Colonna destra/ Enrico Natoli

LA COLONNA DESTRA DEI SITI MAINSTREAM ITALIANI È IL TRIONFO DEI CLICK E LA MORTE DEL CONTENUTO IN RETE. DAI CASTORI CHE BALLANO ALLE ANATOMIE DEI CORPI ESIBITI IN FINTI SERVIZI RUBATI

Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale

di Enrico Natoli

 

Anticipazione: alla fine lui muore e l’assassino è il maggiordomo anche se porta una divisa dell’Isis.

No, dai, non c’è nulla da guastare, nessun finale da rovinare a chi legge. Era solo un modo discutibile per trarmi dall’imbarazzo di scrivere la colonna destra per Q Code Magazine. Ho finito con l’amare questa rivista conosciuta nemmeno un anno fa e dunque scriverò di un film e di una trilogia di libri che ho amato. Così siamo pari.

L’imbarazzo è quello di essere un pessimo lettore e spettatore. Mi addormento spesso al cinema, inizio decine di libri senza finirli. Ma quando vengo catturato finisco a leggere e rileggere compulsivamente, riguardare ogni volta come fosse la prima. Perché ho una memoria terribile e trattengo molto poco. Un orizzonte temporale naturalmente brevissimo. E chi se ne frega, dirà qualcuno. Giusto. Allora vado al punto senza raccontare ad esempio dov’ero con chi ero che facevo e come mi sono sentito male la sera del Bataclan, come fanno i divi in televisione.

L’esplosivo piano di Bazil

Film del 2009, regia di Jean-Pierre Jeunet, nome che sottolinea la mia ignoranza fantozziana di fronte ai cinefili: “Ma come, non sai che è quello di Amèlie?”. No, non lo so, non lo sapevo almeno. Non so neanche chi sia Amèlie a dirla tutta. Comunque. Non conosco nessuno degli attori presenti nel film però mi piacciono tutti da morire, ognuno di loro al posto giusto. Dato che ho parlato di amore dirò che amo le persone come Jeunet quando riescono a trattare temi tosti con la leggerezza di un aereo di carta.

Bazil è un fumetto, una storia inventata ma solo in parte. Perché parla di armi costruite, commerciate e usate in tutto il mondo; di ferite inflitte ai corpi e alle coscienze; della vita che non ti protegge e ripara mai e quando ti sembra che lo faccia è solo perché ti sei distratto un momento a guardare altrove. Per salvare se stessi è necessario il meccanismo del “qui e ora”, nessuna certezza e passi brevi, al quale è però possibile, mentre si dipana la storia, aggiungere la tenerezza, la follia, l’imprevedibilità e il desiderio di portare a termine una cosa nella vita – almeno una – che abbia un senso compiuto, dei titoli di coda dopo la parola “fine”. Così da restituire un’identità a ognuno dei protagonisti. Un’identità che non passa per la difesa di un’etnia o il controllo di un passaporto ma richiede la realizzazione di almeno una parte di sé. Bellissima favola quella di Bazil. Una famiglia di cui vorrei aver fatto parte.

Il male

Da qui alla cosiddetta “trilogia del male” di Roberto Costantini il passo non è breve né semplice. Perché di questi tre libri (“Tu sei il male”, “Alle radici del male”, “Il male non dimentica”), acquistati e divorati in edizione digitale sospendendo il tempo e ogni attività in esso contenuta, amo la loro tenacia nel mostrarmi il lato oscuro della natura umana e di quanto io gli sia vicino pur facendo spesso finta che non sia così. Il protagonista, un commissario di polizia con l’ufficio in una zona ricca e annoiata della Capitale, ha un passato da picchiatore fascista che si è rifiutato di trasformarsi in qualcuno più accettabile socialmente, magari mancando il passaggio per una possibile candidatura a sindaco qualche anno dopo. Un personaggio quanto più lontano da me possa immaginare. Un donnaiolo, se ne frega del lavoro e di tutto il mondo che lo circonda. L’unico tratto che me lo rende simpatico è che non fuma solo quando dorme.

Pur non essendo un patito del genere (poliziesco o noir come dicono i più colti) la storia mi ha preso dalle prime righe e alla fine è riuscita a dirmi cose su di me. Di alcuni buchi nell’anima che i più saggi suggeriscono di non andare a stuzzicare mai. Di dove son vissuto e del rapporto con il male nelle sue forme più disparate. Dell’impossibilità di schierarmi con i buoni perché i buoni, come i cattivi, sono un’invenzione. Il tentativo di vivere nonostante del commissario invece è reale, la ricerca di un legame con la vicenda terrestre che non si spezzi al primo alito di vento. L’indagine su un omicidio lo porta a ritroso nel tempo come in una saga stellare: da Corso Francia, che un giorno nella vita reale sarà luogo deputato agli incontri in cui Buzzi e Carminati decideranno cosa spartirsi della città eterna e come, alla Libia post-coloniale dove una famiglia benestante e potente e Italiana si disgrega con il passare del tempo in un figlio ribelle, una madre che si arrende, un padre padrone che sente sfuggire la presa.

Se qualcuno mi chiedesse come finisce questa trilogia, che abbraccia un arco di tempo lungo una cinquantina d’anni e incrocia eventi come il Mundial spagnolo di Paolo Rossi e la guerra dei sei giorni in medio Oriente, non ci sarebbe pericolo di anticipazioni: non me lo ricordo. La fine non è importante quando ci si trova davanti a storie che, parlando di altri, ci ritornano un quadro scarno e spietato di quel che spesso siamo, o siamo diventati.

Per coincidenza, mentre preparo questa colonna destra, leggo dell’uscita di un quarto volume sul commissario di Costantini proprio in questi giorni. La notizia non mi entusiasma: per quel che mi è rimasto dentro la trilogia è autoconclusiva.

Intervista a Roberto Costantini dal Salone di Torino:

 

I film dei Giochi

Per finire su un tema più leggero consiglio a chiunque la visione di almeno uno dei film ufficiali dei Giochi Olimpici. Il tema è leggero solo in apparenza perché la storia del mondo e del genere umano si incrocia spesso con le gare olimpiche. Che emozione vedere John Carlos e Tommy Smith e Bob Beamon e Vera Caslavska e Giovanni Gentile e Emil Zatopek e Dick Fosbury e Abebe Bikila e quel giovane nuotatore messicano di cui non so il nome e Novella Calligaris e Livio Berruti e Wilma Rudolph e un giovanissimo Muhammad Ali all’epoca ancora Cassius Clay. Che triste ricordare che appena prima delle Olimpiadi a Città del Messico ci fu la strage degli studenti. Che impressione vedere le macchine Olivetti nelle sale stampa.

I film si trovano su YouTube e offrono una visione inedita e meravigliosa dei Giochi, del mondo che si trasforma e si muove intorno a quest’evento. Al netto del doping e degli interessi commerciali uno dei pochi per i quali mi sembra sensato che esistano ancora i confini tra Stati.

Il film ufficiale dei Giochi Olimpici del 1968 a Città del Messico