Milano città d’acqua

Centocinquanta immagini d’epoca esposte a Palazzo Morando fino al 14 febbraio 2016 raccontano la città che fu

di Marco Todarello

Per chi l’ha conosciuta solo oggi, guardandola attraverso il filtro futurista delle luccicanti torri di piazza Gae Aulenti, non è facile immaginare che Milano fu una città d’acqua, attraversata in lungo e largo – fin dall’epoca romana – da fiumi, canali e navigli, e che intorno all’acqua si snoda la sua storia.

È attraverso l’acqua che per secoli sono arrivati carbone, legna e sabbia, permettendo all’antica Mediolanum di crescere e svilupparsi, sfruttando la sua posizione anche per l’irrigazione dei campi, sempre costante ed efficace. I celti che fondarono la città scelsero infatti un punto della Pianura Padana situato in mezzo alla cosiddetta fascia delle risorgive, caratterizzata dall’affioramento della falda acquifera.

Un rapporto indissolubile, quello tra la città e l’acqua, e tuttavia non esente da conflitti, nel quale è possibile riconoscere una parte importante della sua identità.

“Milano città d’acqua”, mostra di 150 immagini d’epoca esposte a Palazzo Morando fino al 14 febbraio 2016 (8/10 euro) è il racconto di quel mondo, che oltre alla dettagliata riproduzione delle fotografie originali include anche documenti inediti, mappe e cartografie, provenienti da 23 archivi pubblici e privati. Completa l’esposizione un video, realizzato da Lorenzo Fassina e Lorenzo Imbriani, allievi della Civica Scuola di Cinema, che con i suoni e l’animazione hanno ricostruito l’atmosfera della Milano di fine Ottocento.

«Parlare dell’acqua a Milano può aiutarci a guardare la storia dal suo punto di vista, quello dell’acqua stessa – spiega il curatore Stefano Galli – tenendo la città sospesa, elemento di sfondo. Temuta, canalizzata, sfruttata, venerata e infine sotterrata, ricacciata negli inferi. Così potremmo schematizzare l’evoluzione del rapporto».

Le fotografie, alcune delle quali di qualità eccelsa, considerati i mezzi dell’epoca, accompagnano il visitatore in un viaggio nel tempo e nello spazio attraverso i luoghi d’acqua della città. I Navigli, innanzitutto.

Perché se piazza Gae Aulenti, a detta di molti, è l’icona della Milano del futuro, a poche centinaia di metri da lì sopravvivono le tracce di quella del passato: presso la Conca dell’Incoronata, dove il Naviglio della Martesana incontrava la Cerchia Interna dei Navigli, fino a pochi decenni fa si alzava il canto delle lavandaie, chinate sulla stessa acqua che attraverso l’Adda arrivava dal Lago di Como. Era uno dei collegamenti che nel corso dei secoli consentì alla città di diventare uno snodo fondamentale nei traffici commerciali europei, acquistando a basso costo le materie prime per poi esportare in tutto il continente l’artigianato, i suoi pregiati tessuti, le armi.

Con l’acqua dei Navigli si facevano girare i mulini e funzionavano le macchine, necessarie per macinare il grano, per battere i pregiati tessuti in lana e fustagno, o ancora per lavorare le pelli ovine e il cuoio. E infine per costruire armi, per le quali la Milano medievale era nota in tutta Europa: elmi, scudi, spade e armature, ma anche altri strumenti in ferro come martelli, tenaglie e cesoie.

La via “Molino delle Armi”, che ancora oggi segna uno dei tratti della Cerchia Interna, prende il nome proprio dalla zona della città in cui erano situate le botteghe degli armaioli.

E seguendo la toponomastica si attraversano altre storie, si scoprono altri segreti della Milano città d’acqua. Via “della Chiusa”, sempre da quelle parti, rimanda al genio degli ingegneri che inventarono il sistema delle chiuse, che consentiva alle imbarcazioni di saltare i dislivelli del terreno e così non interrompere la navigazione. Quelle prime sperimentazioni, nelle quali spiccava il genio dell’architetto bolognese Aristotele Fioravanti, furono la base per arrivare, qualche secolo dopo, a traguardi dell’ingegneria idraulica come i canali di Suez e Panama.

