L’Abruzzo in lotta contro gli elettrodotti

Due opere contestate dai cittadini, di cui una con partenza dal Montenegro e nella cui vicenda s’intrecciano accordi internazionali e governi

di Alessio Di Florio

2, 24, 16, oltre 100. Non sono numeri di una speciale lotteria o di una cabala particolare, ma le principali cifre di una delle più importanti e massicce vertenze ambientali del Belpaese. Tutto (o quasi) sta avvenendo in Abruzzo, su quella costa ammirata in tutto il mondo e le cui bellezze hanno animato anche poeti.

Sono i 2 elettrodotti che, nelle intenzioni progettuali, dovranno attraversare vari comuni di tutta la Provincia di Chieti e, addirittura, il Mar Adriatico partendo dal Montenegro. Dopo anni di manifestazioni, sit-in, convegni, comunicati stampa, ricorsi, dossier, oltre 100 sono i giorni del sit in ad oltranza, una vera e propria acampada sul modello degli Indignados spagnoli, davanti alla Prefettura di Chieti, portato avanti da alcuni proprietari terrieri interessati dal passaggio di uno dei due elettrodotti e semplici cittadini.

Proprietari che nei mesi scorsi in diversi casi si sono opposti alle “immissioni” da parte dei tecnici impegnati nei cantieri. Per queste opposizioni alcuni cittadini hanno ricevuto citazioni da Terna, la società proponente, che lamenta danni per l’intralcio creato.

Una delle cittadine citate è Silvia Ferrante, attivista sociale e madre di Paglieta. Diverse citazioni, 24, per un totale di 16 milioni di euro di danni richiesti. Una situazione che sta creando un’ampia mobilitazione e vibranti proteste, diventata virale anche su facebook dove la pagina “Io sto con Silvia” in poche ore ha superato le mille adesioni e veleggia su numeri sempre più alti.

Terna replica affermando che le citazioni (comprese le 24 a Silvia Ferrante) sono “un atto dovuto” e scrivendo “secondo la legge i tecnici di Terna devono espletare, in qualità di ufficiali incaricati di pubblico servizio, tutte le procedure per gli asservimenti dei terreni interessati dal passaggio della nuova linea elettrica.L’impedimento di tali procedure, ritardando l’entrata in esercizio dell’opera nei tempi stabiliti (1° gennaio 2016), costituisce un danno non solo per Terna ma per l’intera collettività, e come tale va denunciato. Si ricorda, infatti, che l’elettrodotto Villanova-Gissi è fondamentale per l’Abruzzo, regione con un deficit energetico del 32%”.

Il deficit energetico è uno dei punti contestati dai comitati e dagli ambientalisti. In uno dei 3 dossier pubblicati sull’elettrodotto Villanova-Gissi, il Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua Pubblica il 18 febbraio scorso sottolineò che “un elettrodotto non produce energia, ma la trasporta. Sembrerà strano dover ricordare questo aspetto ma lo dimenticano mischiando le pere con le mele. Non si capisce come un elettrodotto possa colmare un deficit produttivo, al massimo può far importare ancora di più energia da fuori esacerbandolo” e concludendo che, secondo i dati da loro elaborati, ne consegue che:

– non vi è alcun rischio black-out visto che nel 2009 l’Abruzzo è stato in surplus e TERNA ha esportato questa energia verso le altre regioni senza problemi, dimostrando di poter gestire flussi molto superiori rispetto alla produzione e ai consumi odierni, che sono nel frattempo diminuiti;

– un anno siamo in deficit, una anno siamo in surplus (e in quest’ultimo caso dovremmo smontare gli elettrodotti se passasse la “logica Terna”). L’Abruzzo ha impianti di produzione elettrica sovradimensionati rispetto ai suoi consumi. Se le centrali producono poco dipende da altri fattori e non dalla mancanza di elettrodotti. La Turbogas di Gissi ha già il suo elettrodotto e nel 2009 vi ha immesso tanta energia senza problemi;

– per smontare definitivamente il “mantra del deficit” di TERNA tirato in ballo anche per il cavo dal Montenegro, ricordiamo che nonostante la Puglia sia in fortissimo surplus (+87% nel 2013) è stato autorizzato un cavo di trasporto di energia in corrente continua dall’Albania alla Puglia da 500 MW. Come mai? Non è che dobbiamo diventare importatori di energia prodotta a costi bassissimi nei Balcani e rivenduta a prezzi altissimi e fissi agli italiani?.

