Vittoria reale?

Il Tycoon Trump continua a incassare voti vincendo in tre stati su cinque. Hillary Clinton ne conquista quattro e ipoteca la nomination ufficiale. Si ritira Rubio. E ora la vera sfida è sempre più all’interno del Gop che rischia di frammentarsi alla convention di luglio

di Antonio Marafioti

Donald Trump e Hillary Clinton sono ormai a un passo dalla sfida per la Casa Bianca. Nel cosiddetto Mega Tuesday di ieri notte (italiana) il numero dei delegati in palio era cospicuo per entrambe le fazioni: 358 rappresentanti per il Gop, 691 per i democratici. Il magnate di New York vince in tre stati su cinque conquistando in ordine la Florida (46%), il North Carolina (40%), l’Illinois (39%). Il Missouri è attualmente too close to call per i candidati di entrambi i partiti. John Kasich, governatore dell’Ohio, rispetta i pronostici e si impone nel suo stato con il 47 % dei voti.

Non ce la fa invece, Marco Rubio che, sconfitto in Florida, stato che rappresenta in Senato, decide di abbandonare la corsa elettorale.

Dopo aver fatto sperare i suoi elettori con la vittoria in Michigan, Bernie Sanders cade in Ohio e, salvo grossissime sorprese, permette alla Clinton di chiudere la partita per la nomination. Con l’importante vittoria nel territorio del Midwest (56%), l’ex Segretario di Stato si prende anche la Florida (64%), il North Carolina (55%) e l’Illinois (50%). Sanders si gioca il Missouri all’ultima scheda. In termini di delegati Trump, winner-take-all in Florida, raggruppa altri 152 votanti, arrivando a 621 dei 1237 necessari per presentarsi come primo della lista alla convention di Cleveland. Cruz, rimane staccato a quota 396 (+26 delegati), Kasich arriva a quota 138, ottenendo solo 75 delegati, ma assicurandosi un peso politico molto importante in caso di brokered convention in Ohio. Sul fronte opposto Clinton arriva a quota 1559 (+324) su 2383 voti necessari. La garanzia di avere 467 dei 712 superdelegati, contro i 26 di Sanders, la mette al riparo da possibili ribaltoni.

E infatti i due democratici vanno avanti seguendo ognuno la propria campagna, ma rimanendo uniti sotto il segno dell’Asinello. Sanno benissimo che presto l’unico avversario da combattere sarà Trump. «Questo è stato un altro super martedì – ha dichiarato Clinton da West Palm Beach, Florida – Stiamo andando dritti verso la nomination e vinceremo le elezioni di novembre. State spezzando le barriere che ostacolavano l’America perché volete che il vostro futuro sia migliore del vostro presente. Stasera è più chiaro che mai che questa sarà la campagna più importante della nostra vita perché le scelte di chi siederà nello studio ovale influiranno sulle nostre vite e quelle di tutto il pianeta». Poi la candidata democratica sposta il tiro su tre punti programmatici: società, sicurezza e unità. «Il prossimo presidente avrà tre compiti principali: contare nella vita delle persone, garantire sicurezza e tenere unito il paese. L’America è alla ricerca di soluzioni ai suoi problemi a partire dall’istruzione dei giovani che sono il nostro futuro. Bisogna permettere a quei nonni che hanno paura di andare in pensione di avere un’assistenza sanitaria a prezzi ragionevoli. Dobbiamo garantire la parità di retribuzione, a parità di lavoro, fra uomini e donne. Dobbiamo creare lavoro tramite investimenti in infrastrutture, quelli in energia pulita. Infine favorire le imprese e creare occasioni per la middle class. Ogni candidato ha il dovere di dirvi come ci riuscirà. È questa la differenza fra candidarsi e assumere la presidenza». Sul tema sicurezza Clinton ha aggiunto che è fondamentale per il futuro presidente difendere il paese invece di metterlo in imbarazzo davanti ai propri alleati. Poi la stoccata a Trump sugli immigrati, «come li si può lasciare nei ghetti?», sulla tortura, «inaccettabile», sull’unione del popolo, «basta pensare di creare barriere, bisogna difendere i diritti delle classi più deboli».

Il discorso di Sanders parte dai temi ecologici ricordando Flint, Michigan, e un caso «che va oltre la mia comprensione – ha detto – di bambini avvelenati dagli scarichi chimici nelle acque. Molte infrastrutture sono in condizioni disastrose, quando dovrebbero essere di prima classe». Poi il cavallo di battaglia contro la delocalizzazione, «chiedo alle imprese: volete che continuiamo a comprare i vostri prodotti? Non delocalizzate». Sanders ha, infine, chiuso il suo speech sulla riforma del sistema giudiziario e sulle pene più certe verso gli speculatori di Wall Street che «vengono puniti meno duramente di chi possiede una piccola quantità di marijuana, nonostante siano colpevoli di distruggere il sistema economico e le nostre stesse vite».

Dai rispettivi palchi, uno per volta i candidati repubblicani alla nomination chiamano il partito all’unità. Sanno benissimo che la vittoria schiacciante di Donald Trump alle urne rischia di compromettere i piani politici dell’establishment del Grand Old Party.

