Quando sarò morto e bianco

L’attore Dragan Nikolić, di recente scomparso, incarnò la ribellione senza causa nella cultura pop jugoslava

“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.

di Francesca Rolandi

Nel 1967, quando raggiunse il successo con il film “Kad budem mrtav i beo” [Quando sarò morto e bianco], Dragan Nikolić non era al suo primo film, ma fu un po’ come se lo fosse perché il personaggio di Jimmy Barka fu il primo di una lunga serie di ruoli che gli rimasero appiccicati addosso.

Fioriva in Jugoslavia l’Onda nera dei registi che usavano le armi della critica contro il reale e il reale che avevano intorno era quello socialista. Živojin Pavlović raccontava attraverso il personaggio di Jimmy Barka le contraddizioni della Jugoslavia dell’epoca: la disoccupazione, la vita ai margini, la voglia del riscatto, la ricerca di un successo pop, l’impossibilità di un riscatto.

Jimmy vive di lavoretti e piccoli furti, per lui non ci sono posti di lavoro, vagabonda con la fidanzata ma si ritrova a fare l’amante di una cantante di kafana, cerca di sfondare senza successo nel mondo della musica, partendo dalla narodna musica e cercando di arrivare al rock and roll.

Nel 1971 l’attore belgradese interpretò la parte di protagonista nel film “Mlad i zdrav kao ruza” [Giovane e sano come una rosa], quella di Stevan, un altro outsider per il quale sembra non esserci posto nella società dell’epoca se non in carcere, ma che un posto finisce per trovarlo: inizia come piccolo criminale, continua a lavorare per i servizi segreti fino a ottenere così tanto potere da tenere simbolicamente in scacco lo stato stesso.

Stevan era il simbolo di quell’anima nera che si nascondeva nei servizi segreti jugoslavi, che erano soliti reclutare sicari tra i personaggi al margine.

Qualcuno rivide nella sua parabola un’anticipazione di quello che fu un altro burattino animatosi di vita propria, Arkan: da rapinatore a killer dell’Udba a capo paramilitare spietato durante la guerra di Croazia e Bosnia.

“Io sono il vostro futuro” dice alla fine del film Stevan e questa frase sarebbe potuta risuonare nelle orecchie di molti se il film, dopo essere stato proiettato due volte (di cui una al Festival del cinema di Pola) non fosse sparito dalla circolazione pur non essendo mai ufficialmente censurato. “Mlad i zdrav kao ruza” mette alla berlina i rituali socialisti dell’epoca e presenta, attraverso il suo protagonista, l’anima nera del paese: il cinismo e la violenza fine a sé stessa, lo scontro generazionale, il rapporto perverso con la societa dei consumi.

Alcuni anni dopo, nel 1979, in “Nacionalna klasa” [Classe nazionale] Dragan Nikolić si trasforma in Flojd, pilota che gareggia nella classe nazionale, riservata alle fića, le Fiat 600, ma è anche un dandy della periferia di Belgrado, eterno adolescente che rifugge dalle responsabilità ma non dalle ragazze.

È di nuovo un cantante senza grande talento, di musica schlager nel film “Ko to tamo peva” [Chi canta lì], in cui, con gli altri passeggeri viaggia in autobus verso Belgrado per participare a un provino organizzato da un grande ristorante. Siamo nel 1941, alla vigilia del bombardamento nazista su Belgrado e il cantante, come gli altri passeggeri, non arriverà mai a destinazione.

Questi solo alcuni dei ruoli che hanno portato Dragan Nikolić a diventare l’emblema del ribelle, maledetto, disadattato, asociale, jeans, giacca di pelle, i tratti taglienti, altissimo e magrissimo. Ma anche a condurre le prime Top list musicali contribuirono a trasformarlo in un’icona generazionale.

All’inizio degli anni ’70 sposò Milena Dravic, un’altra icona della cultura sia mainstream che underground, che aveva appena interpretato la parte da protagonista in “Misterije organizma” [I misteri dell’organismo], una riflessione sul ruolo della sessualità tra Est e Ovest di Dušan Makavejev ispirato da William Reich.

La sua morte, avvenuta l’11 marzo del 2016, si è portata via un pezzo della cultura cinematografica ma anche della memoria pop della Jugoslavia socialista, del primo rock and roll belgradese, un simbolo generazionale di ribelle alle convenzioni, bello e dannato, inseguitore di sogni o dispensatore di cinismo.