La Francia in piazza. Ma sarà un nuovo maggio?

La risposta della République alle politiche di Hollande e Valls

di Bruno Giorgini

Una parte della società civile, politica e dell’informazione francese sta rifiutando il contratto della paura di Hollande e Valls fondato sullo stato d’eccezione permanente che, secondo i loro desiderata, avrebbe dovuto essere inserito nella Costituzione. Nonché, profittando con cinismo dell’oppressione e della paura sociale dovuta agli attentati terroristici, con la proposta di una legge sul lavoro modellata secondo i dettami del liberismo più aggressivo contro i diritti dei lavoratori. Speravano che gli andasse liscia, e invece ecco gli scioperi, le manifestazioni, gli studenti universitari in rivolta, i liceali arrabbiati, mezzo PS dissidente, e tutti si chiedono più o meno a bassa voce se si tratti di un fuoco di paglia oppure d’une lame de fond, un’onda di fondo. Col che, in Francia, capita che in molti pensino al maggio ’68, a quel sommovimento la cui onda lunga arrivò fino alla vittoria di Mitterand e della sinistra, PS e PCF uniti nel programma comune, alle elezioni presidenziali del 1981.

Però invece di domandarci se il quartiere latino si riempirà di barricate – a occhio pare improbabile – cercheremo di mettere in fila una serie di fatti.

La prima gamba del progetto neoreazionario di Valls e Hollande è quella che voleva instaurare uno stato d’eccezione costituzionale fino alla possibilità di togliere la cittadinanza francese a chi in qualche modo sia giudicato sovversivo rispetto all’ordine statuale. Leggiamo uno stralcio dall’articolo 1 della proposta di legge “Lo stato d’urgenza è decretato nel Consiglio dei Ministri, su tutto, o in parte, il territorio della Repubblica, sia in caso di pericolo imminente risultante da attentati gravi all’ordine pubblico, sia in caso di avvenimenti che presentino per la loro natura e la loro gravità, il carattere di calamità pubblica…”. Dizione che già è piuttosto inquietante nella sua genericità, epperò il peggio deve ancora venire nell’articolo 2 che recita: “La legge fissa le regole concernenti la nazionalità, comprese le condizioni nelle quali una persona può essere privata della nazionalità francese o dei diritti legati a questa quando è condannata per un crimine o delitto che costituisca un attentato grave alla vita della nazione”. Breve, brutale e a tutto campo perché il concetto di “attentato grave alla vita della nazione” può essere dilatato a piacere mancando di univocità semantica, anzi è piuttosto polisemico, e ci si potrebbe chiedere perché invece non si scriva “attentato terroristico”, fattispecie ben più cogente.

Dizione breve, brutale e a tutto campo, epperò fallimentare tanto che Hollande ha dovuto ritirare l’intero pacchetto, con una caduta d’autorità clamorosa. Su questo si è dimessa la ministra della giustizia Taubira, su questo oltre novanta deputati socialisti hanno votato contro e dieci si sono astenuti, su questo tredici ecologisti su quattordici si sono opposti, e dulcis in fundo, persino alcune personalità rilevanti della destra classica sono insorte. Il segno della decadenza presidenziale si può anche leggere nel fatto che alcuni dei migliori consiglieri dell’Eliseo stiano cercando di ricollocarsi, chi in prestigiosi istituti di credito (Jean – Jacques Barberis, consigliere economico per l’Europa), chi nel campo delle assicurazioni (come Laurence Boone, consigliera economica, che ha raggiunto lo staff dell’Axa, o Hélène Le Gal consigliera per l’Africa). E altre partenze s’annunciano.

François Hollande - Foto di Parti Socialiste via Flickr in CC

François Hollande – Foto di Parti Socialiste via Flickr in CC

Inoltre, recentemente è stato reso pubblico un documento i cui primi due firmatari sono assai significativi, trattandosi di Martine Aubry, l’ artefice delle 35 ore, e Daniel Cohn – Bendit mostro sacro del maggio ’68, nonché padre nobile dei verdi francesi ed europei, a mia memoria per la prima volta insieme. Un documento prima pubblicato su un sito internet, quindi ripreso a tutta pagina e in forma integrale da Le Monde, titolato “Trop, c’est trop”, il troppo stroppia, che demolisce praticamente tutti gli atti politici di Hollande, arrivando a scrivere: “Non è più semplicemente la sconfitta del quinquennato che si profila ma un indebolimento durevole della Francia che si prepara e con tutta evidenza della sinistra”.

