Aldo dice 26 X 1

Aria di sgombero per l’esperimento abitativo partecipato tra Milano e Sesto San Giovanni

di Laura Sferch

“Dopo venti mesi di occupazione e tanti risultati, vi comunichiamo che siamo sotto sgombero…ci è stato chiesto di prepararci ad uno sgombero che inevitabilmente verrà messo in atto…
…alle 19.00 questa sera apriremo le porte, la consolle si accende al terzo piano e due dj diffonderanno musica…Nocciolina farà i cocktails e servirà al bancone…alle 21.00 spegneremo i giradischi e faremo un’assemblea aperta dove spiegheremo cosa succede e cosa faremo per evitare di perdere la nostra casa…”.

(dalla pagina fb di Aldo dice 26×1)

E così alle 19 vado. Sul retro del palazzo incontro Norman, giovane writer entrato da poco ad Aldo dice. Attacchiniamo gli ultimi manifestini per l’assemblea di stasera. Mi dice che è da stamattina che è in giro per questo e che ha disdetto tutti i lavori della giornata. Entro e come ogni sera al piano terra, alla trattoria sociale, cenano insieme una decina di persone. Ex clochard perlopiù.

Aldo dice 26 x 1 è al confine tra Sesto e Milano, un palazzo di vetro di sette piani ex sede dell’Alitalia, abbandonato da anni. Sempre sulla loro pagina fb scopri che: “37 nuclei reinseriti in alloggio erp, 43 nuclei in graduatoria di assegnazione, 221 inquilini resistenti, 54 minori hanno dimora al residence, 11 ex senzatetto collaborano alla gestione dei 7000 mq del residence. Diffondiamo cultura e divertimento free, creiamo socialità interculturale e ospitiamo 24 nazionalità”.

Insomma non è che se dai i numeri le cose assumono più valore, però…
Salgo al terzo piano. Vicino al salone grande dove la consolle è già rumorosamente all’opera, c’è la piccola biblioteca. Dentro ci sono Roxana, Bora e Sabrina, cellulare in mano, stanno fotografandosi mentre leggono o mentre studiano insieme, per cercare di raccontare fuori quello che si fa in questo posto. E come si vive. Passo nel salone, molti sono già lì è seduto ad aspettare che l’assemblea cominci. Il giovane writer balla. Molti mi salutano e raccontano.

È lì, li devi guardare negli occhi mentre ti raccontano. “Che sono stufo di lottare e di vedere che tutto ti viene portato via”. C’è preoccupazione, la gente oggi ha pianto, qualcuno è già in lista per l’assegnazione della casa popolare, ma altri che non ne hanno i requisiti, non hanno proprio niente, se non tornare sulla strada.

E che non è per me, ma per mia figlia. E il lavoro che non c’è. E il lavoro che è fare la badante notte e giorno per una vecchina che sta morendo e poi chissà. E che un ragazzo oggi puliva il bagno, per bene, come si pulisce una cosa di cui ti prendi cura davvero e ma cosa pulisci che ci sgomberano.

E che, bene che vada, se perdi questo posto ti mandano in un centro di prima accoglienza e sai cosa vuol dire dormire in un posto con quaranta letti in uno stanzone e che devi uscire alle otto di mattina e che prima delle otto di sera non ci puoi rientrare…

Io ad Aldo dice ci sono entrata un po’ per caso. E mi sono un po’ innamorata. E ho pensato che lì sarebbe stato bello portarci il teatro, il Teatro degli Incontri. E così è da più di un anno che noi del Teatro degli Incontri ci entriamo tutte le settimane.

L’anno scorso con noi era entrato Prometeo, quello che aveva rubato il fuoco per darlo agli uomini. E ancora Prometeo non ci è uscito da quel posto e neanche noi.
Perché lì la cosa bella è quel fuoco lì. Mica un fuoco grande che si vede da lontano. Un fuoco che ci devi entrare per vederlo e riconoscerlo.

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Stasera nell’assemblea la parola più detta è stata dignità. Che se uno rimane sulla strada non è che ha bisogno solo di un letto e di un tetto sopra la testa. Peraltro sacrosanti. Alessandro, che per strada ci ha vissuto per molti anni, mi racconta che quando è entrato, più di un anno fa, pesava poco più di sessanta chili. E che se ora è così, e non sono solo i chili in più a fare la differenza, è anche per quel posto. Per la cura, per le relazioni che ci costruisci, per i bagni che si puliscono anche sotto sgombero, per le cose che succedono, per le feste di compleanno al salone del terzo piano che se passi t‘invitano.

Certo non sono solo rose e fiori, come si suol dire. Ci sono regole che a volte sembrano troppo dure, ci sono tensioni, a volte conflitti. Che però se vivi una vita che se non ci fosse quel posto saresti in strada e che magari il lavoro ce l’hai oggi e domani chissà…non è che sei sempre rilassato e con il sorriso.

Guardo le facce delle persone in assemblea, tante conosciute, altre che vedo per la prima volta. Tante famiglie. Al quinto piano ce n’è nuova appena arrivata, non ha ancora finito di portare su le sue cose. Hanno un bimbo piccolo, che dorme su un cuscino. Sono tanti anche i bambini stasera. Non sempre in braccio ai loro genitori, a volte momentaneamente adottati da improbabili baby sitter. Come un signore un po’ burbero o un adolescente con cappellino da rapper che si tiene in braccio un bimbetto che anche da lontano capisci che se lo lasci fa danni.

E allora mi viene in mente Antigone. Quella ragazzina che aveva deciso di seppellire lo stesso il corpo di suo fratello morto, anche se era vietato dal tiranno e anche se così rischiava la morte.
E che se domani quelli che grideranno all’illegalità delle occupazioni avessero davanti i visi, uno per uno, delle persone che sono qui forse si rimangerebbero il grido. Parola torna indietro come nei giochi da bambini.

Che magari torna indietro anche lo sgombero …
“Un fuoco piccolo, fragile da difendere…” il nostro viaggio teatrale dell’anno scorso finiva con queste parole. Piccolo, fragile, da difendere. E da raccontare.
E se si vuole da andare a conoscere. Se suoni il campanello, finisci dritto alla trattoria popolare… che si mangia pure bene …