#6 – Della casa mia (e di chi come me)

di Juri Bomparola

Ho avuto molte case nell’ultima dozzina di anni, quasi tutte occasionali. Alcune ricorrenti, altre mai più riviste, parecchie nemmeno vissute.

Camere d’albergo, bed & breakfast, appartamenti in affitto o stanze in concessione dopo questo o quel concerto.
Si suona, si dorme, si riparte: nulla di inusuale per chi fa il mio mestiere.
In realtà il mio focolare da qualche anno ha preso residenza a Milano, su consiglio dell’amore e di diverse ragion di Stato.
Con l’amore, chi non lo sa lo può comunque immaginare, si vive dappertutto.
Mi interrogo ora sul concetto definitivo di “casa” e la questione si fa intricata.
O meglio, l’esatto opposto: si fa semplice semplice, poiché è necessario ridurre ai minimi termini la propria esperienza e tornare alle radici.
Dare vita a questo processo può essere molto più complicato che pensarlo.

Vogliamo essere complicati sempre, anche quando non è necessario.
Bisogna indietreggiare, dimenticare e a volte rinnegare.
È fondamentale decostruire. Non distruggere, si badi bene, solo regredire nel personale impianto cronologico, filtrando fino ai minimi termini o quasi quello che Freud definiva Es.
Dobbiamo sciogliere i legami chimici con la nostra storia per tornare a essere atomi, divisi dalle mille e più molecole che siamo diventati. Siamo tutti, nessuno escluso, più di una singola essenza compiuta, definita e men che meno definitiva.

In tempi così moderni la materia veramente complessa inerisce la più totale semplificazione.
Dobbiamo dimenticare, senza cancellarle, le reazioni e le soluzioni che hanno generato l’odierno Io che siamo, per tornare al “prima” di qualunque azione sostanziale.

La macchina del tempo esiste ed è nascosta dentro la nostra calotta cranica. Ci porta indietro nel tempo e ci svela chi siamo nel momento in cui l’abbiamo dimenticato.
Per viaggiare nel futuro il mezzo è il medesimo ma va alimentato con speranze e immaginazione.
Adesso, però, bisogna tornare atomi per cercare la nostra vera casa, che ci piaccia o meno.
L’importante, ora, è procedere a ritroso.
All’alba degli anni ’90 i Guns’n’Roses inserirono una frase in un loro testo: “.. But is home is where the heart is, then there’s stories to be told…”.
Non casualmente il brano in questione è stato intitolato “Coma”: alterazione massima dello stato di coscienza.
Se lo diceva Axl Rose, allora possiamo iniziare a rifletterci.

“Home is where the heart is…” ci suggeriscono gli anglosassoni, sfornando un luogo comune foneticamente scivoloso e poetico che non ha mai trovato nella lingua italiana la stessa forza evocativa.
Negli anni ’60 Elvis ha pensato di cantarcelo addosso, mentre sulle nostre facce scagliava il suo “Pugno proibito”, intriso di pop-corn profumati di burro dentro drive-in peccaminosi.

Qual è la casa e dov’è il cuore?

Sarebbe facile giungere alla conclusione che la casa è dove c’è l’amore.
Una rockstar non può – e non deve! – accondiscendere all’equazione cuore = amore. Altrimenti oggi sarei il bassista dei Modà.
Con tutto il rispetto.
Consapevole delle conseguenze pragmatiche sottese dall’abusata locuzione “con tutto il rispetto”.
E qui, in un vortice emotivo e semantico, dovrei ribadire “con tutto il rispetto” ad libitum senza sfumare.
Per rispetto, appunto.
Sempre ammesso che io sia in grado di essere il bassista dei Modà: doverosamente specifico.
Ma il mio basso è potente e cattivissimo, e si ispira a Nikki Sixx, a Lemmy e a Duff McKeagan.
Dov’è questa casa mia, dunque? Manca l’incognita fondamentale che risolve l’equazione perfetta.
Elvis aiutami tu.

La soluzione è nascosta là dove sono nato. La terra che ha accolto il seme che io ero e l’ha preservato dalle intemperie del tempo e dai capricci dei Tempi.
Mi ha protetto e fatto crescere albero e non gramigna da estirpare o arbusto da piegare, almeno credo e spero.
Risolvo quindi l’equazione: la mia personale incognita è “Y”.
Una ipsilon rovesciata però, a testa in giù. Piena d’acqua dolce.
Capirete. Magari guardando una cartina geografica del nord Italia proiettata da chissà quale satellite, capovolgendo la schermata o torcendo le vertebre cervicali.
Avete capito. O capirete comunque.

