Namaste Nepal

A circa sei mesi dal terremoto che ha colpito il Nepal, i danni delle violenti scosse sono ancora ben visibili, soprattutto nei villaggi “dimenticati” nei dintorni di Patan

testo e foto di Matthias Canapini

Desolazione. Il paesaggio, a tratti, è quasi spettrale. Fiumi di macerie e calcinacci si sono riversati sul sentiero in terra battuta, seppellendo vite e ricordi. Le assi delle case, marce e spezzate, bucano il cielo come spade affilate. Abitazioni sventrate, distrutte, collassate. Il vuoto.

A circa sei mesi dal terremoto che ha colpito il Nepal, i danni delle violenti scosse sono ancora ben visibili, soprattutto nei villaggi “dimenticati” nei dintorni di Patan. Migliaia di famiglie vivono tuttora in rifugi temporanei costruiti con terra e pezzi di lamiera. Pochi metri di spazio, freddi e spesso sovraffollati.

In alcuni punti, eretti in vecchi cortili in cemento, si scorgono centinaia di tende donate dalle ONG internazionali o da piccole associazioni di volontariato. Teloni rammendati di colore bianco e blu. Il villaggio di Bungamati porta ancora le vivide ferite del disastro.

Larghe crepe tagliano le abitazioni in due e numerose assi in legno sorreggono gli edifici drasticamente inclinati. Alcuni vecchi passeggiano, i bambini, anziché rincorrersi, aiutano i genitori a pulire ciò che è rimasto della loro casa. Riempiono ceste di bambù con mattoni e legna, per poi depositarli in ordine sparso su un ampio telo blu. Alcune donne dalle vesti colorate, sedute a terra con le spalle al tramonto, setacciano riso per mezzo di ceste circolari: le provviste per l’inverno. I chicchi di riso cadono a terra, l’aria si colora di rosso – viola. Pochi minuti ed è già buio.

Nel distretto di Kirtipur, dietro una porta malandata in legno, è seduta Indra Laxmi, una vecchia signora dai fianchi tondeggianti: “Ho tre figli, di notte è molto freddo e l’inverno si avvicina sempre più … a causa del blocco di gas e petrolio da parte dell’India non possiamo scaldarci ne cucinare, non abbiamo più bombole e chissà quanto tempo ancora staremo qui! Giorni fa abbiamo costruito un forno artigianale per cuocere del pane”.

In tanti affermano che in quest’ultimo periodo, la vera emergenza sia proprio il blocco indiano che, per qualche manovra ancora non del tutto chiara, sta mettendo in ginocchio il paese sospendendo l’invio di gas e petrolio. Mezzi pubblici strapieni, gonfi di persone, strombazzano alzando nuvole di polvere. Tanti ristoranti hanno chiuso per mancanza di gas. Il turismo è precipitato e l’economia è quasi al collasso.

File chilometriche per pochi litri di benzina o per una bombola di gas, da trattare in caso con cura e parsimonia. Nelle campagne la condizione dei locali è ancora più dura. Molti scavano tra le macerie post terremoto, per trovare utilissime assi in legno da bruciare in vista del lungo inverno. Fuoco per scaldarsi e per cuocere zuppe o pezzi di carne. In molti si chiedono come faranno gli sfollati del sisma a sopravvivere tra lamiere e tappeti malconci, che non di certo riparano dal gelo degli altopiani e dall’indifferenza del governo.

In alcuni luoghi sembra non esistere il tempo. Ram Maharjan sua moglie Indra Mai sono seduti per terra, all’ombra della loro tenda. “Siamo rimasti solo noi due qui, di notte abbiamo molto freddo e come se non bastasse mi sono rotta pure la caviglia! Non posso lavorare nei campi e mio marito fa il doppio del lavoro. Il marito di mia figlia è morto sotto le macerie e non sappiamo cosa inventarci. Resteremo qui per anni …”

Malgrado tutte le avversità, ciò che colpisce forse, non è tanto il dramma dimenticato di questi bizzarri paesetti, bensì la dignità, la forza ed il sorriso dei suoi abitanti. Raccontano la loro dura condizione come se parlassero di un mondo lontano, come una favola portata via dal vento. Nonostante tutto ridono, si piegano, afferrano un mattone, poi l’altro, resistono e continuano lentamente a vivere. Namaste.