Si teme una divisione insanabile, e quindi una brokered convention, sul nome del candidato scelto dagli elettori e quello voluto dal partito. In più la riorganizzazione dei democratici sulla linea moderata del clan Clinton fa suonare un ulteriore campanello d’allarme: è ormai accertato che la sfida del partito si sia spostata troppo a destra e le posizioni politiche di Trump a livello nazionale siano perdenti rispetto a quelle più moderate dell’ex first lady. Alla vigilia del voto della notte scorsa l’attenzione degli analisti erano tutte sulla tenuta di Rubio e Kasich nei rispettivi stati, Florida e Ohio. Dopo la personale débacle, il senatore di origine cubana si è presentato davanti ai propri elettori per annunciare ufficialmente il suo ritiro dalla corsa. Troppo umiliante essere sorpassato da Trump a casa propria dopo un’accesa campagna elettorale. Sulla sua bocciatura, secondo il New York Times, avrebbe pesato la giovane età: 44 anni sarebbero troppo pochi per guidare il Paese.

E invece una volta sul palco Rubio dimostra di meritare la sua fama politica mettendo a tacere i fischi rivolti a Trump e congratulandosi con lui, ma non mancando di aggiungere che «siamo dalla parte giusta anche se non dalla parte dei vincenti. Ho preferito non giocare la mia partita sulla rabbia e la frustrazione delle persone. Sarebbe stato facile per me, ma non voglio vincere in un paese frammentato, voglio un paese in cui le persone si aiutino a vicenda». Poi la chiamata al partito, «abbiamo avuto la maggioranza al Senato per quattro anni e non siamo riusciti a sfruttarla. Colpa di un establishment politico di cui la gente non si fida più. L’America ha bisogno di un movimento conservatore forte che non crei paura e rabbia, che non metta i giovani l’uno contro l’altro, ma si riferisca ai principi della Costituzione».

Kasich sul palco con moglie e figlie ringrazia i suoi elettori per il risultato e rilancia la sua corsa. «In Ohio – ha detto il governatore – abbiamo ricreato posti di lavoro e oggi nelle casse dello stato c’è un avanzo di due miliardi di dollari. Nessuna categoria sociale è stata abbandonata, nessuna è rimasta indietro. Dimenticatevi i sondaggi, è mio compito ascoltare i vostri problemi e risolverli. È questo il prezzo della leadership in America. La campagna va avanti e voglio rendervi orgogliosi di me».

Penultimo dei repubblicani a presentarsi alla stampa è Trump, atteso dall’obiettivo della Fox mentre il discorso di Sanders è ancora nel vivo. Il network fondato da Rupert Murdoch decide di ignorare il dem e di aprire il collegamento da Palm Beach ancora prima che il magnate si presenti davanti al proprio pubblico. Trump sorride, lontano dall’imbarazzo creato tre giorni fa dal suo supporter John McGraw, 78 anni, che durante un incontro a Fayetteville, North Carolina, ha sferrato un pugno contro il giovane contestatore afroamericano, Rakeem Jones, 26 anni. Dopo aver garantito il pagamento delle spese legali in caso di processo contro McGraw e ritirato tutto nel giro di poche ore, Trump ha incassato anche il monito del presidente Obama che ha bollato le attuali elezioni come «volgari e divisive». Come se niente fosse accaduto. Oggi è un altro giorno e Trump si presenta con uno dei suoi soliti attacchi: «In Florida è stata una vendemmia. Nonostante le analisi e i numeri che ci volevano sconfitti, la matematica ci ha premiati ancora». Fa gli auguri a Rubio per aver retto in una campagna elettorale difficile e parte con i classici temi economici, «voglio che in America si torni a produrre invece che delocalizzare in Vietnam o Cina. La cosa mi disgusta, non c’è ragione di andare via. Dobbiamo garantire che le grosse imprese rimangano qui e creino profitti. Bisogna arrivare a un accordo per conseguire questo obiettivo. Se sarò presidente lo metterò in pratica insieme a un sistema tributario equo». È raggiante, Trump, ma non troppo. Sa che oltre gli elettori c’è il partito e così si appella ai suoi vertici: «È necessario riunire le forze e andare avanti per fare della storia del Gop una storia di successo. L’affluenza a queste primarie è in aumento. La gente fa la fila per votare. È importante il ritorno alle urne degli indecisi. Sono stato attaccato con spot terribili costati milioni di dollari, ma io continuo a guadagnare voti. Se arriveremo alla fine vi garantisco che ci divertiremo molto, che vinceremo per il Paese».

Ultimo dei suoi a parlare è Ted Cruz che dopo le prime proiezioni sembrava essersi messo in tasca il favore del Missouri, ancora considerato too close to call. «Questa è stata una buona serata – ha dichiarato non curante dei risultati effettivi- Abbiamo continuato a ottenere delegati e continueremo la nostra marcia verso quota 1.237». Ringraziando Rubio per la sua campagna, il senatore del Texas ha invitato gli elettori rimasti senza un candidato a unirsi a lui per sconfiggere Trump, «l’unica persona sulla faccia della terra che Hillary Clinton può battere in un’elezione generale».

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