Figli di un dio minore

Polemiche in Gran Bretagna per i 2748 minori non accompagnati rispediti verso paesi in guerra al compimento del 18° anno di età

di Christian Elia

“Questi dati sconvolgenti denunciano la vergognosa realtà del nostro sistema dell’asilo politico. Ragazzi che hanno abbandonato i loro paesi di origine devastati dalla guerra, attraverso viaggi ed esperienze terribili, e sono arrivati qui, al sicuro, rifacendosi una vita. A 18 anni vengono rispediti indietro, forzati su un aereo, diretto verso un mondo ostile e che ormai gli è estraneo”.

Sono molto dure le parole con cui la deputata laburista britannica Louise Haigh ha commentato le ammissioni di James Brokenshire, ministro britannico dell’Immigrazione, che incalzato da un’inchiesta del Bureau of Investigative Journalism – ripresa anche dall’Independent – ha ammesso come dal 2007 al 2015 siano stati 2748 i ragazzi rispediti verso zone di guerra dopo che erano arrivati in Gran Bretagna come minori non accompagnati. Dopo un goffo tentativo di barare sui numeri.

I dati fanno male solo a leggerli: quasi tutti (2.018 ragazzi) forzati a tornare in Afghanistan, quasi 700 in Iraq, e poi Iran, Libia e Siria. Già, addirittura la Siria. Sembra incredibile, ma sono proprio i dati del ministero, cha ha dovuto tirarli fuori su richiesta dei giornalisti e della deputata Haigh.

Un cortocircuito umano, perché quando lo stesso governo britannico si presenta di fronte ai suoi cittadini motivando le operazioni militari nelle quali è coinvolto l’esercito di Sua Maestà lo fa proprio calcando la mano sulla pericolosità di Daesh, talebani e compagnia.

Un cortocircuito del senso stesso dell’asilo, che non è una protezione temporanea, almeno non dovrebbe essere solo questo, una volta che i soldi dei cittadini britannici sono stati spesi per dare a questi ragazzi dei percorsi formativi, una progettualità di inserimento, un investimento per sostenere l’integrazione di un nuovo cittadino britannico.

Adesso il governo è in imbarazzo, pungolato anche dai LibDem, che con il loro leader Tim Farron hanno chiesto di vederci più chiaro in una vicenda che non fa onore alla Gran Bretagna. Al summit in Parlamento, inoltre, si sono aggiunti in veste di osservatori interessati l’ong Save the Children, l’associazione degli enti locali e il Commissario per l’Infanzia.

“E’ molto triste constatare”, ha commentato Farron, “che il governo non abbia saputo gestire diversamente le vite di questi ragazzi, molti dei quali erano integrati nelle loro nuove comunità ed erano pronti a diventare membri a pieno titolo della nostra società. Deportandoli verso i paesi di provenienza, dove non vorremmo mai che andassero i nostri figli, è grave. E c’è bisogno di una strategia seria e integrata per questi ragazzi”.

Dopo la bufera, l’amministrazione ha temporaneamente sospeso i rimpatri, mentre l’ufficio legale del governo si sta muovendo per capire quanto possa essere inattaccabile questa procedura per tutelarsi rispetto a future cause di questi ragazzi nei confronti dello stato britannico.

La luce sulla vicenda è anche legata alla situazione attuale internazionale. Guardando i dati, infatti, il picco dei rimpatri è del 2009. Non a caso. Dopo otto anni di ‘guerra al terrorismo’, l’attenzione in Gran Bretagna e nel mondo verso Iraq e Afghanistan calava vistosamente, mentre politicamente – dopo miliardi di sterline spese e tanti militari britannici morti – bisognava sostenere che le missioni erano compiute.

Quindi che Iraq e Afghanistan fossero luoghi oramai ‘pacificati’, verso i quali poter fare serenamente ritorno. Poi sono arrivate le primavere arabe da una parte e i talebani e Daesh dall’altra a guastare la festa della propaganda.
Il meccanismo per i ragazzi giunti come minori non accompagnati che diventano maggiorenni prevede la possibilità di estendere la loro permanenza in Gran Bretagna, presentando una domanda a una commissione, che si riserva di valutare il percorso del ragazzo dal suo arrivo al compimento della maggiore età.

Quelli che si vedono respinti la domanda, però, subiscono effetti devastanti. Lo conferma all’Independent Gillian Hughes, psicologo infantile del London’s Tavistock centre, che lavora proprio con i minori non accompagnati. “E’ come perdere tutto dopo aver scalato un muro enorme”, spiega il dott.Hughes. “Se ricadono, se vengono mandati indietro, subiscono un trauma profondo”.

Questo fenomeno, almeno, ha attirato l’attenzione del Parlamento britannico. Sarebbe doveroso che lo stesso percorso di verifica fosse messo in atto in ogni paese europeo, senza dimenticare l’allarme lanciato dall’Europol a gennaio: sono almeno 10mila i minori non accompagnati svaniti nel nulla in Europa nel 2015. Un dato enorme, che interroga tutti i cittadini europei rispetto al senso stesso che diamo alla parola società civile.