Maledetti fotografi: Giuseppe Mastromatteo

intervista di Enrico Ratto

Giuseppe, arte e advertising, due mondi che ti appartengono. Ti è mai capitato di dover scegliere?

Nasco con l’advertising e, quando ho avuto la possibilità di fare solo l’artista, alla fine non l’ho fatto. Ho scelto di mantenere entrambe le cose. Sono due componenti che in qualche modo si parlano, l’una non può prescindere dall’altra. Tanti mi dicono che dovrei scegliere, che dovrei essere puro. A me viene da dire: ma chi è puro oggi? Tantissimi sono nati con una doppia o tripla anima. Siamo tutti migranti, ci si muove. Siamo persone contemporanee, che significa essere più cose contemporaneamente.

Il tuo lavoro quotidiano ti permette di restare con i piedi per terra.

È un grande lusso. Mi dà anche la possibilità di non avere lo stress di produrre. Se dovessi fare l’artista avrei l’ansia di produrre arte. Sono molto sereno con quello che faccio e sono continuamente stimolato dai nuovi progetti che realizzo.

Ti viene detto che facendo solo arte saresti più focalizzato?

Quando l’ho fatto, per un anno e mezzo, non sono stato più focalizzato, mi sono perso. Ho perso un po’ di fuoco. Il modo in cui mi esprimo non è legato al tempo che passo facendo arte. In realtà, durante il tempo che passo a fare altro, ho sempre le finestre aperte sul mondo dell’arte. Non credo molto nella figura dell’artista chiuso in sé stesso.

Per questo ti definisci un osservatore privilegiato?

Assolutamente sì. Anche il modo in cui produco non ha nulla  che fare con l’artista che si chiude nello studio. Le mie sono delle sessioni di lavoro. Non occupo il mio tempo nello studio, uso lo studio quando ho bisogno di esprimermi. In realtà, per me produrre arte sta nella parte che dedico alla ricerca. Non è nell’opera in sé che si realizza il mio lavoro, non è nello scatto fotografico, ma è come arrivo al risultato che mi interessa. Il mio lavoro si realizza in tre giorni, tutto è a monte.

Continua