Roshan Premier League

Tra settembre e ottobre si è giocata la quarta edizione della Roshan Premier League, l’unica serie di campionato nazionale di calcio in Afghanistan.

da Kabul, Laura Cesaretti

Lo stadio dove si sono giocate le partite non è certo Wembley, con i suoi poco più di 10.000 posti a sedere, ma i colori e la passione che l’hanno fatto vibrare non erano da far invidia neanche al Jose’ Armando, dove gioca il Boca Junior in Argentina. Circondati da un paesaggio mozzafiato di montagne e cielo azzurro, i tifosi hanno aspettato il calcio d’inizio con tamburi e cori, mentre il resto degli spettatori entrava ordinatamente dall’accesso principale. “Gli Afghani amano il calcio più di ogni altro sport”, mi spiegava Shafi Sharifi, portavoce di Roshan, la compagnia di telecomunicazione afghana che sponsorizza la Premier League insieme a Tolo News, uno dei canali televisivi più popolari qui in Afghanistan.

 

La federazione Afghana di Calcio è stata, infatti, fondata già nel 1922 e ammessa alla FIFA nel 1948. Nonostante gli anni neri del governo talebano, sotto il quale il Ghazi, lo stadio nazionale, era stato trasformato in un palcoscenico per le esecuzioni pubbliche, gli Afghani non hanno mai perso la passione per questo sport così amato a livello mondiale.

Ancora oggi le strade di Kabul sono piene di giovani che giocano partite improvvisate, usando pietre come segna porte e palloni sgonfiati per marcare.

Quando solo due anni fa la Nazionale ha conquistato la Coppa dell’Asia del Sud, l’accoglienza ai leoni del Korashan, cosi sono soprannominati, e’ stata incredibile: da semplici giocatori di calcio ad eroi nazionali, i primi ad entrare trionfanti nella capitale senza armi e bandiere politiche.

Il calcio è riuscito a coinvolgere insieme etnie storicamente nemiche, al contrario del Cricket, spesso accusato di essere un gioco dominato dai Pasthun. La Premier League Afghana ha così visto la partecipazione di Tagiki, Uzbeki, Hazara e Pashtun senza differenza di rappresentanza.

Otto squadre sono scese in campo, ognuna in nome di una regione diversa del paese. Le tifoserie, con nomi e colori strettamente legati al territorio di appartenenza, ricordavano certamente i tribalismi da stadio europei, ma la spettacolarizzazione del match, arricchito da performance di cantanti locali, era più simile alle performance sportive americane.

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In realtà la giovane League Afghana non si è semplicemente inspirata a pratiche sportive popolari altrove. Ha fatto qualcosa di più: ha ridato al calcio quella poesia popolare che ormai si è persa negli stadi nostrani a causa delle regole di mercato del calcio moderno. E’ vero che i giocatori sono stati selezionati tramite un reality show nel 2012, ma i partecipanti erano soprattutto contadini e venditori ambulanti affamati più di sogni che di denaro, pronti a regalare un momento di gloria non solo a se stessi ma alla loro intera comunità.

Nessun giocatore della Premier League guadagna infatti, più di 100 dollari al mese, poco meno di uno stipendio medio qui a Kabul. Quello che li spinge a scendere il campo è pura passione, la stessa ricercata con forza da ogni loro connazionale: “Per me è un onore giocare per la premier League, seguita e amata da cosi tante persone”, raccontava Massoud Quarizada, capitano della squadra che rappresenta in nord est del paese.

Per questo durante le partite non era raro veder sventolare con orgoglio soprattutto le bandiere nazionali. Anche gli spalti non erano divisi per squadre come normalmente accade in Italia. Solo le donne e i bambini avevano un ingresso a parte, chiamato familiare, per evitare possibili abusi. Nonostante la partecipazione delle donne in pubblico sia ormai una normalità in città, la paura che alcuni tifosi provenienti da province remote potrebbero trovarlo ancora sconvenevole e farle sentire sotto accusa ha portato gli organizzatori a prendere queste misure. Eppure, quando due giovani ragazze sono state invitate in campo per tirare in porta poco prima del calcio d’inizio, i pochi fischi che arrivavano dalle curve sono stati oscurati dagli applausi della maggioranza.

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I troppi anni di guerra e di violenza sulle donne hanno portato a una retorica talmente opprimente che è difficile spiegare veramente qual a il vero senso di dignità e giustizia sociale di questa popolazione. Violenza e distruzione non hanno solo creato una nazione cinica, provata dai problemi economici, ma soprattutto hanno distrutto la cultura e la memoria di intere generazioni, lasciando solo la vergogna per questa fama internazionale involuta. Ancora oggi, fuori dalle loro case, gli afghani sono costretti a difendere il proprio nome da stereotipi e superficialità ingiuste.

La gloria di un intero paese, raccontato da poesie e grandi letterature, è stato quasi completamente cancellata dai burqa, terrorismi e AK47 nascosti tra le montagne. Eppure qui, nello stadio, quegli stessi ragazzi rimasti traumatizzati dall’uccisione brutale delle loro vicine di casa, stavano scherzando sulle loro amiche innamorate di questo o quell’altro giocatore.

Ad ogni partita gli Afghani, considerati da molti ultimi e barbari, con i loro vestiti tradizionali, hanno dedicato al gioco un’attenzione dovuta solo ad uno spettacolo teatrale. Loro, i testardi più orgogliosi del continente asiatico, hanno ballato sugli spalti a suon di tamburi con l’eleganza e la passione di un balletto russo. Gli elicotteri hanno continuato a volare bassi sopra la città ogni venerdì, ma dentro lo stadio questa energia, passione, e voglia di rivincita ha fatto completamente dimenticare il loro fastidioso suono. I giocatori ne erano coscienti, e non si sono mai stancati di correre: “Grazie ad allenatori stranieri professionisti le nostre competenze tecniche sono migliorate molto”, spiegava Omid Azimi, capitano della squadra che rappresenta la regione centrale del paese.

Ma non è stata solo una prova di capacità quella data in campo da ognuna di queste squadre. Per qualche momento, loro e i tifosi, sono riusciti a far rivivere a tutto in paese il diritto e la voglia di gloria internazionale dovuta, aspettata da veramente troppo tempo.