Ancora la Tunisia

Un nuovo attacco nella capitale del Paese
della Rivoluzione della Dignità: un autobus
della guardia nazionale è esploso in Avenue Mohamed V

di Clara Capelli, da Tunisi

3alesh 7akka ya rabbi? Perché? Così commenta una cara amica di fronte all’ennesimo episodio di violenza di questo novembre 2015 su cui tanto dovremo riflettere. Tunisi, di nuovo. Ancora la Tunisia delle celebrate elezioni del 2014, ancora la Tunisia sconvolta da due gravi attentati nel 2015, prima a Tunisi al Museo del Bardo il 18 marzo e poi Port El Kantaoui (Sousse) il 26 giugno.

Ancora la Tunisia premiata con il premio Nobel per la Pace a quattro organizzazioni della società civile per il ruolo avuto nella processo di transizione.

Verso le 17 un autobus della guardia nazionale è esploso in Avenue Mohamed V, una delle principali arterie del centro di Tunisi, praticamente di fronte a quella che fu la sede del Rassemblement Constitutionnel Démocratique (RCD), il partito del deposto presidente Ben Ali. La dinamica non è ancora chiara, il bilancio provvisorio è di 14 vittime e una ventina di feriti, al momento tutti agenti della guardia nazionale. Il portavoce del Ministero degli Interni ha reso noto in poche ore che si è trattato di un atto terroristico, cosa ipotizzata subito da molto considerati luogo e l’obiettivo dell’accaduto.

Police help to make way for an ambulance carrying bodies after an attack on a military bus in Tunis, Tunisia November 24, 2015. At least 11 people were killed on Tuesday after an explosion hit a bus carrying Tunisian presidential guards along a major street in the centre of the capital Tunis. Security and presidential sources said the explosion was an attack, adding it was not immediately clear whether it was a bomb or an explosive fired at the bus as it travelled along Mohamed V Avenue. REUTERS/Zoubeir Souissi

Non è la prima volta che le forze di sicurezza sono oggetto di attacchi da parte dei terroristi: il 17 luglio 2014, solo per fare un esempio, 14 soldati persero la vita sul Monte Chaambi, zona ai confini con l’Algeria che farebbe da base e rifugio a formazioni terroriste. Ma nella cronaca tunisina storie di questo tipo non mancano, pressoché tutte provenienti da regioni depresse dell’interno come, appunto, il Monte Chaambi oppure Jelma, governatorato di Sidi Bouzid, dove proprio il 13 novembre dei #ParisAttacks un pastore di sedici anni, Mabrouk Soltani, veniva decapitato per essersi opposto a dei terroristi che volevano rubare delle pecore del suo gregge.

Questo brutale omicidio ha profondamente scosso parte dell’opinione pubblica tunisina – tradizionalmente interessata alla capitale e alla zona costiera, ma poco attenta alle problematiche dell’interno del Paese -, anche a seguito della testimonianza del cugino di Mabrouk, il ventenne Nessim a Nessma TV: al-faqr, al-faqr, al-faqr, la povertà, ha continuato a ripetere martellante Nessim, denunciando l’assenza della politica e delle istituzioni e affermando che «i terroristi se vogliono possono comprarci e hanno i soldi per comprarci».

Tunisian police officers are pictured after an attack on a military bus in Tunis, Tunisia

Con l’attentato in Avenue Mohammed V l’attenzione ritorna alla capitale, che proprio in questi giorni si era animata per le Journées Cinématrographiques de Carthage (JCC), la cui ricca programmazione di film da tutto il mondo aveva riempito le strade e i cinema di Tunisi nonostante le tensioni che arrivavano da Parigi in stato di emergenza e da Bruxelles in allarme.

Il dolore e la rabbia per quanto avvenuto sono forti, la paura è tangibile, perché – come alcuni hanno fatto notare – un atto terroristico non è solo orribile in sé per le morti che causa, ma ti instilla nell’animo il velenoso pensiero che ci potrebbe essere una prossima volta, ci sarà una prossima e, forse, toccherà a te.

E quella paura è pericolosa, perché offusca, confonde e acceca. Ti fa desiderare una calma e una stabilità alle quali si diventa inclini a sacrificare tanto, troppo.

Per il conforto a breve termine della favola bella della sicurezza si dimentica di seminare per il futuro, per i diritti e per la libertà e per la giustizia sociale. La risposta delle autorità tunisine non era difficile da prevedere. Le misure di sicurezza e i controlli tra Avenue Mohammed V e Avenue Borguiba – proprio quella Avenue Bourgiba, quella che fu uno dei luoghi simbolo della Rivoluzione della Dignità a Tunisi – sono stati prontamente rafforzati. Il Presidente Béji Caïd Essebsi è intervenuto sulla rete televisiva nazionale per annunciare lo stato di emergenza per trenta giorni e il coprifuoco per Tunisi e la sua periferia dalle 21 di sera alle 5 del mattino. L’UGTT – il sindacato anch’esso fra le organizzazioni insignite del Premio Nobel per la Pace – ha sospeso gli scioperi generali del settore privato per gli aumenti salariali e le relative manifestazioni previsti per i prossimi giorni.

È tristemente interessante constatare come il discorso securitario si riproponga in modo molto simile da Parigi fino a Tunisi, ovunque rispondendo limitando e reprimendo e soffocando. Noi e loro. Difenderci da loro.

E per difenderci da loro non usciamo, ci lasciamo controllare, lasciamo che lo spazio pubblico e la politica siano occupati dalla paura e dall’ossessione per la sicurezza. Eppure, in questa Tunisi che a una manciata di minuti dopo le 21 si sta svuotando – con la sola indolente e incurante resistenza di qualche chiosco di cibo e sigarette e qualche bar dove si tira ancora qualche boccata di chicha e si beve l’ultimo caffè – il pensiero non può non andare a una città che solo domenica si godeva una festa di cinema e cultura. Non come beffarda provocazione al terrorismo, ma come risposta e alternativa alla cattiva politica intrecciata a questa violenza che ci pone tanti perché.

(Questo articolo
rappresenta il punto di vista dell’autrice,
espresso a titolo personale)