A rigor di storia, pare che il primo fra tutti a sostenere che “la casa è dove si trova il cuore” fu Plinio il Vecchio (23-79 D.C.).

Eredi della gloriosa Roma Imperiale, non siamo stati in grado di perpetuare degnamente l’intuizione del nostro avo.
Siamo bravi a perdere “cose”, noi italiani.
In passato abbiamo perso guerre come fossero partite di calcio, direbbe Winston Churchill, e territori; oggi perdiamo cervelli che si danno alla fuga e persino la dignità.

In questo caso abbiamo perso solo un efficace proverbio.
Poco male verrebbe da sentenziare.
Con esso però potremmo aver perso anche la strada di casa.
Come per altre questioni ben più contingenti, ce ne siamo fatti una ragione e tante altre ragioni continuiamo a farci.
Tornando all’epoca antica, prima di Tizio e Sempronio c’era questo Caio, particolarmente citato in alcune litanie del vecchio luogo comune. Caio era omonimo di Plinio il Vecchio, appunto conosciuto all’anagrafe come Caio Plinio Secondo.

Questo personaggio fu scrittore, storico e naturalista romano, guarda caso nato a Como come il sottoscritto.
Sempre il Caso – perché di puro azzardo si tratta, lo giuro – ha voluto che io frequentassi, dopo le scuole medie e prima dell’università, un istituto tecnico commerciale comense, a lui intitolato.
Non sono determinista per natura ma a volte mi sfiora il pensiero che certe apparenti “coincidenze” siano in realtà segni da cogliere.

Forse dovrei soffermarmi di più sull’espressione: “la casa è dove si trova il cuore”, sentenza fossile del mio antenato che, “con tutto il rispetto” per Axl Rose, mi sembra più autorevole.

Alla fine di un concerto mi capita spesso di vivere lucide allucinazioni.
Vedo uno scorcio di paesaggio, un panorama, un punto preciso affacciato sul Lago di Como dove vorrei essere in quel momento.

 

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È un moto inconscio, un ritorno inconsapevole. È una vibrazione endogena non guidata.
Su una riva del lago di Como è nato, tra gli altri miei, il sogno di fare il musicista.

 

“Sorpresa

dopo tanto

d’un amore

 

Credevo di averlo sparpagliato

per il mondo”

 

Invece quell’amore è rimasto là. Prima, oggi e per sempre sarà là.

Non sparpagliato, ma dentro me e fuori di me.

Questo processo psichico involontario potrebbe rappresentare la mia decostruzione spontanea: una contro reazione che finalmente scioglie i legami chimici con la storia mia, per farmi tornare l’atomo che ero prima: essenziale.
Una volta atomo, i miei elettroni si trovano da soli col nucleo a fare grandi e piccole considerazioni, alcune serie e altre facete.
La prima, inevitabile e lapidaria: la mia casa è là dove sono nato e cresciuto, e attorno a essa.
La casa di cui riconosco i colori, gli odori e i sapori.
Non dipende da me né dalla mia storia la radice da cui sono stato generato.
Posso staccarmene, posso adattarmi e radicarmi altrove. Posso stare bene ovunque e con chiunque. Ma la casa indica la sua strada, sempre.

A ognuno di voi accadrà lo stesso: la vostra casa traccia il percorso per tornarci.

Può piacervi o meno, potete non accorgervene spontaneamente o voltare il capo nella direzione opposta intenzionalmente.
Potete abbassare le palpebre per non vedere e tappare le orecchie per non sentire.
Potete o meno tornarci: così è, comunque.
Non si scappa. O ci si può provare, a seconda delle convinzioni esperite.
La seconda considerazione: il mio Avo, Caio Plinio Secondo, perì nell’eruzione che ha reso celebre il Vesuvio nel mondo e nella Storia.
Da cronista dei tempi e naturalista intendeva documentare al meglio delle sue possibilità quel fenomeno naturale divenuto ormai leggendario. La sua perizia gli fu fatale, in quel lontano ‘79 Anno Domini.
Il Caso – sempre lui! – ha voluto che io trovassi l’amore proprio nei dintorni della Neapolis campana e, mentre scrivo, là mi sto recando per far visita a suocero e parenti acquisiti.
Questa e altre volte tornerò.
Colgo l’occasione per avvisare il Fato che pur essendo comasco non sono storico, né naturalista.
Ho deciso di fare il musicista e non intendo perire sotto alcuna eruzione.
Né del Vesuvio né di altra altura geologicamente attiva.
Altrimenti avrei intrapreso l’attività di vulcanologo.

