#2 – Delle due note iniziatiche

di Juri Bomparola

Un “fa” risuona grave, gravissimo nella mia testa

Plon…!
Più grave della crisi che avrebbe colpito l’economia mondiale, quasi vent’anni dopo che il mignolo di Dizzy Reed, tastierista dei Guns’n’Roses, ha percosso quel tasto sul pianoforte. Uno dei tasti più estremi posti alla sua sinistra, sulla tastiera.
Oggi non posso sostenere l’ardita congettura che sia stata quella nota la causa delle nostre odierne sventure monetarie, ma la cosiddetta teoria del caos non mi consente nemmeno di escludere aprioristicamente questa ipotesi: il battito d’ali di una farfalla può produrre disastri impensabili.

Plin…!

Un altro “fa”, questa volta più acuto, dolce. Armonizzato e digeribile.

In realtà all’orecchio risulta essere semplicemente un’ottava più alta, accompagnata dall’ottava più acuta ancora, o qualcosa del genere.
E’ una panna cotta con cioccolato al latte: risulta dolcissima, dopo il cacao puro.
Lo stomaco è gonfio della nota precedente e pronto ormai si appresta a lavorare, con meno ansie, sul nuovo accordo, che si fa pietanza più articolata e non più singolo ingrediente.
Un antipasto prepotente che prepara al desco armonico e melodico che mi aspetta.

Il menu è intitolato “November Rain”, e in poco più di nove minuti mi sazierò di piatti che fino a poco prima non avrei mai immaginato di assaggiare.

Sono reduce dai miei sogni di matrice nipponica; il mio imprinting musicale è un polpettone delle canzoni di “Kiss me Licia” mescolate ai concertini della banda di paese, grazie alla quale ho capito come si suonano il corno e la tromba, e come si legge la musica.
Sushi misto a cassoeula e pizzoccheri: pasto primordiale ed essenziale, nutriente e calorico. Però è un rancio non funzionale e, soprattutto, non definitivo.
Quel “fa” mi ha aperto lo stomaco, con tutta la potenza delle sue frequenze basse.
Sono un bassista e parrebbe semplice affermarlo ora, ma è stata la prima nota grave di quel pianoforte a farmi capire che il basso è questione di pancia.
Fisiologicamente passa dall’esofago, per arrivare allo stomaco e, dopo il processo digestivo, rimbomba proprio nella pancia.
Quello che comunemente chiamiamo in questa maniera altro non è che l’intestino.
Un organo lungo e attorcigliato entro le pareti addominali, che sintetizza e assimila le sostanze che più ci sono utili per la sopravvivenza.

Credo avvenga il medesimo processo per la musica, perché quel giorno il basso l’ho sentito diretto e profondo proprio nella pancia.
Dopo quel boccone, una serie di accordi che si sviluppano in rapsodia mi appagano. Archi e voci corali si aggiungono agli strumenti canonici a cui, da buon neofita del rock, mi stavo abituando.

Il pranzo si faceva interessante e sofisticato, forse era una cena. Non lo ricordo.
Ciò di cui ho memoria è che certamente non me l’aspettavo. Le feste più riuscite sono quelle a sorpresa.
Quella canzone ha cambiato in pochi istanti il mio gusto musicale.
La mia fame di musica rispondeva in quel momento all’Appetite for Destruction, senza che me ne rendessi conto.
La melodia cantata da Axl Rose, nel frattempo, mi affascina tremendamente, mentre la pelle d’oca affiora sulle mie braccia appena irsute dalla recente pubertà.
Mentre Axl canta, si intrecciano arrangiamenti che alle mie orecchie suonano come epici racconti di moderne narrazioni eroiche.
L’incremento emozionale è enfatizzato dagli interventi di Slash, un chitarrista tabagista e capellone che non lesina in bending precisi come bisturi sulla pelle del motivo.

