carta nazional-patriottica, spingendosi fino a non condannare alcuni elementi di fenomeni di estrema destra, come la milizia creata di recente dal generale Glavaš ed evitando di escludere categoricamente una possibile alleanza con il partito di quest’ultimo.
Ma la principale novità di questa tornata elettorale è senza dubbio la vittoria della lista Most fondata dal sindaco di Metkovic Božo Petrov, un’aggregazione che ruota intorno ad alcuni slogan dal sapore populista che si richiamano alla battaglia contro la vecchia politica e alla lotta contro la corruzione.
Alcuni giorni prima delle elezioni Petrov ha firmato presso un notaio una dichiarazione con la quale assicurava il suo elettorato di non essere disposto ad entrare in nessuna delle due coalizioni, pur essendo disponibile a sostenere un governo di minoranza qualora questo porti avanti le riforme considerate imprescindibili per la Croazia.
Il risultato raggiunto ha reso Most particolarmente corteggiato dai due maggiori partiti e trasformato la sua parole chiave, quelle delle riforme strutturali (dalla giustizia, all’amministrazione, al sistema di tassazione, all’economia) in un mantra per tutte le forze politiche, anche se spesso sfugge nei dettagli di quali riforme si tratti. Il potere che si trova nelle mani ha fatto anche balenare l’ipotesi che possano essere loro stessi a fornire il premier.
Gli incerti esiti del voto possono destare interesse anche se letti alla luce delle anomalie del sistema croato, nel quale esistono dei seggi riservati sia alla diaspora sia alle minoranze nazionali. La diaspora, storicamente orientata a destra, ha votato anche questa volta compattamente per l’HDZ, con maggioranze bulgare. Dall’altra parte gli 8 rappresentanti delle minoranze è probabile che si schierino per il centro-sinistra, data la deriva nazionalista dell’HDZ. Una percentuale considerevole di seggi, dunque, non è dipesa proporzionalmente dai voti ottenuti.
La settimana prossima, quando arriveranno i risultati definitivi di una manciata di seggi dove le elezioni dovranno essere ripetute, inizieranno le consultazioni da parte della presidente Kolinda Grabar Kitarović per la formazione di un governo. Le opzioni sul tavolo sono diverse, alcune delle quali nuove, come la più probabile, quella di avere un governo di minoranza sostenuto da una terza forza. Intanto sono già iniziati i giochi della diplomazia politica.