Ue/Smog. Vince il capitale. Che fare?

Un voto straniante all’Europarlamento il 3 febbraio. Limiti inquinanti alzati per favorire l’industria dell’auto mendace e fuori-legge. Se il delegato tradisce chi lo vota, cosa ci resta?

di Angelo Miotto

Mercoledì 3 febbraio L’Europarlamento ha approvato con una risicata maggioranza, contrari verdi e la maggior parte del gruppo socialista, un regolamento che permette di innalzare i limiti degli ossidi di azoto del 110%. Lo ha fatto bocciando una proposta della Commissione Ambiente. Un innalzamento che viene motivato dai popolari conservatori con un pragmatismo realista: oggi gli inquinanti sono già alle stelle, ben oltre i limiti del regolamento che modifica i limiti, e questo proprio per i test sulle emissioni che le grandi case automobilistiche hanno sostanzialmente truccato. Il dieselgate. Quindi  – sostengono i popolari – dobbiamo dare tempo alle case automobilistiche di procedere a un aggiornamento e nuovi test, per capire quanto davvero riusciranno nel tempo a diminuire i famigerati ossidi. Si fanno anche ipotesi nero su bianco che parlano di fissare due tranche, una al 2017 e l’altra al 2020.
Nel frattempo, ammalatevi pure.

Qui mettiamo due documenti:

È il famoso caso Dieselgate, che ha colpito prima la Volkswagen e poi altre marche dell’automobile. Un trucco, condizioni alterate rispetto a quello che si sprigiona in un normale percorso su strada e risultati fuffa. Scoperto l’inganno, drammi di borsa, ripercussioni sul mondo del lavoro che è alla base di questi grandi colossi. Eppure qualche cosa non torna in questa trattativa molto al ribasso e tutta a favore delle multinazionali dell’auto. Una volta acquisito il meccanismo del sistema e fatto salvo il piano di ritiro e modifica delle auto richiamate, l’aspettativa di chi pensa che la tutela del nostro respirare sia una priorità, è andata soffocata. Una priorità necessaria e primitiva, primigenia, rispetto alle richieste, anzi diciamo serenamente alle pressioni potenti e del grande lavoro di lobbing che avviene quotidianamente sui politici, funzionari e commissari dell’Unione europea.

Non è il caso di parlare di ‘mercato’. Non è quello. È, detto in poche e precise parole, una questione di classe dominante, che ancora oggi è quella del capitale e del profitto, non certo quella del bene comune e del buen vivir, un concetto così affascinante e foriero di soluzioni interessanti che si potrebbe abbracciare con forza, ma ancora distante dalla mentalità di chi si porta addosso i fumi, le ciminiere e i concetti di produttività da rivoluzione industriale.

Leggiamo su Repubblica: “La maggioranza degli europarlamentari ha fatto il gioco della parte più retriva dell’industria automobilistica, senza curarsi della salute dei cittadini che dovranno subire livelli di inquinamento sempre più alti e pericolosi”, accusa Monica Frassoni, copresidente dei Verdi europei. “È sorprendente che nella lista dei votanti a favore ci sia anche il presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, la cui maggioranza si era schierata contro l’indebolimento dei limiti stabiliti”.

Il punto chiave sulla questione è come fare a fissare dei parametri che siano accettabili dal punto di vista della nostra salute. Ho un ricordo netto e preciso dei primi anni di scrittura in redazione con il direttore Piero Scaramucci che di fronte a notizie di danni contro l’ambiente tuonava verso i giovani redattori sulle domande sbagliate da rivolgere durante una diretta radio. Una nube tossica, un inquinante non si declina in base a una domanda a un esperto che dice “Inquina? È pericolosa?”. La vera domanda è “Quanto è pericolosa, quanto è nociva?”, perché è il grado e l’intensità, non una vaga discussione se sia nocivo o meno un inquinante. Lo è.

Come dire che i limiti di inquinamento, di emissioni non sono meno gravi se rientrano nella norma. Semplicemente si fissa un’asticella mediata fra le esigenze. Ecco allora la vera domanda: chi comanda? L’esigenza della nostra salute? Quella del profitto? E poi, come sempre accade, quando questa si nasconderà dietro il solito (e vero anche) argomento che tira in ballo i posti di lavoro? Come risolvere questo nodo piuttosto ingarbugliato?

Ma le domande non finiscono qui. C’è anche quella che riguarda la rappresentanza e la delega elettorale. In nome di chi stai accettando di alzare l’asticella, in nome di chi ti permetti di piegarti alle operazioni di lobbing, con quale attitudine, con quale visione. Non è poco, perché è tutto quello che abbiamo.

Una sola cosa. Perlomeno in democrazia rappresentativa. Abbiamo una sola ‘cartuccia’, ed è il nostro voto.

L’Europa strombazzata dalla propaganda nauseante, che è quella delle banche e dell’euro e basta, ché pietà non solo l’è morta, ma anche costa, questa Europa che cerca di sedurci e che – ne sono convinto – se fosse raccontata di più e meglio nei singoli stati membri mostrerebbe anche volti inaspettati, sulla vicenda delle emissioni inquinanti dovrebbe essere non solo ferrea, ma anche tassativa. Non sfugge che il ragionamento in due tranche per sanare una sitiazione piuttosto ingombrante anche dal punto di vista numerico, possa essere un compromesso, al ribasso.

Ma la domanda allora è: quando abbiamo iniziato ad accettare tutti questi compromessi? Quando ci stancheremo di accettarli, quando capiremo, finalmente, che c’è un solo grande strumento a disposizione, che colpisce il nostro immaginario e che non realizziamo, o non ci proviamo più.

Provo a dirlo così, con gli ‘immagina se’ che sono giochi belli da fare con i bambini, e che mentre li pronunci ti chiedi ma come diavolo non ci abbiamo pensato prima e come facciamo a non vedere tutta la potenza di un gesto. Immagina se i soldati da trincee opposte si dicessero che è ora si smettere di spararsi addosso, perché non ha senso morire per due metri in più e due in meno domani, con cadaveri in uniformi colorate diversamente negli stessi due inutili metri. Immagina cosa sarebbe una vera, grande, compatta manifestazione per un diritto davvero vitale come quello a respirare. Lo abbiamo già scritto, è una rivoluzione, semplice, ma che si basa solo sulla consapeolezza che solo rivendicando diritti comuni, oltre a quelli soggettivi, si possa ottenere da una classe dirigente e dominante, quella delle poltrone e del capitale, ascolto. O provvedimento. O perlomeno la soddisfazione di essere capaci a dire e a rappresentare che una via diversa esiste e che è a portata di mano.

Ecco il rapporto di forza del voto al Parlamento Europeo del 3 febbraio. Non sono solo regolamenti.

È il diritto a ribellarsi.