C’è poi la via “Laghetto”, che oggi fiancheggia l’Università Statale (allora ospedale Ca’ Granda), che era la riva del laghetto di Santo Stefano, fatto scavare nel 1388 da Gian Galeazzo Visconti, per favorire il trasporto dei pesanti marmi di Candoglia usati per costruire il Duomo.

E ancora via Pontaccio, Pantano, Porto di mare: molte vie e piazze evocano l’acqua e rimandano alla sua funzione strategica per la città.

Già dalla seconda metà del XII secolo i Navigli interni, già fondamentali per il trasporto e l’irrigazione dei campi, assunsero il ruolo di baluardo difensivo e disegnarono i confini di Milano.
Alcune piante della città presenti alla mostra, in particolare una del 1573 e un’altra del 1603, entrambe ben conservate, restituiscono l’immagine dei Navigli dopo gli ampliamenti progettati da Leonardo Da Vinci, che tra il 1506 e il 1513 riuscì ad allacciare la Martesana alla cerchia interna dei Navigli attraverso due chiuse, a S.Marco e all’Incoronata, in modo da rendere attraversabile la città via acqua, e così collegare l’Adda al Ticino, e quindi i laghi Maggiore e di Como al Mar Tirreno.

Ponte di via Montebello © Civico archivio fotografico
Balaustra di Palazzo Visconti © Archivio fotografico Arnaldo Chierichetti
Conca di Porta Venezia © Archivio fotografico Arnaldo Chierichetti
Draga Idroscalo © Archivio fotografico Arnaldo Chierichetti
Fontana di piazza Fontana © Archivio fotografico Arnaldo Chierichetti
Laghetto di Santo Stefano © Civica raccolta stampe Bertarelli
Piscina Cozzi © Archivi Storici, Politecnico di Milano – ASBA
Sede dellla Canottieri in Darsena © Archivio fotografico Arnaldo Chierichetti

Anche la Darsena, recentemente riaperta, è ben documentata dalle immagini d’epoca: fin dai primi anni del ‘600, il “porto di Milano” fu fondamentale per lo sviluppo della città. Vi transitavano sabbia, ghiaia e legno per le costruzioni ma anche grano, farina e zucchero. Negli anni ’20 del Novecento i barconi – larghi 5 metri e lunghi 30 – potevano trasportare fino a 70 tonnellate, e oggi può sorprendere sapere che, in epoca moderna, la Darsena arrivò ad essere l’ottavo porto italiano per traffico di merci.

Ai Navigli i milanesi devono anche la scoperta del nuoto: nel 1895, 7 atleti della Canottieri Olona decisero di sfidare le acque gelide del Naviglio Grande, nei freddi giorni della Merla, con una nuotata di 150 metri. Nacque così il “Cimento”, che si celebra ancora oggi. Nel 1913, le Popolari di nuoto videro sfidarsi 319 nuotatori e da allora la “Coppa Scarioni” (dal nome del suo ideatore) divenne un appuntamento annuale.

L’interramento dei Navigli iniziò sul finire dell’Ottocento ma la chiusura della Cerchia Interna, che di fatto sancì l’interruzione del sistema di navigazione fluviale della Lombardia occidentale, fu decisa dal fascismo. I lavori iniziarono nel 1929 per concludersi l’anno successivo.

