Un guanto nero per l’accoglienza

Operazione anti terrorismo in un centro che ha ospitato migliaia di persone in fuga dalla guerra e dalla fame: l’amarezza degli operatori

di Silvia Di Cesare

Sono le 6.30 di mattina di martedì 24 novembre quando la polizia in assetto antisommossa entra nel Centro Baobab di via Cupa a Roma. Entrano nel dormitorio, i locali vicino alla sede del centro culturale che dallo scorso maggio hanno ospitato ben 35mila migranti in transito. Fra loro vi sono etiopi, eritrei, marocchini, egiziani molti di loro in transito, in attesa dei soldi per poter raggiungere il nord Europa, meta finale del loro lungo viaggio.

Dopo aver attraversato il deserto del Sahara in camion che trasportano oltre 300 persone, dopo esser stati rapiti da gruppi di miliziani (tra cui anche l’ISIS) in Libia e dopo aver passato diversi giorni o mesi nelle carceri di Tripoli e Ismailia, queste persone hanno trovato al Baobab un luogo di vera accoglienza.

“Le nostre porte erano sempre aperte a qualsiasi ora del giorno e della notte pronte ad accogliere i nuovi arrivati. Cercavamo di mantenere sempre un’atmosfera di tranquillità e di festa, di farli sentire il più possibile a casa” così Stefania, volontaria del centro, racconta la sua esperienza nei locali di Via Cupa.

È da maggio che il Baobab è diventato uno dei luoghi più importanti per l’accoglienza dei migranti giunti sulle coste italiane e diretti in Nord Europa. Oltre 30mila persone hanno dormito, mangiato e ritrovato le forze in queste stanze, prima di riprendere il loro viaggio. Tutto ciò grazie al lavoro di volontari e volontarie che dal basso hanno autogestito i locali del centro in collaborazione con gli ospiti stessi, e della comunità che ha sostenuto con donazioni di ogni genere queste persone.

“Siamo indignati del fatto che le autorità vengano a cercare dei terroristi qui al Baobab” ci dice Gianluca. Infatti per le forze dell’ordine quello di martedì scorso rientrava nelle operazioni anti-terrorismo che stanno interessando la Capitale. Il bltz è stato però un gran buco nell’acqua: dei 24 migranti fermati dalla polizia molti sono tornati a Via Cupa e i pochi trasferiti al CIE di Ponte Galeria non erano riconducibili ad accuse di terrorismo.

“La situazione al centro in queste settimane è molto cambiata” racconta Gianluca Calzolai, altro volontario del Centro, “il numero degli eritrei e dei migranti in transito è enormemente minoritario, siamo in presenza di una situazione nuova che è più sedentaria: ci sono ragazzi marocchini ed egiziani che si avvicinano perché sanno che qui c’è un posto dove dormire”.
Un cambiamento che, in maniera diversa, continua a sottolineare la risposta insufficiente delle istituzioni capitoline verso chi giunge in Italia in cerca di accoglienza.

“Le istituzioni sono sempre state assenti. L’unica forma con cui si sono avvicinate al centro sono stati i blindati dello scorso 24 novembre, non è certo questa la risposta che Roma si aspetta” afferma Gianluca.

Ma dalle parole del prefetto della città Franco Gabrielli, questo sembra essere solo l’inizio.“Il Baobab non è il primo e non sarà l’ultimo di una serie di interventi che faremo in tutta la città per verificare la presenza di persone che, a mio giudizio, a maggior ragione in questi contesti, debbono essere opportunamente identificate”.Così ha parlato il prefetto a un giorno dal blitz della polizia.

“Noi non ci siamo contrapposti e non ci vogliamo contrapporre alla prefettura o alla questura, contestualmente però ci aspettiamo un altro tipo di aiuto” dice Gianluca che commenta con toni molto amareggiati l’incontro avuto con il responsabile delle Politiche Sociali del Comune di Roma. “Non abbiamo ricevuto risposte concrete alla nostra richiesta di trovare un luogo in cui accogliere queste persone, mentre sono stati molto chiari nell’affermare che entro novembre i locali del dormitorio del centro verranno sgomberati”.

“Quello che ci teniamo a dire alla luce di quanto è avvenuto è che in questo momento, in cui c’è un rallentamento dei flussi migratori, si dovrebbe progettare una risposta pronta qualora questi riprendessero. Se ad Aprile o Maggio arriveranno a Roma 500/600 persone al giorno e dovessimo trovarci a rivivere le scene di quest’anno le istituzioni non avrebbero più scusanti. Vorrebbe dire che non abbiamo imparato nulla”.