Mi ricordo di Gerusalemme

Mi ricordo il mio stupore quando scoprii che il Muro del Pianto, il primo luogo per importanza per gli ebrei, non è nient’altro che il muro di cinta della Spianata delle Moschee, il terzo luogo per importanza per i musulmani

di Andrea Colasuonno

Ero steso a letto, appena prima di addormentarmi, diedi uno degli ultimi sguardi tutt’attorno alla stanza in cui mi trovavo, e lì mi dissi “ma che davvero sto a Gerusalemme?”. Ogni volta che penso a Gerusalemme, quello che ricordo nitidamente non è il primo giorno che ci sono stato, ma la prima notte che ci ho dormito. Ero sotto lenzuola fresche e ruvide e continuavo a ripetermi “sto a Gerusalemme, a Ge-ru-sa-le-mme”. Mi veniva voglia di svegliare quello nell’altro letto a fianco a me per dirgli “oh, ma che davvero stiamo a Gerusalemme?”.

Mi ricordo anche altre cose di Gerusalemme e se proprio di lei devo parlare preferisco farlo per ricordi, piuttosto che lanciarmi in un ragionamento organico e uniforme. Anche perché Gerusalemme di uniforme non ha proprio niente. Si potrebbe fare l’esercizio dei “mi ricordo” come ci ha insegnato Georges Perec, quello sì.

Mi ricordo che percorrendo la strada da Tel Aviv, a un certo punto mi si tappavano le orecchie e capivo di essere arrivato, perché Gerusalemme è in altura.

Mi ricordo che giravo per la città vecchia e spesso mi perdevo nelle vie meno battute dai turisti. Queste dopo un po’ mi sembravano le stesse del centro storico della città in cui sono nato, nel Sud Italia, e mi veniva voglia di passare a trovare mia nonna.
Mi ricordo il metal detector per entrare in stazione o al centro commerciale.
Mi ricordo il succo di melograno spremuto al momento. “How much is it?” “30 shekel”. Poi ci riprovavi in arabo: “eddesh asir?” “15 shekel”.

Mi ricordo Mahane Yehuda, il mercato ebraico e le foto di familiari morti negli attentati appese nei negozietti.

Mi ricordo il mio stupore quando scoprii che il Muro del Pianto, il primo luogo per importanza per gli ebrei, non è nient’altro che il muro di cinta della Spianata delle Moschee, il terzo luogo per importanza per i musulmani. Poi 200 metri in linea d’aria più in là, il Santo Sepolcro, primo luogo per importanza per i cristiani. “Come è difficile la pace in Medio Oriente”, pensai.

Mi ricordo la passeggiata a Mea Shearim, il quartiere ebraico ultraortodosso. Doveva essere più o meno la stessa cosa passeggiare negli anni ‘30 nella zona ebraica di Varsavia.
Mi ricordo gli autobus che nelle zone palestinesi non si fermavano per far salire la gente.
Mi ricordo il venerdì al tramonto, spuntavano le bancarelle che vendevano fiori, prima che iniziasse lo shabbat.
Mi ricordo una volta camminavo in una strada secondaria della città vecchia, sentii vicino lo schioccare violento di due pietre che si scontrano. Una era quella passata alle mie spalle mancandomi di un metro, l’altra era quella che lastricava la via. Mi voltai a guardare in alto, in fondo, a destra, a sinistra, non vidi nessuno.

Mi ricordo la sorpresa quando seppi che per gli arabi Gerusalemme si chiama Al Quds, La Santa.

Mi ricordo una volta che fui ricevuto dal Custode di Terra Santa, Padre Pizzaballa, in un salone bellissimo. Pensai che uno come lui, con quei vestiti, lì c’era sempre stato fin dal Medioevo.
Mi ricordo dentro al Santo Sepolcro, proprio davanti alla tomba, ci sono rimasto 20 secondi. Io sono miscredente, mi sono detto “metti che c’è davvero”.
Mi ricordo ero steso a letto, poco prima di addormentarmi, a casa mia, dopo esser tornato. Diedi uno degli ultimi sguardi tutt’attorno alla mia stanza, e lì mi dissi “ma che davvero sono stato a Gerusalemme?”.

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