Le porte rosse di Middlesbrough

In Regno Unito, gli ingressi delle case dei richiedenti asilo
sono causa di discriminazione e intimidazioni.
E svelano i meccanismi del sistema di accoglienza

di Paolo Riva

Alla fine, dopo lo sdegno, le smentite e le prese di posizione politiche, verranno ridipinte con un altro colore. Con uno qualunque, “basta che non sia il rosso”. Le porte di Middlesbrough, infatti, in poche ore, da quando il quotidiano britannico le ha messe in prima pagina, sono diventate il simbolo dell’intolleranza inglese nei confronti dei richiedenti asilo. E la spia di un sistema che, pur non avendo a che fare con i grandi numeri di altri paesi europei, sembra più attento al profitto che all’inclusione sociale.

Ma andiamo con ordine, cominciando dai fatti. Ieri, il Times ha svelato con un’inchiesta ben documentata che, nella città di Middlesbrough, nel Nord Est dell’Inghilterra, la stragrande maggioranza delle abitazioni destinate dall’impresa Jomast all’ospitalità dei richiedenti asilo hanno le porte d’ingresso dipinte di rosso. Per la precisione, i giornalisti del Times ne hanno contate 168 e sono riusciti a parlare con 66 dei loro abitanti. I risultati, 155 porte rosse e 62 richiedenti asilo (più due rifugiati), hanno convinto il quotidiano ad uscire con il titolo «L’apartheid dei richiedenti asilo nelle strade britanniche».

Le persone intervistate, infatti, sostenevano di essere state ripetutamente vittime di episodi di intolleranza e discriminazione, di lanci di sassi e uova, di urla e intimidazioni, in alcuni casi con simboli del National Front ed escrementi di animali. Il tutto a causa dei riconoscibili ingressi delle loro abitazioni.

Jomast ha negato ogni tipo di politica discriminatoria nei confronti dei richiedenti asilo e ha bollato le accuse come «ridicole», sostenendo di avere molte proprietà con quel colore di porte, a prescindere dall’origine degli abitanti. Ciò nonostante, l’inchiesta ha scatenato un vespaio di polemiche che sono continuate fino a toccare il responsabile immigrazione del governo Cameron. «Sono molto preoccupato dalla questione e ho chiesto a funzionari del ministero di condurre una inchiesta interna urgente sulle abitazioni dei richiedenti asilo nel Nord Est», ha dichiarato il sottosegretario James Brokenshire. «Se troviamo prova di discriminazioni nei confronti dei richiedenti asilo, affronteremo subito il problema, nessun comportamento del genere sarà tollerato».

reddoor_land1_2648877a

La faccenda, però, sembra non essere così recente. Secondo quanto affermato dall’attivista ed ex consigliere comunale Suzanne Fletcher alla Bbc e confermato da alcune mail pubblicate dall’Huffington Post Uk, il problema era già stato sollevato nel 2012, ma Jomast non era intervenuta. Anzi, alcuni richiedenti asilo hanno raccontato al Guardian di aver ridipinto le loro porte con un altro colore, ma di essersele ritrovate rosse dopo un pronto intervento degli operai dell’azienda.

Il cuore della vicenda però, per quanto inquietante, non è il colore delle porte. Il rosso discriminazione è solo un dettaglio di un quadro più ampio. E fosco.

Come già spiegato dalla Bbc lo scorso ottobre, Middlesbrough è la città con il più alto numero di richiedenti asilo per abitante dell’intero Regno Unito. Le linee guida del governo per una positiva convivenza prescriverebbero di non superare mai il rapporto di un richiedente ogni 200 cittadini. Accade in tutto il paese, tranne che sulle rive del Tees, dove ce n’è uno ogni 186. Un dato assolutamente fuori scala, se si considera che le otto contee a Sud Est di Londra ne accolgono complessivamente 494 e, nel paese, su un totale di 442 autorità locali, ce ne sono 185 che non danno ospitalità a nessun richiedente.

In tutto questo, la Jomast e, soprattutto la grande compagnia di servizi G4S, per cui Jomast lavora in subappalto, hanno un ruolo centrale. A partire dal 2012, nel quadro di un piano pensato del precedente governo per alleggerire la presenza di richiedenti asilo nel sud est del Paese, G4S ha vinto l’appalto per l’accoglienza ne Nord Est e si è rivolta alla Jomast, azienda locale, che si definisce “uno specialista della rigenerazione urbana” e “una forza preminente del mercato immobiliare britannico”, grazie al suo patrimonio di 250 milioni di sterline.

Secondo l’inchiesta del Times e le dichiarazioni di alcuni politici, la Jomast avrebbero sfruttato la commessa governativa per riempire case di bassa qualità, poco appetibili sul mercato e situate in zone povere e degradate delle città.

A Middlesbrough, ma anche nella vicina Stockton on Tees e a Newcastle, più a nord. Qui, secondo quanto dichiarato da Nick Forbes, a capo del consiglio comunale della città, Jomast alloggia i richiedenti asilo «in maniera completamente casuale, senza prendere in considerazione il loro benessere o l’effetto del loro arrivo sulle comunità locali… Il risultato è che, nel corso degli anni, ci sono state delle tensioni. Nella mia circoscrizione, West Newcastle, i cittadini si lamentano che stanno scaricando dei poveri a degli altri poveri». Se fosse vero, si tratterebbe di un precedente poco edificante, considerato il ruolo presente e futuro del Regno Unito di David Cameron nella crisi dei migranti in corso.

Da un lato, infatti, la politica di chiusura di cui la giungla di Calais è il simbolo, ha permesso al paese di ricevere un numero contenuto di richiedenti asilo. Secondo le cifre pubblicate ieri da Fmi, infatti, nel 2015, Londra avrebbe ricevuto 32.090 domande di protezione internazionale (dati aggiornati ad ottobre) contro le 77.970 dell’Italia (a novembre), le 162.877 della Svezia e le 476.649 della Germania. Dall’altro, il continuo afflusso di profughi e la revisione del Regolamento di Dublino paventata dalla Commissione Europea potrebbe costringere Downing Street a una maggiore accoglienza. E allora sì che ci sarà bisogno di controllare aziende come la Jomast, non solo per il colore delle porte.