«Non è vero che i Navigli furono chiusi per ragioni sanitarie – racconta Roberto Biscardini, architetto e presidente dell’associazione “Riaprire i Navigli” – già da molti anni la città aveva un piano regolatore e molte condotte fognarie erano state realizzate, altrimenti non si spiega come nelle foto di inizio Novecento nei navigli si pesca, si fa il bagno, si lavano i panni. Le ragioni furono altre: la spinta dei proprietari immobiliari prevalse su flebili pareri contrari, e la possibilità offerta dal regime di costruire moderne residenze in fregio alla strada prevalse su tutto».
C’era il fascismo, è vero, con l’arbitrarietà delle sue decisioni e la spinta positivista, ma c’era anche la coda della seconda rivoluzione industriale e l’eredità culturale del futurismo, che aveva fatto del dinamismo e della velocità il centro del mondo. Le automobili erano sempre di più, e i Navigli ostacolavano la realizzazione di una moderna rete stradale.

La copertura della Martesana arrivò molti anni più tardi, e fu completata solo alla fine degli anni ’60.

I Navigli e la Darsena occupano buona parte dell’esposizione e anche l’immaginario di chi a Milano è nato o ci vive, ma nella città costruita su una dozzina di fiumi e torrenti (Lambro, Seveso e Olona i principali) l’acqua ha vissuto e vive sotto altre forme, che si ritrovano ritratte in altre sezioni della mostra.

Le fontane, ad esempio: chi non si è fermato almeno una volta a bere dalle verdi “vedovelle”, così chiamate perché il filo d’acqua perenne evoca il pianto di una vedova? In città oggi ne funzionano più di 400, e l’acqua che sgorga è di buona qualità.

Del resto già nel 1288 Bonvesin De La Riva, autore del panegirico su Milano “De magnalibus urbi Mediolani”, scriveva: «in città vi sono sorgenti naturali, ottime da bersi per gli uomini, limpide, salubri, comode, mai asciutte per quanto secca sia la stagione, ed esse sono in tale abbondanza che pressoché in ogni casa è posta una bella fontana, chiamata anche “pozzo d’acqua viva”».

Anche le fontane pubbliche non sono mai mancate, la cui costruzione fu incrementata a partire dagli anni ’20: Piazza Castello, piazza Giulio Cesare, San Francesco in via Moscova, piazza Bausan, le fontane della Triennale. Tutte videro la luce durante il ventennio, a conferma che il fascismo, da un lato, chiudeva i Navigli perché considerati “maleodoranti”, mentre dall’altro inaugurava fontane, bagni pubblici (quelli degli alberghi diurni “Cobianchi” e Porta Venezia, recentemente ristrutturati e riaperti al pubblico), piscine (parco Trotter, Cozzi, Caimi, Lido di Milano).

Così la propaganda fascista esaltava l’acqua, considerata simbolo di pulizia, di purezza e di rigenerazione.
Dello stesso periodo è il progetto dell’idroscalo, i cui lavori, iniziati nel 1928, si sono conclusi solo 10 anni dopo. Negli anni del primo, rapido sviluppo dell’aviazione, l’obiettivo originario era quello di dotare la città di un’area per gli ammaraggi degli idrovolanti, ma non servì praticamente mai per questa funzione. Nella mostra è esposta la fotografia dell’atterraggio di un Idrovolante Caproni 100, nel 1930, che secondo alcune fonti fu l’unico ammaraggio ufficiale nell’Idroscalo. Il bacino fu sempre usato dai canottieri per gli allenamenti e nel dopoguerra divenne teatro di varie manifestazioni sportive acquatiche (vela, kayak, sci d’acqua), nonché delle domeniche estive dei cittadini, fino ad essere presto battezzato “mare dei milanesi”.

Quell’acqua “ricacciata negli inferi”, per dirla con Stefano Galli, continua a vivere nelle fontane, nelle piscine e nelle viscere della città, posto che buona parte dei fiumi cittadini e dei Navigli continua a correre sotto l’asfalto, che infatti fanno capolino ogni volta che piove un po’ di più.

La mostra dell’associazione Spirale d’Idee risveglia la memoria storica della città e serve a ricordare che quel tesoro non è andato del tutto perduto. Chissà che Milano, sempre pronta a cambiare, a trasformarsi e talvolta a recuperarsi, non sia in grado di stupire ancora una volta.

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