From war to life

Un progetto multimediale in Sud Sudan, tra giornalismo e cooperazione

Diventare e essere madre in Sud Sudan è un sfida.

From war to life è un viaggio in Sud Sudan -nella repubblica più giovane al mondo, indipendente dal 2011 e in guerra civile dal 2013 – alla scoperta delle madri della Contea di Awerial, che ogni giorno lottano per la sopravvivenza insieme ai loro figli.

In questo Paese le strade sono poche e perlopiù sconnesse, i medicinali scarseggiano, così come le strutture sanitarie equipaggiate e il numero di operatori sanitari adeguatamente formati. Senza dimenticare che, per tradizione e cultura, le donne devono partorire a casa.
Fattori che concorrono tutti a fare del Sud Sudan uno dei paesi con il più alto tasso di mortalità materna e infantile al mondo.

Ed è proprio per garantire accesso alle cure sanitarie di base e contrastare la mortalità di mamme e bambini che l’associazione Comitato Collaborazione Medica – CCM lavora al fianco delle autorità locali, supportandole nella gestione delle strutture sanitarie e nella formazione di personale qualificato. Come spiega Teresa Waweru – coordinatrice della Contea di Awerial del CCM, le decisioni sono prese dalle famiglie e non dalle singole persone.

Le tradizioni culturali sono la sfida più grande da affrontare se vogliamo ridurre i tassi di mortalità materna e infantile. Una giovane donna che decide di partorire in una struttura sanitaria è considerata una persona poco coraggiosa dalle più anziane. Partorire a casa è segno di forza. Si ricorre all’ambulanza sono quando la mamma o il bambino rischiano di perdere la vita. E spesso accade che si rivolgono a noi quando ormai è troppo tardi.

REPORTAGE
From war to life è stato realizzato dal fotoreporter Alessandro Rota in collaborazione con il Comitato Collaborazione Medica – CCM, grazie al bando europeo DevReporter Grant finalizzato a migliorare i rapporti tra il mondo del giornalismo e la cooperazione internazionale.

Sotto l’hashtag #maternityroads il reportage raccoglie le immagini, le storie di 3 donne – Ayen Majok Ariik, Nyamagan Dhuor e Achouth – e delle loro famiglie per raccontare la sfida, spesso drammatica, di chi partorisce in un paese in guerra.

Le storie della comunità mostrano la maternità secondo il punto di vista inedito della popolazione sud sudanese, attraverso foto scattate con macchine usa e getta, distribuite dallo staff del CCM e dal fotoreporter Alessandro Rota.

#MATERNITYROADS

Ayen Majok Ariik

Ha 15 anni, certamente non più di 16, spiega l’ostetrica che la seguirà durante il parto.
È mattino presto, i pastori stanno uscendo con il bestiame, quando il telefono dell’ambulanza squilla: è una giovane donna in travaglio che chiede assistenza. Forse ha ascoltato i messaggi trasmessi dalla radio locale sull’importanza di partorire in strutture sanitarie oppure è il risultato delle attività di sensibilizzazione che le Ong sanitarie, come il Comitato Collaborazione Medica, organizzano per informare la comunità sui comportamenti a tutela della salute.

La giovane età è un fattore di rischio perché il corpo non è ancora pronto per partorire.
La sala parto è una tenda coperta di muffa, all’interno ci sono almeno 40 gradi.
Il travaglio è lungo: la mamma non mangia dal giorno precedente e fatica a spingere. Ad accompagnarla ci sono i parenti del marito, a piedi scalzi e senza il denaro sufficiente per comprare nemmeno un biscotto al mercato vicino.
Respira e spingi, respira e spingi, respira e finalmente il neonato vede la luce di questo mondo per la prima volta.

Scorri la gallery – foto di Alessandro Rota

A causa del travaglio prolungato le vie respiratorie del bambino sono ostruite da fluidi e muco e l’ostetrica interviene per liberarle.
Anche la neo-mamma ha bisogno di ulteriori cure: l’infermiera rimuove la placenta manualmente mentre le grida di Ayen coprono il rumore del generatore, acceso per continuare ad illuminare la sala.
Ayen e il suo bambino sono stati fortunati e si riprenderanno presto. Ayen ha deciso di partorire in una struttura sanitaria, ma non è la norma in Sud Sudan. Almeno per ora.

In questo Paese 1 donna su 30 rischia di morire per cause legate alla gravidanza o al parto.
1 bambino su 10 muore prima di raggiungere i 5 anni di vita per ragioni correlate a malattie facilmente prevenibili e curabili. La malnutrizione è tra i fattori principali.