La mia intenzione è quella di suonare il basso ancora per qualche tempo, possibilmente dal vivo, preferibilmente da vivo.

Non farmi spirare, o Fato, nel magma di Madre Terra!
Invito chiunque a visitare le rovine di Pompei ed Ercolano, a ogni modo: un patrimonio storico da tutelare e sostenere, contro ogni avversità che si pone a ostacolo della diffusione della cultura e della storia in Italia.
Terza considerazione, quasi esoterica: il buon Elvis Presley morì circa quarantacinque minuti prima che nascessi io.
Procedo analiticamente.
Decesso di Elvis Aaron Presley: 16 agosto 1977, ore 15:00.
Nascita di Juri Bomparola: 16 Agosto 1977, ore 15:45.
Chi non l’hai mai fatto, si prodighi: andate ad assaggiare il  “Pugno” del Re del Rock’n’Roll.
Per me più “proibito” che per molti altri.
Qualcuno, forse mia madre – non  ricordo davvero se fosse lei, ma è tanto romantico crederlo – qualche anno più tardi mi disse: “morta una stella, ne nasce un’altra”.
Non mi si tacci di blasfemia artistica o di megalomania.
Bastano tre quarti d’ora per rigenerare un astro così abbacinante? Non credo.
E comunque sul ponte sventolo bandiera bianca: non sono io, quella succedanea stella.
Le prove sono tutte a mio discredito.
Non sono il nuovo Re, non c’è tema di smentita.
A me basta fare tesoro del ritornello: “Home is where the heart is…”.
No, non sono determinista, come detto, e tantomeno fatalista.
I dati sopra esposti sono pura cronaca, io non c’entro niente.

Elvis, Caio Plinio Secondo e me medesimo giochiamo a poker con il morto; laddove i morti sono già due, più uno sconosciuto accolto per convenzione: pace all’anima sua.

A questo punto concedetemi solo di credere che se sono convinto che “la casa è dove sta il cuore” qualche valido motivo io possa avercelo.
Forse è solo scaramanzia oppure una sorta di kabbalah profana e personale.
Eventi, numeri e parole si intrecciano fino a formare un perfetto girotondo diabolico. Oppur divino? È lo stesso.
“Stasera torno a casa mamma! Scola la pasta e prepara la polenta coi misultitt*.
Non sono, ahimè, la stella che può sostituire Elvis, ma sono pur sempre una piccola rockstar. E ho fame!”

*Misultin: pietanza povera, tipica della cucina lariana, a base di pesce d’acqua dolce essiccato (agone). Da qui il piatto tradizionale lariano “pulenta e misultitt”.

Il termine “misultitt” nell’ortografia tradizionale indica il plurale della voce singolare “misultin”.

 

 

Juri Bomparola Musicista professionista dal 2001, lavora nel mondo delle cover-band e si dedica all’osservazione della gente, perché di persone ne incontra parecchie. Gira l’Italia con un basso tra le mani; suona canta e rappa. Dal 2004 fa parte degli OxxxA, storica cover-band milanese che più di vent’anni or sono ha aperto la strada a chi sognava di fare della musica dal vivo in Italia una professione aperta a tutti.

La rubrica “Mamma sono una rockstar!” La mamma vorrebbe un figlio medico, imprenditore o ingegnere. A volte capita che la mamma non comprenda che un musicista cura se stesso e gli altri con la musica, è imprenditore della propria band ed è pure ingegnere del suono. Lo spieghiamo in questo spazio dedicato a piccoli e grandi musicisti e alle loro mamme. Un viaggio non solo on the road ma anche e soprattutto between the roadsIl musicista suona, ma tra un concerto e l’altro pensa e vive. Ispirato da Ungaretti un bassista racconta i suoi piccoli conflitti quotidiani.