Il condominio dei cuori infranti

La pellicola francese del regista Samuel Benchetrit ha un ottimo cast che si muove in un’atmosfera surreale eppure reale, malinconica ma piena di ironia.


di Irene Merli

Il condominio dei cuori infranti, di Samuel Benchetrit, con Isabelle Huppert, Gustave Kervern, Valeria Bruni-Tedeschi, Jules Benchetrit, Tassadit Mandi e Michael Pitt. Nelle sale.

Non lasciatevi fuorviare dal titolo, atroce, impreciso e da romanzo d’appendice. In realtà questo piccolo, originalissimo film, che nasce e gira nel mondo come Asphalte, è ambientato in una periferia parigina, dentro uno stabile piuttosto degradato dove però non abitano i soliti stereotipi da banlieue, ma piccolissimi borghesi, perlopiù francesi “doc” o tranquilli maghrebini. Tanto per capirsi, il film si apre con una riunione condominiale a casa di uno degli inquilini: si è rotto l’ ascensore e tutti sono d’accordo per tassarsi e farlo riparare tranne Stemkowitz, un uomo di mezza età che vive solo e si rifiuta di pagare perché abita al primo piano.

Risultato: l’assemblea vota di vietargliene l’uso. Nessun problema, all’inizio. Solo che da un giorno all’altro Stemkowitz si ritroverà su una carrozzella per colpa di un ictus, con un bisogno dannato di quell’ascensore. E per non farsi vedere dagli altri, è costretto a prenderlo a notte fonda e una volta fuori, a spingersi in carrozzella fino all’ ospedale più vicino, l’unico posto dove riesce a trovare cibo a quell’ora, nel distributore automatico.

Lì, però, inizia a incontrare un’infermiera di notte, che fa pausa per un caffè e una sigaretta proprio a quell’ora. E per attrarre la sua attenzione si finge un fotografo del National Geographic.

Ad un altro piano del condominio, un’attrice in declino che non vuol più recitare incontra Charly, un adolescente suo vicino che sembra abbandonato a se stesso da una madre irreperibile. Jeanne è depressa e ostile, ma Charly prima la aiuta quando resta chiusa fuori di casa e poi, poco a poco, la sosterrà nella ricerca di un nuovo ruolo.
Sul tetto, invece, una sera approda per sbaglio la navicella di un astronauta americano, che nel suo totale smarrimento spazio-temporale viene accolto da un’anziana signora algerina, che pur senza sapere una parola d’inglese lo accoglierà nel suo appartamentino, lo nutrirà e gli darà stanza e vestiti del figlio in prigione finché la NASA non verrà a riprenderselo.

La narrazione, in questo film benedetto da un ottimo cast, alterna gli episodi uniformandoli in un’atmosfera surreale eppure reale, malinconica ma piena di ironia.

I personaggi sono individui autenticamente solitari, in teoria non avrebbero nessun motivo per parlare con gli altri, eppure tutti e tre gli incontri mostrano che tra l’aspirante fotografo e l’infermiera notturna, il teenager annoiato e l’attrice in crisi, l’astronauta disperso e la signora ospitale nasceranno dei rapporti di solidarietà vera, profonda, fatta di sguardi e azioni concrete.

“Se dovessi riassumere il tema del film”, ha detto il regista Samuel Benchetrit,” direi che si tratta di tre storie di caduta: si può cadere dal cielo, da una sedia a rotelle e dal proprio piedistallo e ricevere un aiuto per rialzarsi? È questa la domanda che percorre la pellicola in ogni istante, perché la gente delle periferie sa essere molto brava a recuperare e a offrire aiuto”.

Il regista, da ragazzo, ha vissuto proprio in uno di questi quartieri e lo si sente, nelle venature di quest’opera. Che è davvero personale, originale. Una piccola storia di strane storie che non stenterà a farsi amare.