Economia: il malessere e il lavoro

Il dogma dell’austerità, le previsioni per il 2016 di Stiglitz
e la lezione (finora inascoltata) di Kalecki


di Clara Capelli

Chissà cosa diranno i nostri posteri fra quaranta o cinquant’anni quando guarderanno alle politiche economiche dei nostri tempi. Chissà come commenteranno la finanziarizzazione, le disuguaglianze che si acuiscono, i tanti problemi del sistema euro, il mantra dell’efficienza del mercato e dell’austerità ripetuto come un vecchio ritornello di cui ormai non si percepisce nemmeno più l’intrinseca assurdità. Forse, speriamo, ci guarderanno con un misto di orrore e compatimento, un po’ come ora noi pensiamo ai medici che praticavano i salassi convinti di guarire il malato, oppure ai sacerdoti che compivano sacrifici umani per ingraziarsi il favore degli dei.

Il Grande Malessere continua, così si è espresso l’arcinoto Stiglitz in un articolo pubblicato da Project Syndicate all’inizio dell’anno sui bilanci del 2015 e le prospettive per il 2016 in materia economica.

Stiamo male, magari non stiamo proprio tirando le cuoia, forse è “solo” un’indisposizione cronica, ma non ce la passiamo per nulla bene.

In modo piuttosto chiaro, Stiglitz offre una panoramica dei nodi critici dell’economia mondiale, lasciando in qualche modo intendere che la cura non passa né per i salassi né per i sacrifici nella mistica speranza di un avvenire migliore. Il problema risiede principalmente in una carenza di domanda, ossia di potere d’acquisto che possa assorbire la produzione di beni e servizi; ma se non c’è domanda, allora che si produce a fare? Non si produce, allora si licenzia, oppure si contengono i costi, quindi si taglia sul costo del lavoro e sulle sue tutele. Ma facendo ciò, chi ha il potere d’acquisto per assicurare la domanda alla produzione offerta sul mercato?

La chiave di questo circolo vizioso è, dovreste averlo capito, il lavoro.

Trenta e passa anni di precarizzazione (pardon, flessibilizzazione) del lavoro imbellettata da concetti come merito ed efficienza hanno fatto sì che la coperta non basti per tutti. E chi poteva se l’è tirata dalla sua parte.

Proteste anti austerità in Canada - foto di MOD via Flickr in CC

Proteste anti austerità in Canada – foto di MOD via Flickr in CC

Tra quaranta o cinquant’anni sarà evidente la perversione di questa dinamica e gli interessi che vi si celano? Difficile dirlo, soprattutto perché non siamo di fronte a un fenomeno nuovo e dalla Storia quindi non abbiamo proprio imparato niente al momento. Dei problemi menzionati da Stiglitz ne parlava già decenni e decenni fa un signore polacco di nome Michael Kalecki, poco conosciuto se non come “il precursore di Keynes”, che, tra le altre cose, nel 1943 scrisse un lungo quanto importante articolo dal titolo “Aspetti politici del pieno impiego” in cui si interrogava sui rapporti di forza tra lavoro e profitto e sul ruolo dello Stato rispetto a essi. Leggetelo, sono davvero poche pagine e non c’è nemmeno una formula. Soprattutto, sembra scritto per descrivere e offrire un quadro teorico dei fenomeni economici cui stiamo assistendo in questo travagliato presente.

La crescita e il benessere li fanno il lavoro o il profitto? Una volta gli economisti si scannavano su tale questione.

Al di là degli aspetti tecnici e teorici, Kalecki bene spiega (in un modo comprensibile anche a chi ha passato Economia I con 18 al decimo tentativo copiando dal vicino) come il problema sia anche e soprattutto un problema di rapporti di potere. Il pieno impiego è una cosa bella sulla carta – siamo tutti d’accordo, vero? – ma scomoda per qualcuno che finisce per guadagnarci meno di quanto potrebbe. E inoltre, il pieno impiego non si assicura per grazia divina, ci vogliono delle politiche governative che vadano in questo senso. Politiche che, possibilmente, assicurino un’occupazione e condizioni di vita dignitose a tutti, temperando – se non livellando, ma questa è un’altra storia ancora – le disuguaglianze. Ma, di nuovo, questo non piace a tutti, qualcuno ci perderebbe e potrebbe avere qualcosa in contrario.