Poche note strazianti che raggiungono l’obiettivo alla stregua di una seduta di agopuntura.
Sono rapito: l’hard rock è a un passo dal mio cuore, dopo essere passato a farmi visita in tutto il resto del corpo.

L’explicit del brano in questione diventa la lapide di ogni mia remora, ma al tempo stesso è la pietra miliare del mio desiderio di essere una rock-star: se questo è rock, hard o heavy, io voglio farne parte!

A un certo punto di quella mia parte di vita mi imbatto finalmente nello sfigato di turno: Duff McKagan!

 

Duff-McKagan

 

Il bassista dei Guns’n’Roses ha suscitato nelle viscere di uno Juri più maturo la stessa sensazione di qualche anno prima, quando Steve dei Bee-Hive mi ha inizialmente spinto verso il basso.
Più in basso di così non sarei potuto scendere.
Il “mi” grave, scordato di un semitono come prevede il rito di tante band Hard Rock di quei tempi, rappresentava il limite estremo delle frequenze basse che mai avrei potuto raggiungere.
Più tardi sono riuscito a spingermi oltre, facendo la conoscenza del mio cinque corde.
Non c’è un limite al fondo, verrebbe da pensare, se non fosse che sotto i 20 Hertz l’orecchio umano pare proprio non farcela.
In ogni caso, allora quel “mi” era per me la soluzione definitiva.
Finalmente sarei riuscito a entrare nella pancia delle persone, senza inutili spargimenti di sangue.
E senza bisogno di trasformarmi in una tenia.

In realtà Duff non è poi così sfigato: è solo un tizio che per il gioco delle parti vive all’ombra del frontman e del guitar hero.

In fondo ci sta: quando decidi di essere un bassista, all’inizio della carriera metti in conto il fatto che ti si possa considerare  un semplice gregario. Sta a te e al pubblico capire quanto Sandro Carrea possa trasformarsi in Fausto Coppi.

A mio modo di vedere Duff è divenuto sempre più protagonista e sempre meno gregario predestinato.
Questo mi ha dato agio di pensare che anche gli sfigati come me possono trasformarsi, nel piccolo come nel grande, in campioni.
Suona quindi, Duff McKagan! E cambiami la vita.
Quel maledetto punkettone ha risposto alla prece e mi ha iniziato alla condizione di bassista.
Due note possono cambiarti la vita, anche se semplici e omofone, ma emesse a frequenze differenti.
Bisogna solo ingerirle prima e digerirle poi, per capirne il senso ultimo.
Perché è l’intestino ad assorbire tutto. E il basso lo senti nella pancia, non per caso.

“Ora si fa sul serio”, penso orgoglioso pestando forte sulla corda più grossa del mio primo basso economico, attaccato a un amplificatore da poche lire.
“Senti qua mamma: sto per diventare una rockstar!”

Un “mi” (bemolle!) risuona grave, gravissimo nella sua testa.

 

 

Juri Bomparola Musicista professionista dal 2001, lavora nel mondo delle cover-band e si dedica all’osservazione della gente, perché di persone ne incontra parecchie. Gira l’Italia con un basso tra le mani; suona canta e rappa. Dal 2004 fa parte degli OxxxA, storica cover-band milanese che più di vent’anni or sono ha aperto la strada a chi sognava di fare della musica dal vivo in Italia una professione aperta a tutti.

La rubrica “Mamma sono una rockstar!” La mamma vorrebbe un figlio medico, imprenditore o ingegnere. A volte capita che la mamma non comprenda che un musicista cura se stesso e gli altri con la musica, è imprenditore della propria band ed è pure ingegnere del suono. Lo spieghiamo in questo spazio dedicato a piccoli e grandi musicisti e alle loro mamme. Un viaggio non solo on the road ma anche e soprattutto between the roadsIl musicista suona, ma tra un concerto e l’altro pensa e vive. Ispirato da Ungaretti un bassista racconta i suoi piccoli conflitti quotidiani.