Tunisia: le rivolte di Kasserine e i vecchi spettri

Manifestazioni e scontri, con l’immaginario che torna al 2011

di Stefano M. Torelli*, tratto da ISPI

Il clima che si respira in Tunisia sembra essere quello di cinque anni fa, quando migliaia di manifestanti riuscirono a costringere l’ex dittatore Ben ‘Ali a fuggire dal paese, dando vita a una transizione politica che è tutt’ora in corso e che avrebbe meritato l’appellativo di “Primavera araba”, con tutto ciò che ne è conseguito nella regione.

Le folle di giovani sono tornate in piazza per denunciare una situazione socio-economica non più sostenibile, che si traduce in altissimi tassi di disoccupazione, sacche di povertà e, a livello strutturale, provocata da un’immensa disparità tra i livelli di sviluppo delle regioni costiere e quelle interne. Proprio da queste ultime, esattamente come accaduto nel 2011, è partita la nuova ondata di proteste.

Epicentro delle manifestazioni e degli ultimi fatti di cronaca, infatti, è la città di Kasserine, al confine con l’Algeria. Qui un poliziotto è stato ucciso durante gli scontri e il governo ha imposto un coprifuoco – che più volte non è stato rispettato – nel tentativo di riportare la situazione a livelli di normalità.

L’area di Kasserine rappresenta in maniera emblematica le forti differenze interne che si registrano ancora oggi nel paese: qui il tasso di disoccupazione rasenta il 30%, a fronte di una media nazionale di circa il 15%; l’accesso all’acqua potabile è riservato al 27% della popolazione, contro una media nazionale di quasi il 60%; il tasso di analfabetismo supera il 32% (a Tunisi è del 12%) e il tasso di abbandono scolastico è di più di 10 volte maggiore rispetto alle aree costiere dell’Est. Sono cifre che rendono bene l’idea delle motivazioni alla radice dei nuovi scontri. E, a fronte di tale quadro, il governo appare come immobile, incapace di trovare soluzioni.

Ed è da questa considerazione che emerge chiaramente come la natura delle attuali proteste sia sì di tipo socio-economico, ma che allo stesso tempo è anche politica. Il paese soffre da decenni – da ben prima della caduta di Ben ‘Ali – delle disparità interne e più volte è stato sottolineato come la mancanza di adeguate politiche di investimenti e sviluppo di alcune aree costituisca una delle vere minacce alla stabilità del paese e alla stessa riuscita del processo di democratizzazione in corso.

La protesta si è gradualmente spostata verso altre città e la maggior parte dei giovani che stanno riempiendo le piazze in questi giorni sono gli stessi che cinque anni fa protestavano contro Ben ‘Ali, sperando di poter costruire un nuovo paese, fondato su nuove dinamiche.

Ciò che appare oggi, invece, è un paese in cui, se da un lato la condizione politica e alcune libertà civili sono migliorate, dall’altro non si è fatto ancora abbastanza – per usare un eufemismo – per rimediare all’annoso problema del sottosviluppo delle regioni interne e occidentali. Senza che i governi che si stanno succedendo, di qualsiasi natura essi siano, mettano in campo serie politiche strutturali per cambiare il corso di tale situazione, vi sarà sempre il pericolo latente che si possa tornare al caos.

È bene non confondere quanto sta accadendo a Kasserine con l’emergere di gruppi e ideologie di stampo jihadista, come erroneamente è stato fatto da alcuni commentatori. È vero che la stessa area rappresenta in qualche modo la fucina della radicalizzazione della nuova generazione di tunisini disillusi che decidono di intraprendere la strada del jihad (dentro e fuori il paese, come testimoniato dalle migliaia di tunisini che sarebbero presenti in Libia, Siria e Iraq, ma anche gli attentati registrati durante il 2015 in Tunisia stessa).

È altrettanto vero, però, che affrontare la questione di Kasserine semplicemente come “la rivolta della città islamista” vorrebbe dire, ancora una volta, voltare lo sguardo da un’altra parte e non voler vedere che, alla base dello scontento, vi sono problemi che hanno le loro radici ben più lontano degli ultimi episodi di radicalizzazione. Al contrario, semmai, è proprio la condizione strutturale di aree come quella di Kasserine che contribuisce, nel lungo termine, a determinare una situazione esplosiva.

In questo senso, è necessario ancora una volta sottolineare come le stesse misure del governo di Tunisi per contrastare il fenomeno della radicalizzazione e del terrorismo siano ancora oggi insufficienti e abbiano bisogno di essere ampliate. Nella nuova legge sull’anti-terrorismo promulgata dal governo lo scorso luglio, l’impostazione è troppo sbilanciata verso gli aspetti della sicurezza, mentre non si tiene conto delle cause profonde della radicalizzazione.

In questi giorni a Kasserine, in altre parole, stanno venendo al pettine i nodi (anche) di una risposta politica inadeguata all’emergenza terrorismo. Le manifestazioni e gli scontri di questi giorni dimostrano come la vera emergenza del paese sia quella della mancanza di politiche di sviluppo mirate e ben pianificate, senza le quali la Tunisia continuerà a correre il rischio di cadere vittima di nuovi episodi di violenza. Con un nuovo approccio alla questione, che sappia basarsi anche su interventi politici, economici e sociali, oltre che solo su quelli securitari, Kasserine potrebbe diventare nel medio-lungo periodo il simbolo della soluzione ai problemi tunisini, non il problema.

Al contrario, se l’attuale classe politica continuerà a governare seguendo vecchi schemi e non riuscendo a rinnovarsi – non solo dal punto di vista dei volti, ma anche delle policy –, episodi come quelli di questi giorni continueranno a verificarsi e la Tunisia non potrà dire di aver avuto successo nel dar vita alle speranze di cambiamento sorte il 14 gennaio di cinque anni fa.

*Stefano M. Torelli, ISPI Research Fellow