Nyamagan Dhuor

Vive nel villaggio di Alel, vicino a Bunagok, e non ricorda la sua età.
Ha partorito a casa da un giorno, mentre sua figlia Akur Kom, di 18 anni, è incinta del primo figlio.
Akur si sta prendendo cura di sua madre e di tutta la famiglia.
A differenza di Nyamagan, Akur ha effettuato le visite di controllo nella struttura sanitaria più vicina, ma deciderà dove partorire solo quando sarà il momento. Ha fiducia nella sua levatrice tradizionale e non è preoccupata, nonostante i dolori all’addome. La sua levatrice è un uomo.

Achouth

Ha partorito il suo primo figlio in una struttura sanitaria dell’UNFPA – United Nation Population Fund, all’interno del campo spontaneo di sfollati di Mingkaman.
È nata a Mingkaman e fa parte della “host community”, la comunità locale che, in seguito alla guerra civile scoppiate nel deicembre del 2013, ha accolto migliaia di sfollati interni, provenienti dal confinante Stato di Jonglei.

Prima della guerra Mingkaman era un piccolo villaggio rurale sulle rive del Nilo bianco, abitato da poche centinaia di persone.
Il conflitto, scoppiato nel dicembre del 2013, ha rapidamente trasformato il villaggio in un uno dei più vasti campi di sfollati interni del Sud Sudan.

L’arrivo degli aiuti umanitari, il protrarsi degli scontri e la situazione di grave instabilità hanno favorito la permanenza e l’arrivo di nuovi sfollati. Ora è una città di circa 75000 abitanti.

STORIE DELLA COMUNITÀ

Famiglia di Yar Mac Awen, villaggio di Magok
32 anni, è mamma di 5 bambini ed è incinta del sesto.
Ha perso un figlio e dovrebbe partorire nel gennaio 2016. Secondo Awen, le difficoltà maggiori che una mamma deve affrontare sono il cibo insufficiente, i bambini ammalati e la guerra. Talvolta anche tagliare l’erba intorno alla casa diventa impegnativo. Per Awen il significato di essere madre sta nel prendersi cura dei propri figli, soprattutto quando sono malati, badare alla casa e coltivare il terreno.

Famiglia di Awel Achiek Anyang, villaggio di Marol
Età imprecisata, ha partorito il suo primo figlio in una struttura sanitaria ma non è più tornata nonostante fosse ammalata.
Aspetta il sesto figlio, è seguita da una levatrice tradizionale e andrà in ospedale solo in caso di problemi. L’ospedale più vicino si trova a Mingkaman, a 15 km di distanza. Dice che la struttura esiste da poco tempo per cui non è abituata ad andarci. Non è vaccinata ma i suoi figlio lo sono e vorrebbe farsi vaccinare. È contenta di essere mamma perché i figli porteranno il suo nome e perché un giorno si prenderanno cura di lei. Le foto sono state scattate dal marito.

Famiglia di Racheal Apiu, piccolo villaggio a 3 km di distanza da Awerial
Ha 35 anni ed è in attesa del quinto bambino.
Ha partorito i primi quattro figli a casa, ma non ha ancora deciso cosa farà per il prossimo. Non credeva di poter chiamare un’ambulanza gratuitamente e si fida della sua levatrice tradizionale. I controlli pre-natali sono andati bene. È preoccupata per il travaglio, ma è molto tranquillizzata dall’idea di poter andare in una struttura sanitaria dove le daranno dei farmaci. Oltre a prendersi cura dei figli e della casa, si dedica all’agricoltura. È nata a Bor e può contare sull’aiuto dei parenti.

Famiglia di Nyamagan Dhuor, villaggio di Alel
Non ricorda la sua età e ha partorito a casa da un giorno.
Sua figlia Akur Kom, di 18 anni, è incinta del primo figlio. Akur si sta prendendo cura di sua madre e di tutta la famiglia. A differenza di Nyamagan, Akur ha effettuato le visite di controllo nella struttura sanitaria più vicina, ma deciderà dove partorire solo quando sarà il momento. Ha fiducia nella sua levatrice tradizionale e non è preoccupata, nonostante i dolori all’addome. La sua levatrice è un uomo.


Famiglia di Akoi Ayiei, villaggio vicino ad Abuyung

Ha 27 anni. è madre di 5 figli ed è in attesa del sesto.
La struttura sanitaria più vicina è quella di Abuyung, a qualche km di distanza. La distanza è uno degli ostacoli principali: Akoi Ayiei ha partorito gli altri cinque figli a casa con l’aiuto di una levatrice tradizionale. Lamenta dolori alla schiena.