Ma, come anticipato all’inizio, la vicenda dell’opposizione abruzzese ai due elettrodotti va avanti ormai da diversi anni e le origini coinvolgono accordi internazionali e l’altra sponda del Mar Adriatico, arrivando fino al Montenegro.

All’elettrodotto Villanova-Gissi infatti si aggiunge il progetto di un altro elettrodotto che dovrebbe partire da Tivat, in Montenegro, e giungere in Abruzzo, dopo aver attraversato tutto l’Abruzzo. Una linea elettrica di oltre 415 km che dovrebbe arrivare a far attraversare il Mar Adriatico a circa 6 TWh l’anno.

Imponenti dimensioni che hanno portato a paragonare il progetto alla TAV Torino-Lione. Il centro sociale occupato autogestito Zona22, impegnato nell’opposizione ai progetti insieme al CAST (Comitato Ambiente Salute e Territorio) e a tanti altri, ha ripercorso la vicenda in un corposo dossier di cui riportiamo alcuni significativi passaggi, nel quale definisce l’opera “un’infrastruttura tecnologica considerata (fino al 2007) strategica per il trasporto dell’energia, ma da molti osteggiata perché costosa e dall’impatto irreversibile sui territori. La pericolosità di quest’opera è data dai campi elettromagnetici che vengono considerati perfino dall’AIRC gravemente rischiosi per la salute umana. Inoltre la presenza di questa grande opera porterebbe ad un notevole deprezzamento dei terreni e delle case”.

Il dossier di Zona 22 evidenzia il ruolo di Milo Djukanovic, Primo Ministro montenegrino “rimasto al potere per più di vent’anni” e “conosciuto in Italia per essere stato inquisito dalle procure di Bari e Napoli per contrabbando internazionale di sigarette e uscito pulito dall’inchiesta solo grazie all’immunità parlamentare”.

Ricorda Zona22 che “nel 2007 Prodi e Bersani, poi nel 2010 Berlusconi e Scajola cominciano gli accordi di cooperazione commerciale con il primo ministro del Montenegro Milo Djukanovic”. Negli anni “sono in tanti dal Belpaese a varcare l’Adriatico e a mettersi in prima fila per partecipare alle trattative con il governo del Montenegro. Tra questi: A2A, Enel,Terna, Banca Intesa, Ferrovie dello Stato, Edison, Valtur, Todini. Gli accordi più interessanti sono quelli sull’energia”.

Il Montenegro sta procedendo a una massiccia privatizzazione delle sue aziende energetiche e
la multiutility A2A coglie l’occasione prendendo il 43% della società pubblica montenegrina EPCG (Elektropriveda) con un investimento di 500 milioni di euro.

Nell’acquisizione di EPCG saranno determinanti per a A2A i fondi di investimento (5%) in mano a Beselenin Barovic anche lui coinvolto nell’inchiesta sul contrabbando internazionale.
In Montenegro, oltre ad A2A, che realizza quattro centrali idroelettriche, c’è possibilità anche per altri di spartirsi la torta. Terna si aggiudica la costruzione dell’elettrodotto sottomarino Pescara-Tivat, Enel un impianto a carbone e Duferco un termovalorizzatore.

È chiaro il progetto a cui le imprese italiane lavorano: costruire impianti per la produzione di energia pulita, trasportarla in Italia attraverso il cavo sottomarino, e distribuirla sul territorio nazionale costruendo nuovi elettrodotti”.

