Zvizdan

Tre storie d’amore intervallate da un decennio per un film rivelazione della cinematografia croata

di Francesca Rolandi

“Zvizdan” è stato il film rivelazione della cinematografia croata 2015 che ha fatto incetta di premi in diversi festival internazionali (da Cannes a Bastia fino a Il Cairo), regionali (Sarajevo e Portorose) e locali (pluripremiato al festival di Pola).

Ad intrecciarsi sono tre episodi apparentemente slegati ma messi in relazione sia dall’interpretazione degli stessi due attori, dalla ricorrenza di tre amori, in tutti e tre i casi tra un lui croato e una lei serba, da alcuni elementi secondari che emergono via via nella trama, nonché dall’ambientazione.

Nel primo episodio l’orologio è puntato alla vigilia della guerra nel 1991, quando, mentre le tensioni salgono, una giovane coppia pianifica di lasciare la provincia per andare a cercare fortuna e lavoro in città.

Nel secondo, ambientato dieci anni più tardi, la guerra è già passata lasciandosi alle spalle case distrutte e individui traumatizzati, come la protagonista, una giovane profuga tornata nel suo villaggio natale e caduta in una fase di rifiuto autistico, ma anche la figura maschile, un falegname che aiuta le due donne a rendere di nuovo abitabile la casa e che nasconde anche lui i suoi fantasmi.

Il terzo episodio, ambientato nel 2011, avvicina le lancette dell’orologio all’oggi e alla vicenda di un giovane padre, ancora studente, fuggito alle proprio responsabilità di fronte alla pressione dei genitori e che prova a recuperare il rapporto con la ex compagna dopo averla abbandonata.

Il film, con un linguaggio intenso e lirico, soprattutto grazie all’interpretazione dei due attori protagonisti, Tihana Lazović e Goran Marković, racconta il riflesso dei conflitti e delle violenze sulla pelle delle persone comuni. Affascinante è il meccanismo che offre un affresco dell’odio esterno dall’interno di tre storie d’amore senza possibilità di successo.

“Zvizdan” vuole raccontare l’assurdità della guerra e delle divisioni nazionali attraverso tre situazioni intime e l’elemento del privato, così sfaccettato, rappresenta la chiave per decostruire il conflitto.

Ma è anche un film intimista che vuole alzare delle questioni universali, solo accidentalmente legate alle vicende che racconta.

Tuttavia, il contesto storico che fa da contorno e che apre il film con il primo episodio non si distacca dalla narrazione stereotipata della guerra del 1991 codificata in Croazia: una dicotomia tra il loro – i serbi, barbari barbuti, primitivi e violenti che quasi senza ragione eressero barricate – e il noi, persone normali, ragionevoli, anche umanamente empatiche come il trombettiere che risponde a suoni di tromba a un fucile piantato addosso.

Da un film che lavora sulla complessità delle relazioni umane, ci si sarebbe potuta aspettare forse altrettanta sensibilità per determinati eventi storici che tuttora rappresentano un tabù per la società croata.