Famiglia di Adut Lueth, villaggio di Bunagok
Di età imprecisata, ha quattro figli ed è incinta del quinto.
Nata a Bor, si è trasferita a Bunagok dopo il matrimonio. Suo marito è brigadiere generale dell’Esercito di Liberazione Popolare del Sudan (SPLA) e non ricorda l’ultima volta che è tornato a casa. Possiede alcune mucche, ma riesce a mantenere la famiglia solo grazie al denaro che il marito le spedisce regolarmente. Per ritirarlo deve andare fino a Mingkaman, a circa 30 km di distanza. Ha partorito i primi quattro figli a casa, ma questa volta vorrebbe andare in una struttura sanitaria dove gli daranno del sapone e altre cose utili per il neonato. Dovrebbe partorire tra un mese. È felice di diventare mamma per la quinta volta.

Famiglia di Rachel Achol, villaggio vicino ad Abuyung
Età imprecisata, ha quattro figli e aspetta il quinto.
Si è spostata di alcuni chilometri per le visite pre-natali e tra un mese partorirà in una struttura sanitaria. La sua maggiore difficoltà consiste nel dover lavorare i campi e, al tempo stesso, crescere i figli. È da sola ma può contare sull’aiuto dei vicini e della levatrice tradizionale che la sta seguendo.

SUD SUDAN
Il Sud Sudan è la repubblica più giovane al mondo che, dopo sessant’anni di conflitto con il Sudan, nel luglio 2011 ha ottenuto l’indipendenza, sancita da un referendum democratico. Nel dicembre 2013 le strade della capitale Juba sono diventate il teatro di un nuovo scontro, che si è esteso rapidamente al resto del Paese.
La guerra civile in corso è silenziosa e latente. Si parla di scontro tra etnie Dinka, fedeli al presidente Salva Kiir, e Nuer, a cui appartiene l’ex vice-presidente Riek Machar, ma i confini tra le fazioni opposte sono labili e le ragioni economiche evidenti.
Secondo l’OCHA, dall’inizio del conflitto 2.2 milioni persone hanno abbandonato la propria casa, la metà sono bambini e ragazzi sotto i 18 anni. Gli sfollati all’interno del Paese si aggirano intorno ai 1.6 milioni, mentre oltre mezzo milione di persone hanno cercato rifugio in Etiopia, Kenya, Sudan e Uganda.
La guerra non risparmia la popolazione che vive nelle regioni non coinvolte direttamente negli scontri. Ai problemi causati dall’alternanza di siccità e piogge battenti e irregolari, si aggiungono gli effetti lunghi della crisi: la ridotta capacità di produrre reddito, l’inflazione, il conseguente aumento dei prezzi, soprattutto dei beni alimentari e del carburante, in una condizione economica di generale degrado.
Il risultato è un paese sull’orlo del collasso.

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COMITATO COLLABORAZIONE MEDICA
Il Comitato Collaborazione Medica – CCM è un’Organizzazione non governativa che da oltre quarant’anni coinvolge medici, operatori sanitari, le comunità in Italia e in Africa per promuovere e assicurare il diritto alla salute, a tutti.

Sorrisi di madri africane è la campagna del CCM per contrastare la mortalità materna e infantile in Africa sub-sahariana. Entro il 2020 intende garantire la formazione di 2.700 operatori sanitari locali, assistere 170.000 donne durante il parto e la gravidanza, curare e vaccinare 780.000 bambini.

Il CCM è presente in Burundi, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan e Uganda, dove collabora con le autorità del territorio per garantire accesso alle cure di base. Attraverso progetti di cooperazione internazionale, rafforza le strutture sanitarie esistenti e potenzia la rete dei servizi di salute, soprattutto nei villaggi più lontani dagli ospedali. A questo scopo forma il personale sanitario locale, assicura il rifornimento di farmaci e di materiale sanitario, incontra e sensibilizza le comunità sui comportamenti e gli strumenti utili per tutelare la salute.

Dal 1983 il CCM è in Sud Sudan, dove è impegnato in attività di medicina territoriale e nella gestione di strutture sanitarie di diverso livello, dall’ospedale al centro di salute, fino al dispensario. In seguito alla guerra civile scoppiata nel dicembre 2013 e al gran numero di sfollati e rifugiati, il CCM opera per rispondere all’emergenza sanitaria nelle zone fortemente colpite dal conflitto e dalle carestie.