Vari sono gli aspetti legati direttamente alla costruzione dell’elettrodotto Tivat-Villanova. Si legge infatti nel dossier “l’elettrodotto sottomarino di Terna, non trasporterà solo l’energia del Montenegro ma anche quella della Serbia e della Bosnia Erzegovina. In Serbia Scajola nel 2009 prende l’impegno, a nome del governo, di acquistare per 15 anni energia verde e di costruire tredici centrali idroelettriche. Il prezzo concordato è di 150 euro a megawattora, più del triplo rispetto al prezzo di mercato serbo. Più del doppio di quello italiano.

Il 7 giugno 2011 l’Italia conclude un accordo con la Republika Srpska (una delle due entità politiche che in base agli accordi di Dayton compongono la Bosnia Erzegovina) per la costruzione di tre dighe sul medio corso della Drina. Un investimento di 830 milioni di euro.

Nel progetto “Srednja Drina” viene coinvolta anche la Serbia, che il 25 ottobre 2011, attraverso la più grande compagnia elettrica nazionale (EPS) firma un accordo per la costituzione di una joint venture con Seci Energia del gruppo Maccaferri (che controllerà il 51% della società), per la costruzione di dieci centrali idroelettriche sul fiume Ibar. L’energia prodotta dai fiumi Ibar e Drina verrà mandata verso il Montenegro e poi trasferita in Italia da Tivat a Pescara con un cavo Terna, la cui costruzione è prevista per il 2015, con un costo di 860 milioni di euro.

Nel rapporto 2012 la rete CEE Bankwatch riscontra irregolarità nel progetto: l’accordo tra Serbia e Italia sarebbe stato fatto senza gara d’appalto, e Seci Energia non ha alcun tipo di esperienza nella costruzione di centrali idroelettriche. Perplessità anche sull’impatto ambientale delle opere perché l’energia proveniente dalle centrali sulla Drina e sull’Ibar dovrà attraversare il territorio di due parchi nazionali (Lovcen e Durmitor) e una riserva naturale protetta dalla convenzione Natura 2000. Il punto di partenza della linea di trasmissione si trova nei pressi di una centrale a carbone e c’è il pericolo che all’interno del cavo marino di Terna possa passare anche energia non pulita”.

Il nome di Milo Dukanovic viene riportato varie volte nel dossier di Zona22 ed è uno dei protagonisti principali della vicenda. Storico primo ministro della Repubblica Balcanica, secondo Wikipedia e con alcuni intervalli, dal 1991 ad oggi, di cui scrisse anche il nostro condirettore Christian Elia in vari articoli.

In un articolo pubblicato su PeaceReporter il 26 novembre 2010 leggiamo che “Milo Djukanovic, se si esclude qualche presidente di alcune ex repubbliche sovietiche, è l’unico leader al mondo a essere totalmente identificabile con lo Stato. Poco più che 50enne, si affaccia nelle stanza che contanto della Lega dei Comunisti in Montenegro alla fine degli anni Ottanta.

Economista di formazione, diviene delfino dell’allora presidente Momir Bulatovic, con il quale condivide la linea della federazione con la Serbia qualunque cosa accada. Invece, dopo la guerra, emargina Bulatovic e ne prende il posto, diventando un nemico giurato di Milosevic. Almeno sulla carta, perché invece attraverso il trafficante serbo Stanko Subotic intrattiene lucrosi affari con il vecchio presidente serbo, morto in cella all’Aja nel 2006.

Proprio in quell’anno, Djukanovic guida la separazione del Montenegro dalla Serbia, uscendo dalla Federazione e regalando l’indipendenza al suo Paese. Nello stesso periodo, però, le procure di Bari e Napoli indagano e individuano in lui il boss del racket delle sigarette di contrabbando. Nel 2005 viene spiccato addirittura un mandato di arresto nei suoi confronti, ma la carica istituzionale lo mette al sicuro dalla galera.

