Spagna 20-D: si cambia?

Elezioni politiche, fine del bipartitismo, per i sondaggi primo partito il PP, ma senza maggioranza. Che potrebbe avere con Ciudadanos. Tutto è ancora aperto.

 di Angelo Miotto,
video e interviste da Madrid di Marco Todarello

 

Elezioni nuove, diverse, che definiscono un giro di boa importante e inedito per la storia della giovane democrazia spagnola. La protesta della strada, che in Podemos ha trovato la sintesi politica di gran parte del 15-M, e il malessere sociale che si è stretto attorno a una sigla più di destra, Ciudadanos, hanno fatto irruzione ormai da tempo nel percorso di pre-campagna e campagna elettorale.

I volti che si disputano la contesa sono quattro, Mariano Rajoy, presidente attuale e a capo del partido popular degli scandali, Pedro Sanchez, il segretario muscoloso del partito socialista spagnolo Psoe, Albert Rivera, capo di Ciudadanos, Pablo Iglesias, il leader indiscusso di Podemos.

Dove si è giocata la campagna elettorale: nei classici mitines in giro per tutta Spagna, ma soprattutto in dibattiti televisivi/web che sono stati organizzati da grandi imprese editoriali, come il gruppo Prisa con El Pais, senza la presenza di Mariano Rajoy, o la Sexta, senza Rajoy, con un faccia a faccia ad Academia Tv dove questa volta c’era Rajoy, ma a condizione che vi fosse soltanto il rivale Pedro Sanchez, socialista, in una riedizione di un classico scontro fra due partiti che una volta si contendevano in solitaria la vittoria. Un segnale di quanto poco abbiano capito in Calle Genova, sede del Partido popular, dei nuovi tempi e il desiderio di nuova rappresentanza o forse per meglio dire una strategia per far emergere la figura di Mariano Rajoy come non disponibile a scendere al livello di un agone politico e mantenere un atteggiamento di disprezzo e decaduta nobiltà dei partiti tradizionali.

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La settimana che porta la voto si è aperta quindi con questo faccia a faccia, in cui lo scontro fra il giovane Sanchez e l’incanutito Rajoy ha prodotto scintille, insulti (lei non è un politico decente signor Rajoy. E lei signor Sanchez è un meschino e un miserabile), con un profluvio di dati su economia, investimenti, occupazione, pensioni, che difficilmente saranno stati digeriti da casa in quel gioco surreale che spesso colpisce questo tipo di confronti, dove ogni candidato piega i numeri al proprio discorso e al cittadino che deve dare i voto non tocca altro in sorte che affidarsi in maniera cieca, quindi sbagliata, per cercare di capire davvero cosa stia succedendo negli investimenti e nei tagli. L’altra verità, rispetto a questi dibattiti televisivi, è che gran parte della popolazione spagnola saprà vedere e sentire cosa sia il mercato del lavoro oggidì, quindi dei numeri in assoluto, probabilmente, se ne faranno anche un baffo.

In precedenza i dibattiti erano stati più interessanti, così come interessante la maniera di discutere fra Pablo Iglesias e Albert Rivera, con Pedro Sanchez sempre a rimarcare una differenza – quella nobiltà decaduta che farebbe bene a guardarsi dalle ghigliottine – e l’inesistenza del PP che snobbava gli inviti.

Fra i temi che preoccupano gli spagnoli: lavoro, occupazione, pensioni, stato sociale. Il ritratto di chi è nella crisi, nonostante i politici al potere continuino a dire che la ripresa c’è e tutto va bene. Ma poi c’è la paura, la corruzione, che è il vero cancro di questi anni di potere dei popolari. La corruzione come cavallo di battaglia, quindi, di tutto lo schieramento anti rajoy, a anche se ai socialisti il ruolo dei moralizzatori, analizzando la storia degli ultimi venti, trent’anni, proprio non calza a pennello, laddove, invece, i nuovi partiti hanno gioco facile a presentarsi come puri. Fin quando non sei nel potere, difficilmente potrai essere tentato, e comunque è giusto ammettere che una gran parte dell’azione di consenso riservato alle formazioni come Podemos e Ciudadanos viene esattamente dalla spinta anti-casta. La spinta nazionalista (catalogna, Paesi baschi, Andalucia, Galizia), il modello di riforma della costituzione e dei criteri di amministrazione dello stato, il sistema educativo. Tutto viene rimesso in questione dagli sfidanti, tutto potrebbe essere abbattuto e ricostruito.

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Ma non è tutto così facile: i sondaggi che danno primo partito il Pp con emorragia di voti, comunque vedono una rimonta di Podemos sui socialisti e Ciudadanos, che fino a dieci giorni fa era dato come vincitore addirittura davanti al Partido popular. Insomma, tutto è ancora molto mobile, ma i quesiti che si staranno analizzando nelle segreterie delle formazioni sono sul dopo, sulle coalizioni, alleanze, se farle, come farle, come arrivare a comporre un quadro complesso, perché fino a oggi il bipartitismo quasi assoluto permetteva a uno o all’altro grande partito di governare con appoggi esterni, o piccoli appoggi di coalizione che oggi sono ben differenti, per peso politico e riconoscibilità sociale.

La sensazione, rispetto alle pubblicazioni e ai video, le dirette, i social e le inchieste è che il 21 dicembre comunque la Spagna si alzerà in un’epoca diversa. Il dinamismo di Podemos e di Ciudadanos, la povera Izquierda Unida è stata ormai svuotata e si è ridotta a poca cosa, ha portato nuove parole e nuove attitudini nel dibattito, spesso più composto dei colpi bassi che si sono scambiati partito popolare e socialisti.

Un voto nazionale che avrà letture diverse, come sempre accade, andando a vedere in Catalunya e Paesi baschi cosa accade, in uno stato dove, nell’era Rajoy, il voto nazionalista è cresciuto dal 10 al 48%. Mancanza di ascolto, mancanza di politica, mancanza di predisposizione ad ascoltare e fretta di applicare l’assioma del tempo che fu Espana Una y grande. Nessuno lo ricorda più, ormai son passati tanti anni, ma il Partido popular, forte di un viaggio al centro dei primi anni del secolo, è il frutto edulcorato e trasformato di Alianza popular, fondata da franchisti irredenti, con grandi penetrazioni di Opus dei, Legionari di Cristo re. Oggi il volto sorridente e asimmetrico, la barba incanutita, l’occhio chiaro di Mariano Rajoy, prototipo del distinto professionista conservatore (ultra) è una parvenza di buoni sentimenti e di totale fiducia per una storia che vorrebbe scritta su Nato, Merkel, Troika, tagli allo stato sociale e TTIP, che ha rivendicato con forza. Non resta che attendere domenica: quanti andranno a votare? Il cambiamento sarà per patti e maggioranze articolate? E se sì, come potrebbero coesistere vecchi e nuovi attori? Ci sarà un inatteso risveglio per Madrid?