Ma Hollande e Valls sono duri di comprendonio e così viene presentata la legge contro i diritti dei lavoratori, la legge El Khomri, la seconda gamba della marcia neoreazionaria.

Sul modello del liberismo che vuole il pieno dominio sulla forza lavoro, con orari flessibili, piena disponibilità del lavoratore all’azienda di giorno, di notte, di domenica, a Pasqua e Natale, insomma sempre con la soglia di settanta ore settimanali che possono essere lavorate senza il pagamento dello straordinario, e manco a dirlo, quasi totale potere di licenziamento dei padroni. Puntavano i governanti della République all’inebetimento dovuto agli attentati terroristici con a latere il richiamo alla patria in guerra contro il male, secondo l’antico motto: chi dissente è un disfattista al meglio, al peggio un traditore. E contavano Valls e Hollande anche sulle divisioni sindacali e sulla debolezza politica della sinistra alternativa, comunista, rivoluzionaria, non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Invece giovedì 31 marzo molte categorie di lavoratori hanno scioperato, molti studenti si sono mobilitati, molte piazze si sono riempite, molti cortei hanno sfilato in barba allo stato d’eccezione.

Chi dice siano stati un milione, chi più, in molte città francesi, Parigi compresa, nel tentativo anche di metter su le tende sul modello degli indignados spagnoli da cui originò Podemos, senza riuscirci per ora venendo bastonati di santa ragione dalla polizia del governo pseudosocialista. E la settimana prossima si replica.

Un fatto è certo, il richiamo all’union sacrée in nome della salvezza della patria in pericolo, non ha funzionato, perchè certo Parigi è stata sanguinosamente offesa e ferita dagli attentati jihadisti, ma a Parigi e in Francia non c’è la guerra. Le persone vanno al caffè, gli studenti a scuola, gli operai in fabbrica eccetera, ovvero la società civile esiste ancora e non si lascia militarizzare dalla retorica guerriera di Hollande, e neppure rinchiudere da Valls nella camicia di forza securitaria. Quindi si riapre la questione sociale, il conflitto di classe e quello di cittadinanza democratica si danno la mano.

Manuel Valls - Foto di Parti Socialiste via Flickr in CC

Manuel Valls – – Foto di Parti Socialiste via Flickr in CC

Anche un secondo fatto è certo: la partecipazione di migliaia e migliaia di giovani. Non sono manifestazioni residuali del tempo che fu, ma anzi dispiegano una collettività di nuovi cittadini seppure tumultuosa. Questione sociale che affonda le sue radici nella crisi ben lungi dall’essersi esaurita, in specie dei giovani. Non a caso Le Monde di venerdì 1 Aprile titola in prima a tutta pagina: Les jeunes, grands oubliés des politiques publiques – i giovani, i grandi dimenticati dalla politiche pubbliche. Con Le Monde siamo giunti a un altro elemento importante, la presenza attiva di alcuni giornali schierati con la protesta. In particolare Liberation, il che era prevedibile visto che affonda le sue radici proprio nel maggio ’68, e Le Monde, molto meno scontato, che da mesi affonda il dito e a volte tutta la mano nelle molte piaghe della Presidenza Hollande.

Ora, senza fare ipotesi sull’eventuale movimento di massa in corso d’opera, appare sempre più chiaro come una ricandidatura di Hollande alle prossime presidenziali appaia destinata inesorabilmente a una secca sconfitta, aprendo lo scenario da incubo di una ballottaggio tra Marine Le Pen e il candidato della destra, i Repubblicani.

Nè a tutt’oggi sembra probabile una guerra franco francese più o meno neocoloniale che possa salvare almeno l’onore del Presidente nei panni del comandante in capo. Infatti, dopo gli attentati di Parigi, le bellicose intenzioni francesi contro Daesh, con l’esibizione della portaerei ammiraglia Charles De Gaulle in giro per il Mediterraneo, sono alla svelta diventate aria fritta a fronte della potenza messa in campo da Putin in accordo più o meno esplicito con Obama.

Neppure in Libia il nostro ha trovato pastura per le sue ambizioni, dovendo sottostare persino alla prudenza di Renzi, nonostante gli annunci sotto traccia di un intervento sempre imminente, ma fin qui mai avvenuto anzi rimandato di giorno in giorno. A questo punto si apre il discorso se e come possa, in questo magma di tensioni e conflitti sociali, insorgere una configurazione politica in grado di raccordare i movimenti dando loro continuità, e quale potrebbe esserne la forma. Un problema aperto in tutta Europa e, per ora, ancora lontano da una soluzione.