Fuocoammare

Il documentario di Rosi, premiato a Berlino, che non può lasciare indifferenti

di Laura Filios

Fuocommare di Gianfranco Rosi. Con Samuele Pucillo, Mattias Cucina, Samuele Caruana, Pietro Bartolo, Giuseppe Fragapane

Samuele è un ragazzino che scorrazza a cavallo di una motoretta da un punto all’altro di Lampedusa con la fionda in mano e un amico. È libero e padrone della sua isola. Sa dove trovare i nidi degli uccellini che va a cacciare non appena cala il buio. La sua tana è un rudere abbandonato. I suoi peggiori nemici, le grosse foglie dei fichi d’india schierati in fila come soldati che combatte a sassate. La terra è la sua casa e il mare lo guarda da lontano quando per finta spara in cielo. Curiosando, cresce in lui la passione per la vita. Non si può che essere trascinati tra le sue domande e le sue insicurezze.

Un uomo senza nome con la muta e i calzini bianchi si inabissa nelle acque costiere, ancor più cristalline per il cielo d’inverno. Metodico e preciso come un killer va a caccia di ricci di mare. Un’apnea scientifica e calcolata che toglie il respiro ogni secondo che lui passa sott’acqua.

Di tutt’altro genere l’apnea che si prova quando la mano del regista si accosta al barcone stracolmo di uomini, donne e bambini in viaggio da ore e forse giorni sotto il sole cocente, disidratati, sfiniti, la disperazione ma anche un briciolo ancora di speranza negli occhi.

A scandire il tempo del film, il programma radiofonico che tiene compagnia alla signora Maria, la zia che tutti vorrebbero, ottima cuoca e “fimmina di casa” che si diverte a chiamare in radio per dedicare canzoni d’amore al marito, tra cui “Fuocommare”.

foto-fuocoammare-6-high

L’unica “intervista” è quella a Pietro Bartolo, dottore di Lampedusa, il medico di tutti. La telecamera è puntata su di lui mentre racconta di quante persone ha visto approdare sull’isola. Rosi si sofferma, senza troppi indugi, sul “supertestimone” che in questi anni s’è fatto carico di una storia da incubo, in senso letterale del termine. Perché quegli occhi, quelle facce, quelle stesse donne e uomini che soccorre ogni giorno, Pietro Bartolo se li sogna poi la notte.

Lampedusa, i suoi abitanti, i migranti, i soccorritori, il Mar Mediterraneo nel lavoro di Rosi stanno insieme senza retorica, missione non facile per un regista che ha deciso di cimentarsi con una storia non solo tragica, ma che continua a ripetersi apparentemente senza fine, pur non essendo più alla ribalta della cronaca.

Samuele è il protagonista della scena più divertente del film, preludio alla grande tristezza. Seduto sul lettino dell’ambulatorio racconta a Bartolo che a volte gli manca il fiato. Magari è l’allergia, pensa lui. Il responso lo spiazza, a quanto pare a fargli mancare l’aria è un po’ di ansia. Ma che ne sa Samuele dell’ansia?

“Fuocoammare” di Gianfranco Rosi è un film bello e onesto perché si percepisce che è nato dalla realtà. Laddove si intravedano delle forzature se ne coglie la necessità. Si è aggiudicato l’Orso d’oro a Berlino, unica pellicola italiana dell’edizione 2016. La proclamazione è avvenuta il 19 febbraio, esattamente un giorno dopo l’uscita del film nei cinema italiani. 47 in tutto ( mymovies.it) su un totale di 1.069 (anica.it aggiornato al 2014).

La sensazione è che con questo film Rosi abbia voluto dare la possibilità ad ogni spettatore di diventare anch’esso testimone di una storia confinata a 205 km dalla costa siciliana, ma non per questo meno collettiva e globale. Per sgravare del peso di questa dura realtà i seimila abitanti della piccola isola siciliana. È grazie a lui che il pubblico del (solo il ) 7% delle sale cinematografiche italiane (una settimana dopo l’uscita del film, sono passate da 47 a 76) potrà diventare partecipe degli incubi di Bartolo e dell’ansia di Samuele.