I Must Have Been Blind

Dietro ogni paesaggio c’è sempre un altro paesaggio, che si percepisce con la vaghezza e
l’indefinitezza dei fatti immaginativi. (Giacomo Leopardi)

di Simone d’Angelo
Sono nato nella Valle del Sacco, una vasta area a sud di Roma che dalla fine della Seconda
Guerra Mondiale ha conosciuto un rapido sviluppo industriale che ne ha compromesso la sua
naturale vocazione agricola. L’intreccio tra affari e politica ha permesso l’omissione dei
controlli sulle fabbriche inquinanti e la penetrazione nel territorio delle organizzazioni
criminali dedite ai reati contro l’ambiente. Oggi la Valle del Sacco è inserita nei SIN, i siti di
bonifica nazionale e mostra tutte le ferite della crisi industriale.

Quando ho deciso di raccontare un luogo così familiare, ancora non sapevo che di lì a breve mi
sarei perso. Iniziando a percorrere le strade che portavano i miei genitori nei vicini
stabilimenti industriali, ho scoperto un ambiente in cui il conflitto tra uomo e natura appare
incastrato in un moto perpetuo di reciproche sovrascrizioni. Il paesaggio, sempre più
indefinito, diventa una terra di nessuno dalla quale la presenza umana è esclusa, fragile come
le tracce che lascia al di fuori dei propri confini.
Il senso di alienazione è tale da non riconoscere più il luogo in cui si è vissuto, ma se perdersi
è inevitabile, lo sguardo può aprirsi ad una nuova immaginazione, ad un ritorno ad una
condizione di predisposizione alla sorpresa per ripensare se stessi e lo spazio che si abita. Da
qui il titolo I Must Have Been Blind, preso in prestito da una canzone di Tim Buckley