Cina, boom nucleare

Circola una battuta sui social network cinesi: «La squadra di soccorso dovrebbe essere messa sul confine Cina-Corea del Nord». Il riferimento è ai sollazzi nucleari del figlio d’arte Kim Jong-un, ma il pretesto è il boom atomico annunciato dalla Cina mercoledì scorso: decine di nuove centrali che verranno costruite nei prossimi cinque anni e una task force di trecento persone che dovrebbe sistemare le cose in caso di incidenti; ma che, disgraziatamente, non si vede ancora

di Gabriele Battaglia, tratto da China Files

Per uscire dal ciclo del carbone, la Cina punta a raddoppiare la propria produzione di energia nucleare in meno di cinque anni: dai 28 gigawatt di oggi ai 58 del 2020. Se 30 reattori sono già in attività, 24, più moderni e potenti, sono in costruzione, dopo che si è scelto di rilanciare l’energia atomica per rispettare gli impegni presi in materia di controllo delle emissioni. Disgraziatamente, sono però le stesse autorità cinesi a rivelare che la sicurezza non è per ora all’altezza delle ambizioni.

È definito dai media di Stato «un atto di trasparenza» il primo libro bianco del governo cinese sull’energia nucleare, presentato mercoledì scorso. Un blocco generale della costruzione di nuove centrali fu la scelta di Pechino dopo il disastro giapponese di Fukushima nel 2011. Lì, la Cina si rese conto di non essere all’altezza in materia di sicurezza, ma le esigenza energetiche imposero la ripresa degli studi di fattibilità per nuove centrali a partire dal 2012. Ora fonti del governo dicono che un approccio precauzionale ha fatto sì che tra il 2011 e il 2014 si sia lavorato molto sull’aspetto della sicurezza, con squadre di ispettori spediti sia nelle centrali già esistenti sia in quelle in costruzione.

A recitare la parte delle protagoniste nel nuovo boom del nucleare sono le grandi aziende di Stato, la China National Nuclear Corporation e il China General Nuclear Power Group, che inanellano record quantitativi.

La prima, per esempio, ha costruito quattro centrali nel solo 2015, arrivando così a 16 unità funzionanti, il più grande costruttore di centrali nucleari al mondo nell’ultimo anno. La seconda si è appena accordata per costruire una centrale in Gran Bretagna, in partnership con un produttore locale, esportando così la tecnologia cinese anche dalle nostre parti.

Ora, in Cina, le centrali nucleari sono quasi tutte localizzate lungo le coste orientali e meridionali, ma si pensa di costruire i nuovi impianti anche nelle regioni dell’interno e addirittura sui mari. Sì, perché sono allo studio centrali galleggianti che dalle descrizioni dovrebbero essere una specie di boa con un reattore all’interno. Il che ci rimanda direttamente alle tensioni nel mar Cinese Meridionale, con l’intento cinese, non troppo nascosto, di rifornire le proprie installazioni in quei mari proprio con l’energia prodotta dalle boe atomiche. E, forse, di lasciarle alla deriva, ma ben lontano dalle coste cinesi, in caso di disastri.

Per ora siamo solo alle proiezioni immaginifiche, alla propaganda del brand nucleare made in China. Ma il gigantismo vero o presunto, non può nascondere le perplessità.

È stato infatti lo stesso presidente dell’Authority sull’Energia Nucleare, Xu Dazhe, a rivelare che la costruzione di due reattori di fabbricazione francese nella provincia meridionale del Guangdong è stata fermata perché – come avrebbero fatto sapere gli stessi francesi – c’è un difetto di fabbricazione. Insomma, la Cina vuole dimostrare che dietro il boom del nucleare c’è un’estrema cautela, ma suggerisce al tempo stesso che eventuali difetti di fabbricazione sono se mai di altri, non cinesi.

A gettare un’ulteriore ombra inquietante su tutta la faccenda ci pensa però un professore dell’Accademia delle Scienze che si occupa di sicurezza nucleare, Li Qiang: «In materia di sicurezza, siamo tra i dieci e i vent’anni in ritardo», dice al South China Morning Post di Hong Kong. La costruzione di nuove centrali va più veloce del varo di una nuova legge sulla sicurezza e della creazione di quella squadra di pronto intervento da 300 membri che, si dice, dovrebbe essere composta in gran parte da militari. La rete cinese si è subito interrogata: ma a che servono i militari se esplode una centrale? Qiqiu hao yun, preghiamo la buona sorte o, se preferite, incrociamo le dita.