In Fabula/La Regola d’Oro

Una rubrica per non dimenticare il valore del patrimonio narrativo mondiale, tra fantasia e attualità

di Alice Bellini

«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani

In questa rubrica ho sempre riscritto a parole mie quello che tante favole, fiabe, leggende, miti e testi antichi provenienti da ogni parte del mondo tentano d’insegnare ogni giorno all’umanità, sin da tempi molto antichi. Valori semplici, quanto mai fondamentali.

Purtroppo non esiste una favola che racconti dell’incontro tra Gesù, Buddha, Maometto, Mosè, Confucio e tutti coloro che profetizzano o riportano le parole sacre di ogni religione presente su questo mondo. Ma esiste una regola, chiamata Regola d’Oro. Una regola che ogni religione, più di ogni altro comandamento e di ogni altra osservanza, pone all’apice della propria filosofia di vita e all’apice della propria pratica quotidiana.

Dunque oggi non rifraseggerò nulla. Non reinterpreterò a modo mio ciò che è stato raccontato. Non riproporrò in chiave attuale nessuna vecchia storiella. Ma riporterò, per testuali parole, ciò che per millenni è stato tramandato di credente in credente, di umano in umano, di qualunque religione o cultura si trattasse.
Per ricordare che se è davvero di una guerra religiosa che stiamo parlando, allora c’è qualcosa che non torna.

Diceva Gesù, nel discorso della Montagna: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. […] Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.”

E scrisse Mosè, riportando le parole del Signore: “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello. […] Amerai il tuo prossimo come te stesso”.

Dichiarò il profeta Maometto: “Desidera per il tuo prossimo ciò che desideri per te stesso”. E nella Sunnah si ripete: “Nessuno è un vero credente finché non desidera per i suoi fratelli ciò che desidererebbe per se stesso”.

Allo stesso modo, Confucio rispose al suo discepolo Tzu-kung, che gli aveva chiesto quale fosse la parola che più di tutte potesse rappresentare una regola di vita: “Reciprocità. Ciò che non vuoi ti venga fatto, non farlo tu agli altri”.

A proseguire, la Mahabharata induista dichiara: “Questa l’espressione massima della vera giustezza: tratta gli altri come tu vorresti essere trattato. Non far nulla al tuo vicino che poi non vorresti subire”.

E che non ci si dimentichi, infine, Buddha, che nel testo sacro dell’Udanavarga insegna: “Non fare a nessuno ciò che tu troveresti doloroso per te stesso”.

E per chi non appartiene a nessuna religione, tanti sono stati i filosofi, gli uomini di cultura e i personaggi politici che, dall’Antica Grecia a Ghandi, hanno divulgato questo esatto pensiero.

Perché se da una parte è insito nell’uomo l’istinto alla guerra e alla prevaricazione, è insito anche quello alla pace e alla reciprocità. E basta guardare nel profondo della religione, della cultura, ma soprattutto della natura di ognuno di noi per trovarlo.