Proteste anti austerità in Regno Unito - foto di Paul de Gregorio via Flickr in CC

Proteste anti austerità in Regno Unito – foto di Paul de Gregorio via Flickr in CC

Settantatré anni dopo l’opera di Kalecki, dimenticata da molti, anche in accademia, rassomiglia tristemente a una profezia di Cassandra. Il lavoro che non c’è – e quando c’è è sovente precario, con prospettive di corto respiro, mal pagato, poco o niente tutelato – è una costante della narrazione contemporanea, dagli Usa con la polemica sui McJobs e il dibattito sul salario minimo all’Unione Europea con tassi di disoccupazione sostanzialmente preoccupanti e la fobia del migrante che sottrae risorse, dai giovani di Nord Africa e Medio Oriente insorti per esigere un posto nella società a tutti coloro che abbandonano la loro terra natia per cercare un lavoro nei loro sogni migliore.

Allora occorre creare più lavoro, migliorare le garanzie di quello che c’è già.

Sì, certo, ma intanto accettate di fare qualche sacrificio, chiedete che tutti facciano più sacrifici. Così, un giorno, la crescita creerà opportunità per tutti. Un giorno di quel lungo periodo economico che spesso acquista un sapore quasi messianico.

Proteste anti austerità in Irlanda - foto di William Murphy via Flickr in CC

Proteste anti austerità in Irlanda – foto di William Murphy via Flickr in CC

La coperta non basta ma siamo troppo distratti ad azzuffarci per accaparrarcene un lembo per chiedere che venga allargata in modo da arrivare a tutti. Nel frattempo, a prendersi la parte imbottita di questa coperta sono la finanza che sottrae risorse agli investimenti produttivi, poche professioni strapagate e grandi compagnie libere – loro sì – di muoversi tra le frontiere nazionali alla ricerca di nuove occasioni di profitto, le stesse compagnie che stanno facendo attività di lobbying per l’approvazione di controversi trattati di libero (per chi e a vantaggio di chi?) commercio e investimento quali l’ormai celebre TTIP o il meno conosciuto TiSA (Trade in Services Agreement).

Stiglitz invoca la necessità di maggiore investimento pubblico e il superamento del cosiddetto “feticismo del deficit”. Non è esattamente ciò che teorizzava Kalecki, ma si imbocca comunque una direzione ragionevole.

Il punto cruciale è il superamento del paradigma dell’equilibrio di bilancio che, semplificando, riduce i margini di intervento dello Stato nel riperequare le disuguaglianze e garantire un sentiero di sviluppo di piena occupazione, limitando a un ruolo ancillare rispetto al settore privato, nell’illusoria e ascientifica convinzione che gli interessi particolari dei singoli possano armoniosamente ricomporsi in un assetto sociale a vantaggio di tutti.

Proteste anti austerità in Grecia - foto di Des Byrne via Flickr in CC

Proteste anti austerità in Grecia – foto di Des Byrne via Flickr in CC

Le politiche di austerità sono appunto espressione di questa precisa visione teorica, che a sua volta risponde e precise geografie di potere. Anche a distanza di anni e di fronte a risultati a dir poco scoraggianti, è difficile superare criticamente certe teorie ormai radicate nel senso comune: per riprendere l’esempio dei salassi, ci si è impiegato parecchio tempo a comprendere che se il paziente non recupera è la pratica che è nociva e non il fatto che non venga rimosso abbastanza sangue “cattivo”.

Il cambiamento, tuttavia, è questione di “politica e ideologia” come precisa Stiglitz e come diceva già Kalecki (lo dicevano e lo dicono anche altri, ma saremo austeri di citazioni).

Con buona pace per chi crede (il verbo non è casuale) negli automatismi del mercato, l’economia è fatta di fenomeni sociali e come tale si governa.

La Grecia nel 2015 ha dimostrato che tali fenomeni sono ormai così complessi e così vasti in termini di scala che la volontà di un popolo da solo non basta più. Altre forme di organizzazione, mobilitazione e produzione del pensiero si rendono necessarie per affrontare i temi chiavi della dignità del lavoro e del pieno impiego, della riduzione delle disuguaglianze, del ripensamento del modello economico e delle forze che lo determinano.

Proteste anti austerità in Portogallo - foto di Global Panorama via Flickr in CC

Proteste anti austerità in Portogallo – foto di Global Panorama via Flickr in CC

Difficile? Senza dubbio. Eppure doveroso, se vogliamo che fra quaranta o cinquant’anni i nostri posteri si chiedano stupiti perché non abbiamo dato retta prima a Kalecki. Intanto, il Grande Malessere continua. Chi può si prenda una pastiglia.
 

Questo articolo rappresenta il punto di vista dell’autrice, espresso a titolo personale
L’immagine in apertura è una fotografia di Neil Moralee tratta da Flickr in CC