Rams, due fratelli e otto pecore

Con Sigurour sigurjonsson, Theodor Juliusson, Charles Beving. Premio Un certain regard al Festival di Cannes 2015 e candidato dell’Islanda all’Oscar per il miglior film straniero. Nelle sale dal 12 novembre.

di Irene Merli
Gummi e Kiddi sono due anziani fratelli, proprietari di due fattorie in una valle isolata del nord dell’Islanda. Ultimi allevatori di un’antica razza di arieti, abitano su terreni confinanti e conducono praticamente la stessa vita: i loro esemplari sono considerati tra i migliori del paese.

Ma non si parlano da 40 anni. E comunicano solo attraverso un cane, addestrato a portare in bocca i rari messaggi tra i fratelli. A opporli è anche una concorrenza sorda e silenziosa, soprattutto nei concorsi in cui vengono premiati gli arieti più belli.

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Quando una malattia letale colpisce il gregge di Kiddi, minacciando l’intera vallata, le autorità veterinarie decretano che tutti gli animali della zona devono essere abbattuti e le stalle messe in quarantena. Per gli allevatori è una condanna a morte: le pecore costituiscono la loro prima fonte di reddito dei valligiani e molti decidono di andarsene.

Molti, ma non i due fratelli, che non sono tipi da abbandonare terra e amatissimi ovini.

Solo che ognuno reagisce a modo suo: l’intrattabile Kiddi, refrattario a ogni regola del vivere civile, sfodera il fucile e si consola con la bottiglia. Gunni invece usa il cervello: per aggirare il diktat, nasconde sette femmine e il maschio più bello nella cantina di casa e “ripulisce” le stalle come richiesto, come se avesse obbedito all’ordine di abbattere il suo gregge.

E proprio da questo atto eversivo, il primo della sua vita, inizierà un ravvicinamento tra lui e Kiddi, lento ma capace di toccare alte vette di commozione. I due fratelli decideranno di unire le forze e salvare gli ultimi otto esemplari della preziosa razza, a ogni costo.

“Rams” è un film del tutto particolare, che non sta racchiuso nella scarna trama. Indissolubilmente legato al luogo in cui si svolge, ci immerge in un mondo rude, di pochissime parole e in rapporto diretto con la natura e i suoi elementi. Ma sotto questa spessa corteccia non manca di black humour, di pathos drammatico e di tenerezza.

E’ una di quelle piccole grandi storie che lasciano il segno, fatte di tempi dilatati, silenzi e di una fotografia che si muove in una vallata deserta molto cinematografica. Il regista, che viene da una forte esperienza di documentari, riesce a far parlare azioni e contesti, ricorrendo al dialogo solo quando è necessario.

Non solo. Fino a 17 anni i suoi genitori lo mandavano a lavorare in campagna e suo padre aveva un impiego al Ministero dell’Agricoltura. Hakonarson conosce quindi molto bene il mondo di cui parla e mette in scena una storia umana che on un continuo crescendo arriva al profondo della relazione tra i due taciturni fratelli.

I due attori principali, che hanno trascorso parecchio tempo con veri allevatori, sono davvero efficaci nel ritrarre con una fisicità sofferta ed espressioni minimali i oro personaggi di uomini semplici, vittime di una solitudine assoluta e di una quotidianità dura, essenziale, legata ai gesti della sopravvivenza.