Il New York Times, a metà agosto, pubblica un’inchiesta dove Djukanovic viene descritto come un affarista senza scrupoli, che gestisce il Paese a uso e consumo del suo clan. Lui nega, come respinge con disprezzo il rapporto di Reporter senza Frontiere 2010 che pone il Montenegro al 104° posto nella lista della libertà di stampa.

Secondo Rsf, Djukanovic e i suoi hanno fatto chiudere la bocca ai quotidiani di opposizione Dan e Vjiesti e al settimanale Monitor minacciando multe esorbitanti (fino a 13 milioni di euro) per ”danni morali” al premier e alla sua famiglia. Il direttore di Dan, Dusko Jovanovic, è stato assassinato a maggio 2004 e il suo omicidio è ancora irrisolto.

Trasparency International, ong che si occupa di corruzione nel mondo, da un giudizio pessimo del Paese, che pure attira miliardi di euro di investimenti stranieri grazie alla tassazione al nove per cento di tasse e a controlli poco limpidi. Come dimostrano i capitali russi di dubbia provenienza con i quali è stata cementificata la costa e sono stati avviati i cantieri dei porti turistici extralusso”.

I comitati locali, come già anticipato, hanno contestato vari aspetti dei progetti e della costruzione dell’elettrodotto Villanova-Gissi, arrivando anche a realizzare ben 3 dossier. Ad ottobre un comunicato segnalò il finanziamento di oltre 54 milioni del Cipe per la costruzione di vasche di espansione per il fiume Pescara che rischieranno di trovarsi in mezzo 4 piloni dell’elettrodotto.

Nelle stesse settimane il Comune di Lanciano con una missiva di 13 pagine indirizzata ai Ministeri competenti e alla Regione, ha chiesto un’ordinanza di sospensione dei lavori perché “ la costruzione dell’opera sul proprio territorio, dai rilievi eseguiti, la si ritiene in abuso edilizio”. Varie associazioni e movimenti hanno documentato nel gennaio scorso come, durante una fortissima perturbazione meteo con piogge battenti per moltissime ore, alcuni dei cantieri sono letteralmente finiti sott’acqua.

Scrissero in un comunicato “il fiume Pescara ha letteralmente sommerso diversi cantieri dell’elettrodotto in provincia di Pescara e occupato aree in cui presto dovrebbero iniziare i lavori per altri sostegni. Video e fotografie raccolte sabato mattina sono inequivocabili, con scavi che sembrano diventati piscine, recinzioni divelte e strade di accesso ai cantieri che somigliano più a laghi” definendo “raggelante l’immagine relativa all’area del sostegno 15, posta a pochissimi metri dall’alveo normale del fiume e attualmente solo picchettata. Nelle immagini si vede l’apice del picchetto d’angolo sporgere di poco oltre il pelo dell’acqua, in piena corrente. Sul sito che dovrebbe ospitare il sostegno 16, non ancora realizzato grazie all’azione dei proprietari e dei cittadini che si sono opposti all’occupazione, il fiume scorreva come un torrente.

Arriviamo quindi al paradosso che Terna dovrebbe ringraziare quelli che allora ha definitivo “intrusi esagitati” perché se fosse stato aperto il cantiere sarebbe stato letteralmente travolto dalle acque. Il cantiere del sostegno 19 era del tutto irraggiungibile, sommerso dall’acqua come la strada d’accesso. Inaccessibile, tranne per i gabbiani, che si vedono nelle foto volare attorno al cantiere!” e sottolineando che “tutto ciò è accaduto con una piena di modeste dimensioni. Inoltre quando siamo arrivati l’acqua era già iniziata a scendere, secondo quanto riportato dai residenti. Non osiamo immaginare cosa potrebbe accadere con un evento simile a quello del 1992 (che non fu neanche la più grave alluvione del Pescara mai registrata) o peggio”.